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Il libro del gesuita p. Andrea Dall’Asta, dedicato a Edward Hopper, è prezioso per molteplici ragioni. La prima è la cura con cui l’A. prende per mano il lettore e lo accompagna nella vita di Hopper e nella presentazione cronologica delle opere del pittore statunitense. La ricchezza delle immagini e la qualità dell’edizione aiutano a entrare con gusto e piacere nel mondo misterioso e affascinante dell’artista. Altre ragioni di valore di questo libro sono la ricchezza e la varietà dei riferimenti in cui Dall’Asta inserisce Hopper, evidenziando la dimensione dialogica della sua opera, nelle due direttive sincronica e diacronica, con riferimenti a opere del passato e ad artisti suoi contemporanei. Le sezioni dedicate ad Antonello da Messina e a Andy Warhol sono esemplari da questo punto di vista. Così, da un lato, la bellezza e la profondità delle tele di Hopper risultano collocate nel flusso della storia dell’arte; dall’altro, ne guadagna la comprensione della unicità di Hopper.
Inoltre, la parte biblica iniziale, fornendo i riferimenti teologici del tema dell’attesa, che costituisce il filo rosso e l’asse portante della lettura che l’A. fa delle opere di Hopper, inquadra il libro nel filone della meditazione pensosa e delicata. A noi questo è parso un pregio importante: meditazione pausata e lenta, di parola e immagine: soprattutto immagine, trattandosi di un pittore.
Un’altra prerogativa di questo libro è la capacità di scrittura dell’A., che unisce almeno tre elementi non scontati. Il primo è la capacità di passare con scioltezza dal linguaggio piano e semplice con cui descrive le tele – aiutando il lettore non esperto d’arte a «vedere» la tela, cogliendone gli elementi di dettaglio che la compongono, i piani, le linee, i colori – al tono più alto e complesso della loro interpretazione.
Il secondo è l’abilità e l’intuito che lo hanno spinto a inserire una serie di digressioni di approfondimento lungo il percorso della presentazione di Hopper per lasciar sedimentare ciò che è stato visto fino a quel momento e accendere la curiosità di proseguire, perché si avverte che l’A. non si limita a creare un catalogo di opere, né è interessato a coinvolgere il lettore a questo livello, ma intende portarlo alla meraviglia che le ultime opere di Hopper suscitano. A tale riguardo, la scelta dell’immagine posta in copertina non ci sembra secondaria, ma su questo non diremo di più, per lasciare il piacere della lettura (e della scoperta) a chi decidesse di avventurarsi tra le sue pagine.
Il terzo elemento è perciò un’attesa del finale, quasi si trattasse di un libro giallo, per scoprire il segreto sulla cui soglia Hopper è giunto con la sua ricerca ed esplorazione.
Se la parola di Dio apre il testo, le parole dell’uomo lo concludono. Sono quelle che il Novecento letterario ha prodotto per raccontare l’attesa; perciò risulta molto interessante la presentazione di alcuni cammei letterari – Beckett, Joyce e Buzzati – che, per parlare del XX secolo, vengono affiancati a due artisti come Fontana e Rothko.
Scrive Dall’Asta, a proposito della dialettica tra attesa e luce: «Da questa luce verso cui rivolgiamo lo sguardo, attendiamo un messaggio. Questo messaggio nella luce è il testamento spirituale di Hopper. Grazie alla luce, un momento della realtà è sospeso dall’ordinarietà delle nostre azioni, per entrare in relazione con una dimensione ulteriore. Le scene di Hopper sono momenti di vita quotidiana che diventano così istanti che precedono un incontro col “divino”» (p. 201).
Hopper ci aiuta a ri-declinare il senso del viaggio: «Nei quadri di Hopper, l’uomo americano – che attraversa continuamente paesi sconfinati alla ricerca di nuovi spazi – si ferma alla soglia della sua coscienza, in attesa di un messaggio che dia senso al suo viaggio. E sulla soglia attende, guardando oltre l’orizzonte. L’epopea della frontiera americana si sposta così negli spazi della coscienza individuale. Il confine è la porta di casa, una finestra o una porta-finestra che si affaccia sul mare, un bovindo» (p. 202). La scoperta di Hopper può essere un «antidoto» in un tempo nel quale gli Sati Uniti si descrivono con la retorica MAGA.