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Quest’opera nasce da un Convegno tenutosi a Firenze nel 2017 in occasione del 40° anniversario della morte di Cristina Campo – all’anagrafe Vittoria Guerrini –, ai cui scritti si deve riconoscere una trasparenza adamantina, difficilmente rinvenibile nella letteratura italiana del Novecento.
Campo è stata, e per alcune ragioni resta, un personaggio emblematico, peregrino, anche con voce ammaliante e, al tempo stesso, con una serrata volontà nel perseguire la perfezione, ovunque essa sia o si intraveda. Di questa donna, tuttavia, i saggi del volume cercano di intravedere, forse di balbettare, la fonte della gioia: «Chi ci insegnerà la disciplina della gioia, i suoi meravigliosi catechismi? Chi ci rivelerà la sua gravità estrema, il suo valore di comando quale è puro uscito dalla bocca del Verbo: “La vostra gioia sia piena”?».
Queste parole dell’autrice racchiudono non solo la sua solitudine e la profondità della sua spiritualità, ma anche l’estremo rigore che ella aveva nel pensare il Verbo presentato nel Vangelo di Giovanni, di cui tuttavia mostra la tenerezza (euplangnia), riflesso di quella del Padre.
Le due curatrici hanno scandito il volume in quattro sezioni, introdotte da versi dell’autrice. La prima sezione offre i ricordi di due amici cari a Cristina Campo: Gaetano Paolillo e Giuseppina Cardillo Azzaro. La seconda annoda i saggi presentati dai relatori al Convegno fiorentino: José Tolentino de Mendonça, Sauro Albisani, Giuseppe Goisis, Luca Maccaferri e Maria Josep Balsach. Questa sezione, estremamente ricca, apparentemente dissonante e pur volta verso lo stesso centro che è il plesso mente-cuore, sostiene il più ben noto mondo letterario con intuizioni teologiche, spirituali, ascetiche, e soprattutto liturgiche. Chi conosce l’autrice, intravede subito in essa una miriade di Holzwege, che s’inoltrano, anche se separatamente, verso la stessa meta nel folto del bosco.
La terza sezione appartiene alle mani delle curatrici del volume (Maria Pertile e Giovanna Scarca) e dei coordinatori dei lavori (Piero Mazzucca, Arturo Donati). In essa vengono offerti saggi che vertono su percorsi letterari della Campo, ma che tendono a quel mondo che si apre quando la parola stessa tace e il silenzio diventa contemplazione di archetipi spirituali. Dopo la perdita dei genitori, dal 1965 Campo s’inoltrò verso il mistico mondo liturgico d’Oriente: un orizzonte nel quale ella si perse, forse, ritrovandosi in altre inattese dimensioni.
La quarta sezione contiene le lettere che l’autrice inviò a John Lindsay Opie. Questi conobbe Cristina grazie a Elémire Zolla, e nel 1969 venne accolto nella Chiesa ortodossa russa in esilio. John era a gentleman of olden times, dai modi fini e dal discreto sorriso. Egli era solito studiare nella biblioteca del Pontificio Istituto Orientale (che non è il Pontificio Collegio Russicum, come è scritto a p. 152!), un ambiente ben conosciuto e amato da Campo (cfr Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, 277. La poetessa si firmò sul registro della biblioteca: cognome: Campo Guerrini; nome: Vittoria Cristina; professione: scrittrice).
Le lettere parlano di delicati moti della mente, di intensa consonanza spirituale, e si è ben lieti di apprezzare questo clima epistolare che Lindsay Opie desiderò fosse presente negli Atti di questo Convegno (in questa sezione, stranamente, varie referenze a Sotto falso nome dell’autrice sono errate: cfr note 4, 17, 25, 82, 87).
Questi Atti rivelano una più profonda immagine dell’autrice, che spesso viene valutata solo parzialmente. Il libro richiede per la sua lettura un silenzio interiore, un terreno ove i testi abbiano il tempo per la loro differenziata e originale degustazione: Campo è, come si sa, acqua di sorgente che s’insinua ovunque trovi uno spiraglio di ascesa; ascende anche quando si è pensato che sia scesa nei meandri più convulsi di un mondo letterario e religioso quale fu il suo, quello fra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo.