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Che cosa pensavano gli ebrei contemporanei di Gesù ci è noto dai Vangeli. La sua figura appariva loro straordinaria e suscitava stupore, come quando, per esempio, nella sinagoga di Cafarnao «insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc 1,22), al punto che i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si sentirono in obbligo di chiedergli: «Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato tale autorità» (Mt 21,23).
Meno scontato e meno noto è invece come l’ebraismo dei tempi del primo cristianesimo abbia recepito il Nuovo Testamento e come in generale il mondo ebraico abbia interpretato gli scritti neotestamentari. Se nei primi quattro secoli dell’era cristiana il confronto anche aspro e polemico tra dotti giudei e pensatori cristiani, come Girolamo, Eusebio di Cesarea e Origene, fu molto intenso ed ebbe poi qualche propaggine nel Medioevo, in epoca moderna l’attenzione dell’ebraismo per i testi canonici esclusivamente cristiani è apparsa poco rilevante.
Questa lacuna nel XXI secolo è stata colmata dalla pubblicazione, nel 2011, della prima edizione di The Jewish Annotated New Testament, alla quale ha fatto seguito una seconda edizione notevolmente aumentata nel 2017, ora meritoriamente tradotta in lingua italiana, a cura di Flavio Dalla Vecchia, dall’editrice Queriniana. Si tratta di un’opera monumentale, che raccoglie i contributi di 80 studiosi ebrei, prevalentemente del mondo anglosassone (Stati Uniti, Inghilterra e Australia), ma non mancano pure saggi di specialisti europei e israeliani, tutti intelligentemente coordinati da due docenti emeriti: Amy-Jill Levine della Vanderbilt University Divinity School di Nashville (Tennessee) e Mac Zvi Brettler della Brandeis University di Waltham (Massachusetts).
Il corposo volume è diviso in due parti ben distinte. Nella prima parte vengono singolarmente presi in considerazione tutti i libri del Nuovo Testamento (versione Cei 2008), secondo una struttura ripetitiva molto razionale e utile sia per l’esperto sia per il neofita. In primo luogo viene anteposta a ogni scritto un’introduzione essenziale che contiene informazioni generali sull’opera e in particolare sul modo con cui essa è stata recepita dall’ebraismo. Segue poi un commento molto puntuale dei singoli testi neotestamentari secondo l’ottica ebraica, articolato in numerose note e in speciali box con focus tematici, quali per esempio: la giustizia, le beatitudini, l’estensione della missione, Pietro, Giuda, il senso del sacrificio di Gesù, il grido di abbandono sulla croce, i discorsi e le parabole rilevanti, le sette giudaiche, le feste ebraiche e via dicendo. Notevoli sono inoltre i rimandi a parallelismi di altre opere più o meno coeve alla stesura degli scritti neotestamentari, come: Manoscritti di Qumran; testimonianze storiche di Flavio Giuseppe; saggi teologico-filosofici di Filone di Alessandria; Midrashim; Targumim; Talmud; e apocrifi.
La seconda parte sviluppa un approfondimento esegetico, con l’apporto di ben 54 contributi di ebrei specialisti della materia, i quali forniscono un quadro aggiornato del punto di vista ebraico sugli scritti del Nuovo Testamento. I diversi saggi sono ordinati secondo otto aree fondamentali: storia, società, movimenti o sette, differenze tra ebrei e gentili, pratiche religiose, credenze religiose, letteratura di epoca neotestamentaria, cultura ebraica e contenuti neotestamentari.
Il volume è infine corredato da un ricco apparato di mappe, cronologie, tavole tematiche, bibliografia, glossario e indici, che lo rendono di fatto anche uno strumento di consultazione molto utile.
In conclusione, quest’opera si caratterizza per un apporto originale al campo dell’esegesi e per un’intellezione più ampia degli scritti canonici del Nuovo Testamento rispetto a quella tradizionale o corrente. Essa copre così un vasto raggio di persone potenzialmente interessate, siano esse credenti o non credenti, cristiani o non cristiani, pastori o laici, teologi o semplici uomini di cultura. L’obiettivo dichiarato dai curatori è indubbiamente lodevole: migliorare «le percezioni degli ebrei nei confronti dei cristiani e le percezioni dei cristiani riguardo agli ebrei» ed evitare che «fraintendano vicendevolmente molti dei loro testi e delle loro tradizioni».