L’affermazione di san Paolo sulla comunità di Corinto: «È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2 Cor 3,3), ci ricorda la preoccupazione che Socrate manifestava nel dialogo platonico Fedro, quando affermava che, se il discorso vuole essere efficace e capace di trasformare l’uomo, deve venire dall’anima di chi parla e raggiungere l’anima di chi ascolta[1].
Se prestiamo attenzione al testo di Paolo, vediamo che il discorso ha, in primo luogo, la forma di una «lettera»: oltre ad avere un autore – Cristo, che è fuori dal tempo e dallo spazio – e un redattore – lo stesso Paolo, mediante il suo ministero nel tempo e nello spazio –, ha un destinatario concreto («voi siete»). Esso è poi parola di Cristo che lo Spirito del Dio vivente, agendo sui destinatari tramite il ministero del redattore, incide nei loro cuori. Ed è parola viva, che al tempo stesso è capace di dare vita, in quanto «ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2 Cor 3,6).
Il discorso che raggiunge l’anima è quello che si mantiene vivo e al tempo stesso dà vita. È «Parola» che esce da Dio, suo «Padre», e che si imprime nell’anima umana tramite l’azione dello Spirito (cfr Gv 14,26). In questo modo il discorso teologico ha, dal punto di vista di chi parla, un’origine trinitaria. La Parola – la Scrittura – diventa fondamento della relazione tra Dio e l’uomo.
Questa Scrittura è «Parola», con la «P» maiuscola e al singolare. Con la «P» maiuscola, perché è Parola di Dio e come tale viene recepita: «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio. [...] E la Parola si fece carne» (Gv 1,1.14). È al singolare, perché è l’unica Parola salvifica, il Figlio di Dio: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Una sola Parola che si traduce in molteplici modi nel tempo (cfr Eb 1,1-2).
E, nel tempo, la Parola stessa fonda l’esercizio della memoria: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24). È la Parola stessa a reclamare la memoria (e, in questo caso, la memoria è strettamente
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