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ABSTRACT – La Biennale di architettura di quest’anno è stata affidata alla direzione delle due progettiste irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara. Diversamente dai loro predecessori degli ultimi anni, le due curatrici non vogliono dare all’architettura un indirizzo sociale o politico: preferiscono porre l’accento sulla realizzazione e la progettazione architettonica. A tal fine hanno stabilito un tema centrale: freespace (spazio libero), definendolo con un manifesto che non intendeva fornire alcuna precisazione concettuale, quanto piuttosto uno stimolo.
Nel padiglione centrale dei Giardini si distribuiscono, in 20 ambienti, 35 contributi di studi di architettura provenienti da tutti i continenti. Tra questi, i curatori ne hanno scelti 16 per uno speciale Close Encounter, con lavori che nascono su progetti del passato: architetti di oggi si incontrano con altri che li hanno preceduti e devono presentare visivamente, per mezzo di un modello, ciò che quelli significano per loro, dandone una nuova interpretazione per i visitatori della Biennale.
Nelle Corderie e nelle annesse Artiglierie dell’Arsenale hanno trovato posto un’altra sessantina di studi. Tra tutti, segnaliamo due contributi, quelli di Anna Heringer, una piccola, ma efficace installazione dal titolo This is not a shirt. It is a playground, a garden, a mud house pensata in un piccolo villaggio del Bangladesh; e quello di Gion A. Caminada, Veser Vrin («vedere Vrin»), un’istallazione sul paese natale dell’architetto svizzero che rappresenta un’architettura del rapporto.
Se per le curatrici è stato facile trasmettere lo spirito del freespace ai partecipanti alle esposizioni, difficile invece lo è stato nel caso dei padiglioni nazionali. Infatti, i loro curatori spesso portano con sé i propri temi e le stesse forme. Eppure c’è stata una grande disponibilità a confrontarsi con il tema proposto.
Con un progetto impegnativo, per la prima volta il Vaticano entra nella cerchia degli Stati che partecipano alla Biennale. Dopo i tentativi non molto incoraggianti delle ultime Biennali d’arte, ora esso si presenta a quella di architettura con un progetto convincente. I due curatori – lo storico dell’architettura Francesco Dal Co e lo storico dell’arte Micol Forti – hanno invitato 10 studi di architettura ad allestire un’esposizione nel vasto parco retrostante il monastero benedettino di San Giorgio Maggiore, progettato da Andrea Palladio. Gli elementi obbligatori loro proposti erano una croce, un altare, dei posti a sedere. Nient’altro. Modello di ispirazione dell’intero progetto è stata la famosa Cappella nel bosco, costruita nel 1920 nel cimitero di Stoccolma dall’architetto svedese Gunnar Asplund (1885-1940). Così si è formato un percorso, in libera sequenza, di undici piccole cappelle, che si trovano sotto e tra gli alberi.
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AN ARCHITECTURE FOUNDED ON RESPONSIBILITY. The XVI Venice Biennale
This year’s Architecture Biennale in Venice, Italy, was curated by Yvonne Farrell and Shelley McNamara. These two Irish architects sought to emphasize architectural realization and planning, and to this end set “freespace” as the theme for the Biennale. Their manifesto purposefully did not define it with any conceptual clarification, but sought to be a stimulus. This article examines the works of numerous architects and the pavilions of Mexico, Peru and the Vatican. The author is professor emeritus of pastoral theology at the Theological Faculty of Frankfurt.