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La complessità del fenomeno del bullismo è legata alla molteplicità di aspetti che lo caratterizzano a livello individuale, sociale, affettivo, psicologico, legislativo ed educativo. Lo si può comprendere ripercorrendo un terrificante fatto di cronaca, forse il più sconvolgente al riguardo per la dinamica con cui si svolse e i particolari agghiaccianti che lo caratterizzarono. Nel febbraio 1993, a Liverpool, venne ritrovato sui binari della ferrovia il corpo mutilato di James Bulger: l’autopsia rivelò che era stato lungamente seviziato e violentato, ed era morto prima del sopraggiungere del treno. La vittima aveva 2 anni e mezzo; gli assassini, R. Th. e J. V., 10 e 11 anni. Una volta arrestati, i due bambini apparvero più sorpresi che spaventati, e non mostrarono alcun segno di pentimento o di ravvedimento. Nel corso del processo emerse come quel terribile episodio di violenza fosse il concentrato di una serie di gravi problematiche, che si assommarono fino a costituire una miscela esplosiva:
- va premesso che i due ragazzi non mostravano segni di patologia: i periti di parte concordarono nel concludere che non soffrivano di problemi o disturbi psichiatrici;
- si riscontrava l’ assenza educativa degli adulti, per lo più parti in causa di questa grave situazione di degrado. I genitori di entrambi erano alcolizzati, violenti, e il patrigno di uno dei due aveva abusato del ragazzo. L’altro passava gran parte del tempo a casa a guardare dvd horror che il padre noleggiava e lasciava incustoditi. Sembra che la trama di uno di questi film (La bambola assassina 3) abbia costituito il canovaccio di torture e vessazioni usate nei confronti del piccolo prima di ucciderlo, compresi i dettagli finali di versare della pittura blu sul viso e abbandonarlo sui binari della ferrovia per essere tranciato[1];
- problemi scolastici. Fin dalle prime classi R. Th. e J. V. non si erano mai inseriti, non mostravano alcuna motivazione allo studio, né legami di amicizia con gli altri compagni, divenendo oggetto di bullismo. Di fronte alle ripetute assenze, alle gravi lacune sulle abilità di base e agli atti di violenza subiti, il personale docente non attuò alcun programma di recupero e neppure cercò di conoscere il retroterra familiare dei due bambini; in tal modo si accentuarono sempre più il loro isolamento e la demotivazione verso l’istituzione scolastica. Per la gran parte della settimana essi saltavano le lezioni, bighellonando per strade e centri commerciali, compiendo piccoli furti e atti vandalici. In una di queste scorribande notarono James Bulger, che si era momentaneamente allontanato dalla mamma, e lo portarono via;
- gravi carenze morali e affettive, legate al fatto di essere stati da sempre abbandonati a se stessi. Uno di loro si decise a confessare solo quando i genitori lo rassicurarono che avrebbero continuato a volergli bene;
- l’indifferenza degli adulti. Oltre al mancato interessamento dei genitori e degli insegnanti, il giorno del delitto ben 38 persone videro il piccolo piangente e sanguinante che cercava di divincolarsi dalla stretta dei suoi accompagnatori, ma nessuno fece nulla[2].
Questo terribile episodio rivela chiaramente le molteplici e gravi problematiche che sono legate al crescente fenomeno del bullismo, e che richiedono di essere prese in considerazione per mettere a punto un’efficace prevenzione. Se il bullismo non viene contrastato, mostrandone apertamente l’inaccettabilità, esso finisce per essere considerato la modalità ordinaria di comportamento e di relazione. Ma soprattutto si manda il messaggio che la violenza è l’unica maniera di farsi valere nella vita: un messaggio che continuerà a influire nel corso dell’età adulta.
A livello scolastico
Un ambito fondamentale è indubbiamente la scuola. Quando si riesce a trattare questi temi in classe, anche rifacendosi a episodi di cronaca da discutere insieme, si nota come i ragazzi acquisiscano con più facilità la consapevolezza delle problematiche in gioco e delle possibili conseguenze delle loro azioni. Il ministero dell’Istruzione e il sito Informagiovani hanno elaborato un elenco di libri sul tema per fasce di età, dall’asilo fino all’età adulta, da proporre in classe o da discutere con i genitori[3].
