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I sentimenti verso la monarchia inglese hanno attraversato momenti di fervore e di appannamento. La regina Vittoria ha goduto la popolarità in età giovanile, ha attraversato un tempo di forte antipatia durante la sua vedovanza fino a vedersi attribuito un elogio universale in occasione del suo Diamond Jubilee nel 1897. La regina Elisabetta II ha dovuto sopportare intrusioni nella vita privata propria e della sua famiglia a un livello finora sconosciuto nella storia. I media hanno cercato di manipolare gli atteggiamenti del pubblico nei momenti di crisi, in particolare nel periodo immediatamente successivo alla morte di Diana, principessa del Galles, nel tentativo di alterarne l’immagine. Ma il vero sentimento della nazione riemerge sempre nei momenti di festa o di lutto nazionale, associato a eventi significativi nel suo regno. Il suo Golden Jubilee nel 2002 fu un trionfo, che si dice l’abbia sorpresa. La morte della regina Elisabetta, la Regina Madre, all’inizio dello stesso anno ha portato uno sfarzo e un dolore sconosciuti dai tempi della morte di re Giorgio VI nel 1952; le telecamere hanno inquadrato persone di ogni generazione che pregavano in strada. Il matrimonio del Duca e della Duchessa di Cambridge lo scorso anno ha visto una folla giubilante sul percorso stradale della cerimonia, e ha dato sollievo alla nazione in un momento di difficoltà economiche.
Nella storia contemporanea la monarchia, con l’eccezione della Spagna, è un fenomeno nord-europeo ridimensionato e in gran parte residuale. Quando il papa Pio XI istituì la festa di Cristo Re nel 1925, i critici si affrettarono a osservare, con la caduta dei troni dopo la Grande Guerra, quanto ciò fosse anacronistico, nonostante i fondamenti biblici e patristici. La scomparsa dell’impero austro-ungarico nel 1918, per i suoi legami con il Sacro Romano Impero, fu visto da molti in termini catastrofici. Il sorgere dei despoti europei del XX secolo, con le loro politiche distruttive, divennero ben presto sostituti indigesti.
Con l’eccezione della parentesi del Commonwealth di Cromwell, l’Inghilterra moderna è stata una nazione stabile in riferimento alla monarchia. Il repubblicanesimo riguarda una piccola minoranza con scarsa influenza al di là dei pregiudizi che alimenta. I monarchi inglesi sono stati popolari, dopo la morte della regina Vittoria nel 1901, in un modo che trascende le loro singole personalità. Ma se l’Inghilterra fosse diventata una repubblica, sarebbe stato improbabile che ognuno degli occupanti del trono britannico venisse eletto presidente. L’unica eccezione avrebbe potuto essere il re Edoardo VIII, la cui popolarità eclissò la severa affidabilità di Giorgio V, suo padre. I golden boy raramente diventano buoni re, mentre è una verità lapalissiana dire che nella vita normale pochi realizzano le promesse giovanili.
Il rito dell’incoronazione
Ciò che distingue i monarchi inglesi, e nel passato quelli francesi, russi e scozzesi, è che essi sono consacrati con il crisma alle loro incoronazioni. Al centro del rito di incoronazione si trova l’unzione: il Decano di Westminster versa l’olio consacrato dall’ampolla a forma d’aquila in un cucchiaio. L’ampolla di oro massiccio fu utilizzata per la prima volta all’incoronazione di Enrico IV nel 1399 e, insieme con il cucchiaio, si pensa sia il solo elemento dei gioielli della corona sopravvissuto alla spogliazione dei tempi di Cromwell; il cucchiaio in filigrana è del XIII secolo. L’arcivescovo di Canterbury unge il Sovrano sul capo, sulle mani e sul cuore. Il monarca viene rivestito con indumenti sacerdotali; poi hanno luogo l’incoronazione reale e il conferimento delle insegne: la spada, gli scettri e il globo.
L’unzione risale ai regni dei re anglosassoni, quando Ecgfrith, il figlio del re Offa di Mercia, fu pubblicamente consacrato nel 787. La liturgia dell’unzione e dell’incoronazione «crea» una persona speciale dedicata al servizio di Dio, una persona non intoccabile e infallibile, né onnipotente o assoluta, ma sacra, consacrata e separata dagli altri e al di là della politica. Una leggenda narra che l’olio usato per l’unzione regale fosse stato dato dalla Madonna apparsa in una visione a san Tommaso di Canterbury nel XII secolo. Più prosaicamente, ai nostri giorni viene dalla Terra Santa. Shakespeare si rifece alla cultura popolare inglese per comprendere il carattere indelebile dell’unzione, quando scrisse nel Riccardo II: Neanche tutta l’acqua dell’aspro mare procelloso / può togliere il balsamo al consacrato.
Il rito dell’incoronazione inglese conserva la regalità sacrale più profondamente di ogni altro. I cinici sono pronti a osservare che la liturgia attuale è stata reinventata per l’incoronazione di Edoardo VII nel 1902 ed è di poco migliore dello sfarzo edgardiano. Ma la struttura rimane all’interno del quadro della liturgia, come si faceva nel Medioevo e in tutte le succesive incoronazioni, poiché gli elementi principali riassunti nell’unzione e nell’incoronazione sono rimasti immutati attraverso le vicissitudini della storia inglese. Nessun altro rito religioso nazionale condivide tale unicità. Un cambiamento interessante per i cattolici è che il rito in precedenza era eseguito davanti al Santissimo Sacramento esposto e — ironia della sorte — l’ultimo re a essere stato così incoronato fu Edoardo VI, il monarca più protestante che abbia occupato il trono inglese.
