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Tra il 2004 e il 2013 hanno aderito all’Unione europea ben 11 Paesi situati nelle regioni centro-orientali del Vecchio Continente. Dalla Slovenia alla Lituania, dalla Croazia alla Polonia, dalla Repubblica Ceca alla Bulgaria, dalla Romania all’Ungheria fino alla Lettonia e all’Estonia, si tratta di terre che hanno avuto una storia travagliata dal momento che, per secoli, i loro confini sono stati oggetto di frequenti revisioni. Questi Paesi hanno inoltre vissuto all’ombra di vari Imperi: quello asburgico, l’ottomano, il russo e poi sovietico, il tedesco e persino il francese. Esperienze storiche che ne hanno fatto un interessante crocevia di culture, caratterizzato però sia da una molteplicità di lingue, riti e tradizioni sia dalla frequente insorgenza di conflitti etnico-religiosi, nonché, talvolta, da tentazioni nazionalistiche.
Il giornalista, saggista e narratore Beda Romano ne indaga le diverse peculiarità in queste pagine, nel corso delle quali espone impressioni e ricordi, aneddoti, visite e incontri: tutti elementi che gli consentono di offrire nuove prospettive, proporre inedite chiavi di lettura e, forse, fare giustizia di qualche pregiudizio.
L’A. non trascura di mettere in rilievo come i Paesi in questione abbiano beneficiato dell’allargamento dell’Unione e della liberalizzazione economica, ma si trovino a fronteggiare numerosi problemi di natura sociale e demografica, alcuni dei quali appaiono, almeno nel breve periodo, di ardua soluzione. Egli osserva poi come, in qualche realtà nazionale, lo Stato di diritto sembri oggetto di serie minacce o sia stato messo drasticamente in discussione da provvedimenti volti a limitare, per esempio, l’indipendenza della magistratura rispetto al potere politico o la libertà degli organi di stampa, tanto da diventare – così le avrebbe definite lo slavista Predrag Matvejević – delle «democrature», democrazie incompiute che presentano alcuni tratti tipici delle dittature.
Sono Paesi, infine, che, pur avendo aderito alla Ue, danno talora l’impressione di essere maggiormente in sintonia con la Nato, organizzazione della quale fanno tutti parte, forse a causa della non remota dominazione sovietica e alla luce dell’attuale conflitto russo-ucraino. Hanno deciso di affidarsi, insomma, alla protezione americana.
Si accennava alle pulsioni nazionalistiche: un fenomeno che, nel caso della Croazia, sembra dovuto tanto alle radici medievali quanto all’influenza esercitata dal cattolicesimo, che è nato e cresciuto sui campi di battaglia. Diversa invece appare la situazione ungherese, a proposito della quale osserva l’A.: «Il paese vive nella permanente angoscia dell’occupazione, o meglio della sparizione. Cinque secoli di dominazione turca, austriaca, sovietica hanno lasciato il segno. La stessa Unione europea assume improvvisamente contorni equivoci» (p. 152). Ancora più singolare si configura poi la realtà bulgara, nel cui ambito il sentimento nazionalista si fonda sulle radici slave, sulla religione ortodossa e costituisce inoltre una reazione all’internazionalismo comunista.
L’analisi di Romano si rivela lucida e convincente. Il suo racconto si concede piacevoli digressioni – che hanno per tema l’arte, la musica, le architetture –, che rendono l’itinerario del libro simile a un viaggio lento, meditato, desideroso di cogliere i molteplici aspetti di contesti complessi e sfaccettati. Un percorso arricchito da costanti riferimenti storici, richiami a un passato che appare però ben lontano dall’essere del tutto compreso e fatto proprio.