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È indubbio come, per qualsiasi Paese, l’economia costituisca un fondamentale fattore identitario: in altre parole, l’identità nazionale appare strettamente intrecciata con le variabili economiche, vale a dire con ciò che si produce, si consuma, si risparmia, si investe e si scambia con il resto del globo. Ci troviamo dunque nell’ambito delle relazioni internazionali: un contesto che trova la sua descrizione statistico-contabile in documenti quali la bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale sull’estero. Attraverso un serrato confronto con le grandi potenze planetarie, analizzando dati, ma proponendo anche riflessioni di carattere storico e politico, senza però trascurare il mondo delle imprese e la loro proprietà, l’economista Salvatore Rossi procede in un’attenta disamina, volta a individuare quale sia la posizione occupata dall’Italia nel mondo d’oggi.
Ne emerge il quadro di un Paese avanzato, ma caratterizzato dalla presenza di alcune debolezze – in primis la bassa produttività del lavoro, dovuta in gran parte alla piccola dimensione delle aziende – che, soprattutto negli ultimi 20 anni, ne hanno fortemente pregiudicato la crescita. Vendiamo inoltre una minuscola quantità di servizi finanziari, nonché pochi macchinari e dispositivi ad alta tecnologia; non risparmiamo poi in maniera ragguardevole; non riusciamo a far lavorare tutti i nostri concittadini, né godiamo infine di soverchia fiducia da parte dei mercati finanziari.
Le «particolarità negative», secondo l’A., non mancano dunque di certo. Tuttavia esiste, a suo parere, un filo conduttore, tra presente e passato, di cui dovremmo tenere conto: quello che rese possibile la nascita e lo sviluppo di un sistema economico capace di coniugare bellezza e profitto, arte e innovazione, eleganza e tecnologia. Ritrovare questo filo potrebbe costituire la chiave per tornare protagonisti in un mondo che sembra richiedere proprio ciò che il nostro Paese riesce a fare meglio. Lo studioso si domanda quindi se la realizzazione di un nuovo Rinascimento sia alla nostra portata.
Rossi appare incline a rispondere al quesito in maniera affermativa, poiché – dichiara – «ovunque è presente la sorprendente constatazione che in Italia si sa congiungere il bello, e il buon vivere, con la raffinatezza tecnologica. L’eleganza naturale con la creatività, a volte con il genio» (p. 160). Il mondo, che sta diventando sempre più attento a ciò che è leggiadro, sano e rispettoso dell’ambiente, potrebbe chiedere alla Penisola di mostrargli tutte le proprie competenze e capacità, migliorare il livello qualitativo dei suoi prodotti, accrescere la propria rilevanza sui mercati internazionali. Qualora l’Italia fosse in grado di cogliere lo spirito dei tempi nuovi e mettere a frutto le sue indubbie capacità creative e commerciali, l’economia del «bel Paese» conoscerebbe una fase di notevole sviluppo, conseguendo tassi di crescita che restano a tutt’oggi chimerici.
Ci troviamo però di fronte, come si è accennato, a varie debolezze e difficoltà: riusciremo a venirne a capo? Saremo nella condizione di sostenere una concorrenza sempre più agguerrita? Sapremo sfuggire a un declino che è parso, e pare a molti, irreversibile?