Proposte specifiche sono state attuate con buoni risultati negli Usa, soprattutto in seguito alla strage avvenuta nel 1999 nel liceo di Columbine. Una di esse è opera dello psicologo Elliot Aronson, chiamata «il metodo puzzle». La classe viene divisa in gruppi composti da 4/5 studenti, di appartenenza e abilità differenti, che devono svolgere un compito a pezzi (puzzle): ogni membro si occupa di un particolare segmento, che poi verrà assemblato come risultato finale del gruppo. Ad esempio, studiare la crisi economica, o la guerra in Iraq, o il terrorismo sotto vari punti di vista (1. politico; 2. culturale; 3. legislativo; 4. nazionale; 5. notizie di cronaca; 6. presentazione di libri e/o 7. di film sull’argomento). Per ogni gruppo c’è un esperto di quel particolare settore che si confronta con gli esperti del settore degli altri gruppi. Alla fine ogni esperto relaziona agli altri membri del suo gruppo, per poi presentare una relazione complessiva sull’argomento. Ogni appartenente viene valutato su tutti i «pezzi» del compito da svolgere, non solo sul proprio: dovrà dunque valorizzare il lavoro degli altri, ascoltarli con interesse e soprattutto interagire con compagni che di solito non frequenterebbe, per raggiungere il risultato finale. È un gioco di squadra, dove si può vincere soltanto insieme.
Il «metodo puzzle» di Aronson è risultato importante non solo per l’interazione con gruppi etnici differenti, ma anche per favorire l’autostima, la socializzazione, la motivazione alla ricerca e il rendimento scolastico, ed è stato introdotto in centinaia di scuole del Nord America[4].
Un altro progetto importante è l’«operatore amico», ormai presente in molti Paesi: esso ha lo scopo di proteggere le vittime, possibili o reali. Si tratta di preparare gli studenti ad agire in modo tale da scoraggiare la prevaricazione, facendo leva sui legami affettivi tra compagni, sulla capacità di ascolto e comunicazione (simile in questo al «metodo puzzle»), così che ognuno possa esprimere e accogliere i contributi vicendevoli: «L’operatore amico viene appositamente addestrato al suo ruolo, e ha sempre un insegnante di riferimento a cui rivolgersi per ogni problema […]. Il risultato interessante è che, nelle classi in cui si utilizza questa metodologia, vi è un generale cambiamento di atteggiamento anche in coloro che non partecipano direttamente all’iniziativa. Infatti i bambini che prima erano spettatori passivi e indifferenti – nei fatti complici del bullo persecutore, poiché non intervenivano in favore della vittima delle prepotenze –, grazie all’esempio e alla presenza dell’operatore amico, danno anch’essi maggiore aiuto e difesa alla vittima, migliorando il clima generale della classe»[5].
È una modalità di educazione all’altruismo che coinvolge sempre più persone: esse, vedendo amici e compagni prodigarsi per il bene di altri, si sentono indotti a fare propria questa modalità di intervento. È l’aspetto positivo dell’atteggiamento di emulazione: il ragazzo, specie nell’età dello sviluppo, cerca dei modelli cui appoggiarsi per esprimere al meglio la propria identità.
Un altro strumento prezioso è dato dalle attività sportive, all’interno o all’esterno delle attività scolastiche: lo sport presenta possibilità straordinarie di incanalare l’aggressività, promuovere lo spirito di squadra, osservare le regole, la disciplina e consentire un buon grado di soddisfazione. Il rapporto con l’allenatore è particolarmente prezioso: egli può diventare un vero educatore e un aiuto per chi è in difficoltà. L’educazione sportiva, se non si limita all’agonismo, può fare molto per trasmettere ideali e modelli di vita capaci di contrastare la sopraffazione.