La natura sacrale della monarchia inglese orienta la personalità della regina Elisabetta II e il suo regno. Per lei l’unzione non è stata una mera formalità a cui sottoporsi in una cerimonia lunga e faticosa e irradiata nel mondo attraverso la novità della televisione di allora. Qualcuno una volta ha chiesto alla regina quale fosse la parte più commovente dell’incoronazione: fu quando l’arcivescovo le mise la corona sul capo? Lei rispose che non fu quello il momento più importante, ma l’unzione, che la riempì di ammirazione di poco inferiore. Ella vede la sua vita non come una fatalità del destino, ma come una vocazione, e questo si manifesta soprattutto nel suo senso del dovere e nella sua chiara fede, sebbene espressa con riservatezza. L’unzione è stata per lei una fonte di grazia, che l’ha separata e rafforzata per il suo compito. La sua consacrazione ha manifestato risultati indelebili che, in un contesto religioso che si riversa nel suo lavoro e nella sua vita, sono evidenti a tutti coloro che pensano in questi termini.
La dimensione religiosa della monarchia
Il concetto di regalità sacrale non fa parte del bagaglio mentale di molti. Gli scandali reali, la rottura di matrimoni, l’occasionale mancanza di tatto di singoli membri della sua famiglia (mai però della Regina), l’eccentricità e la presunta stravaganza di mantenere la monarchia lottano sempre e dovunque per trovare spazio e tempo sulla stampa e sull’etere. Le stranezze sono più interessanti della dedizione. Nel suo lungo regno, Elisabetta II è stata criticata per la sua voce, per i suoi cappelli e vestiti, per i suoi cani e cavalli, per i suoi figli, per la fredda formalità e riservatezza dei suoi modi pubblici. La monarchia, come alcuni credono, è emblema di ricchezza, materialismo, distinzione di classe, privilegio e snobismo, e non ha posto in una società democratica. Ma la monarchia in generale si è rivelata un quadro realistico per i regimi liberal-democratici e rimane utile. Trivialità e risentimento fanno vendere i giornali, garantiscono indici di ascolto e creano la falsa impressione che la nazione sia in confidenza con la famiglia reale. Eppure pochi, oltre la famiglia immediata della Regina e gli amici, sanno quello che ella sia davvero e che cosa pensi.
La dimensione religiosa della monarchia raramente viene considerata, fino a quando non si manifesta, con una franchezza naturale senza esitazioni, nella trasmissione natalizia annuale della Regina. Mentre i vescovi e gli ecclesiastici vengono ignorati e i personaggi pubblici aspramente criticati per aver sostenuto la fede, non una parola di critica si sente quando la Regina afferma semplicemente il fatto centrale del messaggio di Natale: «Dio ha mandato nel mondo un’unica persona – né un filosofo né un generale, per quanto importanti essi siano, ma un Salvatore con il potere di perdonare i peccati» (2011). La Regina ha invitato la nazione «a trovare spazio nella propria vita per il messaggio degli angeli e per l’amore di Dio per mezzo di Cristo nostro Signore». Per lei il cristianesimo è naturale come respirare, ed è espresso con una fedeltà riservata.
Per 500 anni i cattolici hanno avuto un rapporto ambiguo con la Corona. Gli anni di ricusazione hanno imposto una dura prova alla fedeltà che variava da un monarca all’altro. La regina Elisabetta I fu decisa nell’estirpare del tutto il cattolicesimo; tuttavia uno degli atti finali di sant’Edmondo Campion fu quello di pregare per lei sul patibolo. Guy Fawkes e i suoi complici cercarono di assassinare il re Giacomo I in seguito a promesse non mantenute una dopo l’altra, ma il regno di re Carlo I restituì un senso di lealtà condizionale. Successivamente, nonostante le grottesche bugie di Titus Oates, la finzione del complotto papista nel 1678-81 e l’isteria anti-cattolica che questo incoraggiò, i cattolici inglesi furono tenaci nella loro fedeltà. Per secoli l’ufficio del Marshall Earl, incaricato di organizzare i funerali di Stato e l’incoronazione nella Westminster Abbey, è stato di un cattolico nella persona del duca di Norfolk e di altri membri della sua famiglia. Per lungo tempo i cattolici hanno occupato posizioni importanti a Corte e nella vita dello Stato, sia prima sia dopo l’emancipazione cattolica nel 1829. Oggi, ogni opposizione alla Corona da parte dei cattolici ha base individuale e non è una manifestazione comunitaria. L’accoglienza di Giovanni Paolo II a Buckingham Palace nel 1982 e quella di Benedetto XVI a Holyrood nel 2010 sono state occasioni di profonda fierezza per i cattolici di queste isole.
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La Regina è amata come l’ambasciatrice del Regno Unito, immancabile nei suoi doveri, la guardiana del Commonwealth, e una figura luminosa che non ha messo un piede in fallo durante tutto il suo regno. Come nessun capo titolato, ha dato grande stabilità alla Gran Bretagna durante uno dei periodi di più rapidi cambiamenti sociali, politici, tecnologici ed economici. La sua vita è guidata dai princìpi del dovere e del servizio disinteressato; lei impone la lealtà internazionale.