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I martiri inglesi
Il tempo della rottura dell’unità religiosa dell’Europa nei secoli XVI e XVII è veramente un periodo drammatico. La profondità delle divisioni e la crudeltà dei conflitti e delle esecuzioni ci turbano ancora oggi, quando cerchiamo di tornarvi per comprendere meglio la storia da cui veniamo e per costruire dialogo sincero, riconciliazione durevole, pace.
Uno dei teatri del dramma è l’Inghilterra, dove dal tempo di Enrico VIII il conflitto si sviluppa non tanto nella dimensione dottrinale, quanto in quella dell’opposizione fra l’autorità del re e quella del Papa, costringendo i fedeli a vivere un conflitto inconciliabile tra la fedeltà al monarca, espressione simbolica dell’unità dello Stato a cui viene asservita una Chiesa nazionale, e quella al Pontefice, espressione dell’unità universale della Chiesa cattolica.
È una vicenda complessa e tutt’altro che lineare, in cui la riforma religiosa viene utilizzata per l’imposizione dell’assolutismo monarchico, e le contrapposizioni confessionali si intrecciano con le situazioni della politica internazionale. Il nemico esterno è identificato via via nel Papa di Roma, nell’Impero spagnolo con la minaccia della sua Armada, nella regina di Scozia, nei ribelli irlandesi…
Al regno dei due primi sovrani Tudor in rotta con Roma – Enrico VIII ed Edoardo VI – segue il regno di Maria, che cerca di ristabilire il cattolicesimo senza rifuggire da metodi violenti e odiosi come i roghi degli «eretici». Ma questo regno finisce in pochissimi anni, mentre quello seguente di Elisabetta, che torna a imporre la riforma, sarà incomparabilmente più lungo ed efficace nell’emarginazione del cattolicesimo.
Tommaso Moro e John Fisher sono le prime famose vittime di questa contraddizione. La loro leale dedizione al bene della patria e il rispetto per l’autorità del sovrano non possono essere messi in dubbio, ma la fedeltà alla loro coscienza religiosa li conduce a pagarne il prezzo con la stessa vita, con il martirio, per cui saranno riconosciuti santi dalla Chiesa cattolica…