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I tragici eventi del gennaio 2022 hanno mostrato ancora una volta che le Repubbliche nate dal crollo dell’Urss sono ancora ben lontane dalla stabilità (il Kazakistan qui non rappresenta un’eccezione, ma solo un esempio).
Grandi però sono le differenze nel modo in cui le élite dominanti reagiscono a tali proteste: si va dal tentativo di consolidare il potere per mezzo di repressioni fino a quello di introdurre alcune riforme, anche se queste a volte possono essere soltanto una foglia di fico dietro cui nascondere il nudo mantenimento del potere. Il fatto che la leadership del Kazakistan abbia indetto un referendum per giugno 2022 può essere interpretato in entrambi i modi. Ma una cosa appare chiara: in caso di fallimento delle riforme, il Paese non potrà certo tornare alla pace.
I disordini del gennaio 2022
Le proteste sono scoppiate il 2 gennaio nelle regioni produttrici di petrolio e gas, che di per sé dovrebbero essere ricche, ma che in realtà sono tra le più povere del Paese. All’inizio, le richieste erano di stampo puramente economico. La ragione immediata era stata l’aumento dei prezzi del gas liquido, che in Kazakistan è molto importante come combustibile per l’autotrazione, dopo che il governo aveva eliminato il controllo dei prezzi; ma quella era solo la causa scatenante in una situazione di malcontento generale.
Le proteste sono scoppiate spontaneamente, ma, come avviene quasi sempre in situazioni del genere, ci sono stati alcuni tentativi di sfruttarle per fini politici. Non è ancora chiaro quale gruppo elitario concorrente sia stato il primo a decidere di sfruttarle. Anche i gruppi islamisti hanno cercato di associarsi a esse.
Gli attori principali però erano i cosiddetti mambet, giovani provenienti da ambienti rurali, che si sono trasferiti nelle grandi città alla ricerca di migliori condizioni di vita. Tuttavia, anche gli estremisti musulmani provengono per la maggior parte da questa fascia sociale, e in questo il Kazakistan non si differenzia da molti altri Paesi.
A uscire vincitori …