
«Esprimo la mia vicinanza alle migliaia di migranti, rifugiati e altri bisognosi di protezione in Libia: non vi dimentico mai; sento le vostre grida e prego per voi. Tanti di questi uomini, donne e bambini sono sottoposti a una violenza disumana. Ancora una volta chiedo alla comunità internazionale di mantenere le promesse di cercare soluzioni comuni, concrete e durevoli per la gestione dei flussi migratori in Libia e in tutto il Mediterraneo. E quanto soffrono coloro che sono respinti! Ci sono dei veri lager lì. Occorre porre fine al ritorno dei migranti in Paesi non sicuri e dare priorità al soccorso di vite umane in mare con dispositivi di salvataggio e di sbarco prevedibile, garantire loro condizioni di vita degne, alternative alla detenzione, percorsi regolari di migrazione e accesso alle procedure di asilo. Sentiamoci tutti responsabili di questi nostri fratelli e sorelle, che da troppi anni sono vittime di questa gravissima situazione».
Sono le forti parole di papa Francesco dopo l’ Angelus di domenica 24 ottobre scorso, mentre una nuova ondata di migranti dall’Africa e dal Medio Oriente cerca di raggiungere l’Europa dopo il calo dei flussi dovuto alla pandemia.
La sostanza del problema non è diversa dal passato. E anche il punto di vista di papa Francesco: sono persone – non numeri! – spinte ad affrontare rischi e sofferenze altissimi, nella ricerca di possibilità e condizioni di vita libera e dignitosa, fuggendo da situazioni diventate per loro insopportabili.
«Ho passato tre anni nelle carceri sudanesi. Se chiudo gli occhi, mi tornano in mente solo il buio e il silenzio. Il tempo sembrava non passare mai… Dopo tre anni passati rinchiuso in Sudan credevo di essere pronto ad affrontare anche le carceri libiche. Ma, credimi, nessuno può mai essere pronto per quelle… Ci hanno ributtato in cella…, non ho mai visto tanta violenza tutta insieme. Non riesco a trovare le parole. Ma a toglierti il respiro non è tanto quello che subisci in prima persona. Se sei un uomo, bene o male riesci a cavartela. È ciò che vedi e ascolti intorno a te. Sono gli sguardi e le urla delle donne. Non sai quanto ho rimpianto il silenzio e l’oscurità che in Sudan rischiavano di farmi impazzire! In Libia ho imparato che ci sono uomini che di umano non hanno proprio niente».
«Ho conosciuto le carceri di Kufra e Misratah, dove sono stata reclusa per mesi. Sono posti allucinanti, di tortura e di
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