Da oltre quarant’anni, sia nella riflessione economico-finanziaria sia nella pratica politica, sembra aver preso piede una concezione che tende a vedere nel mercato non soltanto il luogo nel quale la domanda di beni e servizi incontra la relativa offerta, consentendo un impiego efficiente dei fattori della produzione, ma anche l’ambito in grado di garantire l’ottima allocazione delle risorse. Occorrerebbe, di conseguenza, che il mercato fosse messo in condizione di funzionare sempre e comunque, e che venissero eliminati tutti gli ostacoli che intralciano il libero dispiegarsi delle forze in campo.
Come è noto, le dottrine che vedono nel mercato il luogo in cui gli interessi dei consumatori e quelli dei produttori vengono soddisfatti nel migliore dei modi affondano le proprie radici nel pensiero di studiosi come Smith e Ricardo e, più recentemente, di economisti quali Marshall, Hayek, Friedman e Lucas. Nel corso degli ultimi anni sembra, però, che l’idea di un capitalismo basato esclusivamente sui meccanismi del mercato e della società dei consumi sia talvolta assurta a vero e proprio credo.
Con questo breve testo, ricavato da una sua conferenza tenuta a Trento nell’ottobre del 2016, il teologo protestante Harvey Cox continua a riflettere sull’argomento, sferrando un attacco frontale a quella che gli appare un’acritica professione di fede nelle virtù della concorrenza e del libero scambio, vale a dire del Mercato (che, essendo stato ormai deificato, egli scrive con la maiuscola).
Osserva appunto l’A. che tale fede «ha ormai assunto […] la forma di una religione funzionante, completa di preti e rituali, dottrine e teologie, con i propri santi e profeti e lo zelo di chi aspira a diffondere il proprio vangelo in ogni angolo del mondo, convertendo tutti» (p. 30). Occorrerà dunque dimostrare e denunciare quanto un simile credo sia senza fondamento. Ed è interessante l’affermazione di Cox che ad effettuare una simile dimostrazione e denuncia – sebbene l’oggetto studiato dalle due discipline sia completamente diverso – debba essere la teologia.
L’A. sostiene che il capitalismo è diventato oggi una religione senza possedere i titoli per esserlo. In altri termini: la deificazione del Mercato espone l’occidente capitalistico a una serie di rischi (di natura per esempio etica, ecologica, umana) che non devono essere sottovalutati né ignorati. Il sistema economico va dunque ricondotto all’ambito che gli è proprio: occorre ridimensionarne il ruolo, in modo che esso torni a rivestire la stessa importanza riconosciuta ad altre istituzioni politiche e sociali come la famiglia, gli Stati nazionali, gli organismi sovranazionali e le organizzazioni ecclesiastiche.
Negli ultimi decenni, però, i mercati hanno esteso arbitrariamente il proprio raggio d’azione e si sono trasformati nel Mercato, che – secondo l’A. – «è diventato il perno di tutto, assiso, lassù, arbitro assoluto che ha nelle proprie mani il destino di ognuno» (pp. 65 s).
È quanto non deve più essere. In altre parole, non deve più essere la «divinità» a imporre il proprio dominio all’intera comunità; al contrario, essa dovrà tornare a svolgere un ruolo capace di convivere armonicamente con quello svolto dalle altre istituzioni. È insomma necessario che il Mercato venga de-assolutizzato e riacquisti una dimensione circoscritta, nell’ambito della quale la sua attività risulti utile sia alla società sia ai cittadini che ne fanno parte.
HARVEY COX
Il mercato divino. Come l’economia è diventata una religione
Bologna, EDB, 2017, 72, € 7,50.