|
ABSTRACT – I 25 anni dalla riforma del pubblico impiego e la volontà del ministro per la Pubblica Amministrazione (PA), Giulia Bongiorno, di assumere 450.000 persone nel prossimo triennio rappresentano l’occasione per ripensare la PA non solamente sul piano organizzativo e giuridico, ma anche su quello etico e antropologico.
La PA italiana è paragonabile a un transatlantico, con circa 3.240.000 dipendenti che fanno dello Stato la più grande azienda del Paese. Ma chi ne tiene il timone? Quanto tempo occorre per virare? Verso dove?
Della riforma Cassese hanno funzionato le finalità generali, ma è stata disattesa la sua effettiva realizzazione, a tal punto che la macchina dello Stato sembra arenata e continuamente sotto assedio.
Inoltre, le ultime leggi che hanno disciplinato comportamenti virtuosi ed efficienti del personale della PA hanno inciso poco sulla realtà. La magistratura, infatti, interviene con sentenze che immobilizzano i pubblici funzionari in un circolo vizioso, per cui questi, per paura che ogni loro azione possa essere valutata in sede giudiziaria, non agiscono più quando invece sono chiamati dalla propria funzione a compiere scelte discrezionali.
A complicare il quadro complessivo intervengono i criteri di scelta ad hominem dei dirigenti pubblici e la selezione del personale che avviene attraverso concorsi più simili ai test mnemonici degli esami universitari che a prove di valutazione delle competenze e delle mansioni che si richiedono sul campo. Il profilo medio dell’amministratore pubblico è quello di una persona anziana, sottodimensionata nei suoi compiti e non adeguatamente qualificata. In questo scenario così complesso, in cui si radicano molti mali del Paese, come è possibile restituire l’arte di amministrare a quanti hanno il dovere di farlo?
Sulla PA pesano alcune scelte fatte nella storia quando si è scelto il principio della stratificazione rispetto a quello della discontinuità: cambiavano le classi dirigenti politiche, ma rimanevano quelle degli amministratori pubblici. Quello che rimane nel DNA della PA è invece uno dei princìpi del cattolicesimo democratico che ha ispirato gli articoli 54 e 98 della Costituzione: l’obbligo di «servire lo Stato» non coincide con quello di «servire il Governo». Il servizio dei dipendenti pubblici deve essere prestato alla nazione intesa come comunità di persone.
Perché questo si concretizzi, occorre contrastare la cultura della corruzione, rivedere la logica dei concorsi, premiare il merito ed evitare di normare tutto, per lasciare agli amministratori la possibilità di dare risposte certe e veloci. Altrimenti, per controllare o bloccare l’iniziativa dei cittadini basterà sempre che manchi un francobollo.
*******
PUBLIC ADMINISTRATION BETWEEN LIGHTS AND SHADOWS
It has been 25 years since the reform of the Civil Service in Italy. Today, an opportunity has arisen to rethink the so-called Public Administration both at an organizational and legal level, and also its ethical and anthropological characteristics. With its approximately 3,240,000 employees, the Civil Service is the largest employer in the Country, but the public administrator’s average profile is that of an elderly person, without much to do and not particularly qualified. We need to oppose the culture of corruption; review the logic used in recruiting, reward merit, and avoid regulating everything so as to give administrators the opportunity to give quick and certain answers. Otherwise, to check or block a citizen’s initiative all that will suffice will be an administrative whim.