Il film Coach Carter (2005), di Thomas Carter, presenta la storia vera dell’allenatore di una squadra di basket di successo (gli Oilers della Richmond High School), composta da giocatori di estrazione popolare e disagiata, i quali, privi di un adeguato livello di istruzione, sono facilmente esposti alle derive della violenza e della delinquenza. Perciò egli pone come condizione indispensabile per scendere in campo, oltre a un allenamento faticoso e costante, un livello ottimale di resa scolastica. In tal modo essi hanno potuto accedere all’università e a un lavoro dignitoso, realizzando il sogno di riscatto precluso ai loro padri.
In famiglia
Le famiglie dei bulli non sono caratterizzate necessariamente da una situazione di esplicita violenza, ma dalla mancanza di un affetto adeguato, cioè della capacità empatica del genitore di notare ciò di cui i figli necessitano per la loro età. Quando ne sono privati, essi tendono a diventare anaffettivi o a esprimere la frustrazione in modo distruttivo. In genere si mostrano indifferenti o contenti delle sofferenze altrui.
I ricercatori rilevano in particolare l’importanza fondamentale del padre circa il riconoscimento e il controllo dell’aggressività. Egli ha infatti il compito indispensabile di esprimere l’autorità, proteggere la famiglia, assegnare regole, soprattutto con l’esempio concreto, mostrando di essere il primo a rispettarle. Ma per realizzare tutto questo deve stare con i figli, ascoltarli con interesse ed empatia. La sua assenza, sia fisica sia simbolica, non a caso è correlata a un aumento dei comportamenti legati al bullismo. Nota in proposito la psicologa Felicity de Zulueta, nel suo studio sulla violenza: «Circa il 25% delle famiglie americane è costituito da un singolo genitore, quasi sempre una donna. Una famiglia su 10 in Inghilterra e Galles è composta da un genitore, 9/10 dei quali sono donne […]. Una sempre più numerosa quantità di ricerche sugli effetti dell’assenza del padre da casa indica che, se la trascuratezza paterna è un problema, la maggior parte dei bambini forma forti legami di attaccamento con i loro padri, dai quali traggono considerevoli benefici»[6]. Anche nelle famiglie composte da entrambi i genitori il padre è spesso il grande assente, fisicamente o simbolicamente. Uno studio compiuto nel Regno Unito calcola in 15 minuti il tempo trascorso ogni giorno dai padri con i propri figli, e i dialoghi sono della durata di mezzo minuto[7].
Ascoltare con interesse e dialogare con i propri figli sembra una cosa ovvia ed elementare, eppure è spesso il centro del problema: non si tratta di acquisire chissà quali tecniche, ma di essere disposti a perdere tempo con loro, mandando il messaggio che ciò che sono e fanno è importante agli occhi dei genitori. La carenza di affetto empatico è anche alla base della grave e crescente frattura tra scuola e famiglia: i genitori tendono a essere complici dei propri figli, perché si sentono in colpa nei loro confronti. Vivono l’insufficienza scolastica come un fallimento personale, e così si alleano con i figli contro gli insegnanti: proteggendo loro, vogliono difendere se stessi. Ma non si rendono conto che in questo modo li danneggiano, perché l’insuccesso e il fallimento fanno parte della vita: l’adulto deve aiutare ad affrontarli, non fingere che non esistano. Si può imparare dai propri errori solo quando si è disposti a riconoscerli.
Per contrastare in maniera efficace il bullismo è necessario ritrovare il patto scuola/famiglia, che si è sempre più sgretolato in queste ultime generazioni. In un libro da poco uscito sull’argomento, l’autore, padre di famiglia, si interroga su questa frattura educativa le cui conseguenze più pericolose ricadono proprio sui figli. Egli individua nella paura della fragilità – anzitutto della fragilità del genitore – e nel tentativo di controllare tutto due degli ostacoli più gravi per la crescita. In tal modo infatti si vuole impedire ai propri figli la possibilità di sbagliare, e soprattutto di prendere consapevolezza dei propri errori. Per questo una sbucciatura sulle ginocchia o una bocciatura a scuola possono essere una condizione indispensabile per fare esperienza della realtà: «Quando abbiamo cominciato a pensare alla scuola come all’erogazione di un servizio nel quale il cliente deve avere comunque ragione? […] Perché il sacrosanto diritto di partecipare al cammino dei nostri figli, vigilando anche sugli eccessi, si trasforma sempre più spesso nella giustificazione automatica dei figli stessi? Infine: quando ci siamo convinti che essere genitori volesse dire vivere le loro vite, che fare il loro bene significasse tenerli al riparo dalle difficoltà, dimenticando che le difficoltà sono uno strumento di crescita indispensabile?»[8].
