Il nuovo volume del gesuita p. Pietro Schiavone, preceduto dalla Presentazione del card. Angelo Comastri, è stato pubblicato in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi sui giovani, che si terrà a ottobre, ed è stato redatto in ossequio all’insistente richiesta di papa Francesco ai padri gesuiti di varie nazioni di insegnare a discernere.
La nuova pubblicazione è una sintesi di quanto p. Schiavone ha precedentemente esposto in Il discernimento. Teoria e pratica, con qualche interessante novità in riferimento agli Esercizi Spirituali (ES), il «capolavoro» di Ignazio, in cui occupa un posto di primo piano il discernimento, giustamente considerato il «filo conduttore» di tutti e singoli gli esercizi.
Nel primo capitolo, «Discernimento e culto spirituale», l’A. mette a confronto due versetti della Lettera ai Romani di Paolo (Rm 12,1-2) e gli Esercizi. Paolo, nel primo versetto, propone il fine per cui si discerne «la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto»: fare della propria esistenza un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, e così prestare il proprio culto spirituale. Nel secondo versetto, Paolo elenca le condizioni a cui attenersi per arrivare a individuare effettivamente la volontà divina: affidarsi allo Spirito perché aiuti a non conformarsi con il mondo chiuso al Vangelo e trasformi il modo di pensare della persona, radicandolo in quello di Cristo Signore.
Ignazio, al contrario, dopo avere indicato il fine da raggiungere: «Cercare e trovare la divina volontà nell’organizzare la propria vita» (ES 1,4), per motivi di ordine didattico pone al primo posto la necessità di mettersi e restare sotto l’azione dello Spirito, sia in quanto purificatore (cfr la I Settimana degli Esercizi), sia in quanto santificatore, perché, in e con il Signore Gesù (cfr le altre tre Settimane degli Esercizi), si possa identificare e fare la divina volontà, e così «in tutto amare e servire sua divina maestà» (ES 233), espressione che è equivalente a prestare il «culto spirituale».
Interessante è anche il discorso dell’A. sul significato della ricorrente espressione «gloria di Dio». Dei cinque insegnamenti ricevuti da Ignazio a Manresa, il secondo riguarda «il modo con cui Dio aveva creato il mondo. Gli sembrava di vedere una cosa bianca, dalla quale uscivano raggi e con la quale Dio faceva luce» (Autobiografia, n. 29). Troviamo un’eco di questa esperienza in ES 237,1: «Considerare come tutti i beni e doni discendono dall’alto, per esempio la mia limitata potenza dalla somma e infinita di lassù, e così la giustizia, bontà, pietà, misericordia ecc.; così come dal sole discendono i raggi, dalla fonte le acque ecc.».
Se si tiene presente quanto insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC): «Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (CCC 319), è forse del tutto fuori luogo affermare che dare gloria a Dio significa attribuire a Lui quanto di vero, di buono e di bello si riscontra in sé e negli altri e, «con molto affetto» (ES 234,3), ringraziarLo? Non è quanto faremo con «tutte le creature» per l’eternità: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli» (Ap 5,13; cfr 4,8-10; 7,9-12)?
Inoltre, è noto che l’Ad maiorem Dei gloriam è la formula che caratterizza la spiritualità ignaziana. Per spiegarne il senso, p. Schiavone (cfr pp. 45 s) cita Paolo: «Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 10,31); riporta un testo del CCC: «La gloria di Dio è che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Fare di noi i suoi “figli adottivi per opera di Gesù Cristo” è il benevolo disegno “della sua volontà […] a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1,5-6)» (CCC 294); e conclude affermando che operare per la maggiore gloria di Dio significa pregare, dedicarsi all’apostolato, attendere ai doveri del proprio stato secondo la divina volontà.
Per il resto, l’A. segue lo schema ignaziano: dopo aver detto del discernimento sia spirituale sia delle mozioni degli spiriti, tratta delle condizioni da assicurare per riuscire nell’intento di trovare la divina volontà, dei metodi a cui ricorrere per cercarla, del discernimento comunitario, delle regole da tenere presenti sia quando si è in cammino su vie di purificazione e di illuminazione, sia quando si vive la via unitiva. Degna di nota, a questo proposito, è l’attenzione ad attualizzare le «regole da osservare per avere l’autentico sentire nella Chiesa militante».
Nell’ultima contemplazione degli Esercizi (ES 230-237), Ignazio vuole che si chieda la grazia di poter «in tutto amare e servire sua divina maestà» e che si offra «con molto affetto […] tutto ciò che ho e possiedo», perché «di tutto [il Signore disponga] secondo ogni sua volontà» e, in concreto, perché, sempre e dovunque si possa celebrare il culto spirituale. L’A. sottolinea che l’offerta va fatta «con molto affetto» e anche – sempre animati dall’amore e dalla grazia dello Spirito e alla luce della richiesta della «grazia per rallegrami e godere intensamente di tanta gloria e gioia di Cristo nostro Signore» (ES 221) – in un clima di gioia, anzi, di entusiasmo (pp. 143 ss).
PIETRO SCHIAVONE
Discernere la volontà di Dio. Finalità e dinamiche
Milano, Paoline, 2018, 160, € 14,00.