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Quando, nel 1942, mentre infuriava la persecuzione antisemita, lo storico Jules Isaac (1877-1963) iniziò a leggere il Nuovo Testamento nella versione greca, giunse gradualmente a maturare questa convinzione: la dottrina tradizionale delle Chiese cristiane ne aveva tradito il messaggio, costituendo la base di quel disprezzo nei confronti degli ebrei che, di lì a poco, avrebbe contribuito a dar luogo a un epilogo tanto tragico quanto spaventosamente unico.
Pubblicato poi nel 1948, questo scritto è il frutto della rielaborazione dei 10 punti che erano stati preparati dallo studioso e dal gran rabbino di Francia Jacob Kaplan per la Conferenza di Seelisberg: un consesso, nel quale si era discusso di idee e iniziative utili a combattere l’antisemitismo e che si era svolto in Svizzera l’anno precedente. Attraverso 21 argomenti e una conclusione pratica, l’A. delinea acutamente nel saggio un itinerario volto a mettere in rilievo come il cristianesimo affondi le proprie radici nell’ebraismo, come Gesù di Nazaret e il suo insegnamento si collochino nell’ambito della cultura israelita e come vada rifiutata in toto l’imputazione di deicida che viene attribuita all’intera nazione semita. Scrive in proposito Isaac: «In tutta la cristianità, da diciotto secoli, si insegna correntemente che il popolo ebraico ha compiuto l’inespiabile crimine del deicidio. Non vi è accusa più micidiale: in effetti non vi è accusa che abbia fatto scorrere più sangue innocente» (p. 279).
Certo, l’analisi dello storico appare pensata per favorire un cammino di rinnovamento sia per la società sia per la Chiesa. Nel contesto della sua elaborazione teorica, emerge tuttavia più di un interrogativo: come è stato possibile che nell’Europa cristiana ormai da secoli si sia perpetrato lo sterminio degli ebrei? Come è potuto accadere che nella religione dell’amore sia stato introdotto l’insegnamento del disprezzo? L’A. vede l’antisemitismo profondamente radicato nella cristianità e ritiene che venga alimentato da un corpus costituito da dottrina, tradizioni e pregiudizi.
Questa la tesi centrale del libro, che suscitò un gran numero di critiche – talora anche aspre – negli ambienti cristiani. Va poi osservato come l’affermazione della continuità storica tra antigiudaismo e antisemitismo costituisse una contestazione radicale al postulato più avanzato della teologia cattolica in materia di filosemitismo, il principio, sostenuto sia da Jacques Maritain sia da papa Ratti, secondo il quale l’ostilità nei confronti degli ebrei era priva di fondamento in quanto anticristiana.
Nella sua estesa e lucida Introduzione, la storica Marie-Claire Maligot afferma che Gesù e Israele si inserisce in un tessuto più ampio di pensieri, di scambi epistolari e orali che, risalenti all’epoca del conflitto, si sarebbero rivelati essenziali per il proseguimento della lotta contro l’«insegnamento del disprezzo» che Isaac non avrebbe abbandonato neanche nel dopoguerra.
Sostenitore di posizioni pacifiste e internazionaliste, nel corso degli anni egli aveva acquisito una sempre maggiore consapevolezza della propria origine israelita: il che non gli impedì di continuare a impegnarsi per il riavvicinamento ebraico-cristiano. Nelle opere successive, elaborate nel corso degli anni Cinquanta, avrebbe ulteriormente sviluppato alcune tematiche trattate in questo saggio: in primo luogo, quella attinente all’antigiudaismo della tradizione cristiana.