Se è vero che i libri sono «finestre sul mondo», «fari eretti nel mare del tempo», come credeva Arthur Schopenhauer, i libri di poesie in particolare sono in grado di fermare il tempo, rendendolo immortale. Questa antologia di liriche è un viaggio nella malattia che restituisce dignità alle storie di pazienti affetti da Alzheimer e ai loro familiari, condannati al silenzio, al vuoto e alla solitudine di una dominante «cultura dello scarto».
La poesia è un canto sacro al di là della malattia, della vecchiaia, della morte, perché «ammette il dolore» e ci aiuta ad avere compassione, ad «accettare di lasciarsi ferire dalla sofferenza degli altri» e ad «imparare a comunicare con linguaggi che vanno oltre la parola».
L’A. invita a riflettere a partire dai frammenti d’eterno di Davide Rondoni, Vivian Lamarque, Alberto Bertoni, Cesare Lievi, Mario Benedetti e molti altri, che avvertono il bisogno di scrivere poesie per lo più autobiografiche. Dai loro componimenti traspare tutto l’amore vero nella dolorosa accettazione della malattia che colpisce le persone care. Il filo rosso che accomuna queste struggenti testimonianze in versi è la lenta via crucis di una sindrome terribile che alla «grammatica del cervello» sostituisce la «grammatica del cuore».
Il morbo di Alzheimer amplifica tutto il grido del mistero ineffabile dell’essere, «arriva a sconvolgere quell’intima verità» nel microcosmo degli affetti domestici e «quei punti di riferimento consolidati nel tempo» in cui da sempre ci si riconosce. È un male oscuro, un’odissea, un «impenetrabile esilio» nella demenza che getta nel buio, sull’orlo dell’abisso di una «deriva cerebrale», di un deficit mentale e fisico.
Siamo creature contrassegnate dalla fragilità, eppure anche nella sofferenza e nell’apatia dell’Alzheimer emergono talvolta preziose tracce di vita e «si accendono gli occhi curiosi su barlumi di realtà» capaci di suscitare sprazzi fugaci di felicità; anche quando la malattia ha operato alcune metamorfosi del corpo, il cuore resta un «cancello aperto a Dio».
La perdita progressiva e devastante della memoria, «custode dell’identità e della temporalità», genera un drammatico senso di impotenza, sospeso tra il ricordo nostalgico del passato e un futuro senza più speranza, lontano dall’«eco di perdute emozioni».
Se «un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi», come affermava Franz Kafka, questo canto d’amore ci fa scoprire che l’unico antidoto al male e alla sofferenza della croce capace di sciogliere il gelo che alberga nel nostro cuore è amare l’altro così come egli è. Sì, «perché quando si ama, si vedono le cose del mondo anche attraverso lo sguardo dell’altro, che diventa come il proprio, ma che, in chi ha l’Alzheimer, si spegne».
L’amore vince tutto e resta l’unica salvezza: «Ogni gesto è preghiera per chi vive alla luce della fede il mistero di una malattia devastante come l’Alzheimer». «Ora artigliaci, Dio, tienici nel tuo alzheimer d’amore, perdiamola tutti la memoria del male». Il pathos di questi versi, tratti da «Alzheimer, madre» di Davide Rondoni, che hanno ispirato il titolo dell’intera raccolta, ci aiuta a comprendere profondamente l’essenza della condizione umana vulnerabile e a lasciarci afferrare dagli «artigli» dell’amore di Dio.