Questi interrogativi sono preziosi per lo stesso genitore, perché eserciti la propria autorevolezza senza paura di fare i conti con i propri limiti o di apparire impopolare. In un tale contesto, esprimere un parere differente non è di per sé un segno di sfiducia o di conflitto: in esso il figlio/a si sente preso sul serio, diversamente dall’assenza o dall’indifferenza a tutto ciò che pensa o sceglie. I figli stessi chiedono questo: alcuni gesti distruttivi sono spesso una richiesta non consapevole di ricevere una norma. È interessante notare l’elevato numero di richieste di iscrizioni a scuole improntate alla vita militare: una precisa tabella di marcia, regole chiare, un’autorità capace di farle rispettare, un gruppo di riferimento sono aspetti ricercati dai giovani come aiuto per una vita ordinata e regolare, per esprimere le loro capacità e contrastare l’ozio e la noia che, come ben sapevano gli antichi, sono il focolaio di ogni possibile vizio[9].
Il ruolo delle istituzioni
Scuola e famiglia sono certamente importanti, ma non bastano per contrastare il fenomeno del bullismo, le cui radici affondano spesso nel degrado sociale e ambientale. Se il problema risiede in una famiglia disfunzionale, essa non potrà dare ciò che non ha. Da qui il contributo indispensabile delle istituzioni per un intervento esterno di aiuto, individuando i punti fragili, ma anche le possibili risorse da valorizzare. L’assistente sociale in questo può fare molto, visitando la famiglia e isolando, grazie all’autorità conferita dalla legge, chi è causa di violenza e sopraffazione. Soprattutto, egli manda il messaggio agli altri componenti che non sono stati abbandonati dalle istituzioni: ciò può costituire il primo passo importante anche per un maggiore coinvolgimento con la scuola. Non si tratta solo di un intervento coercitivo o economico, ma di favorire una migliore interazione e comunicazione con i membri della famiglia, promuovendo l’ascolto e l’empatia, affrontando situazioni di disagio e solitudine, che spesso sono gli elementi più gravi in tali situazioni. Anche una politica del lavoro più attenta al disagio sociale potrà efficacemente contrastare la convinzione che la malavita e la violenza possono garantire ciò che sembra irraggiungibile con la legalità[10].
L’intervento legislativo è un altro passo importante per contrastare il bullismo. Il 1° ottobre 2017 in Germania è entrata in vigore la prima legge al mondo contro hate speech e post offensivi su internet. Essa obbligava i network a cancellare tali messaggi entro il gennaio 2018, pena multe fino a 50 milioni di euro. La medesima legge prescrive che ogni social network designi un rappresentante nazionale cui indirizzare le denunce e, qualora esse superino il centinaio di menzioni, egli dovrà redigere un apposito rapporto ogni 6 mesi, da presentare a una commissione del ministero di Giustizia[11].
In Italia, il 17 maggio 2017 è stata approvata la legge sul bullismo e cyberbullismo, entrata in vigore il 18 giugno 2017. Alla vittima viene garantito il diritto di presentare un’istanza ai gestori dei siti perché i contenuti offensivi vengano oscurati entro 48 ore. La legge prevede anche la stesura di un vademecum per la prevenzione del bullismo nelle scuole, corsi specifici per insegnanti e studenti e la designazione di un docente incaricato di approntare iniziative a tale scopo. Il dirigente scolastico, inoltre, è obbligato a informare i genitori coinvolti[12].
Del luglio 2016 è invece la conclusione del primo processo in Italia per stalking e cyberbullismo in riferimento al suicidio di una ragazza di 14 anni, Carolina Picchio, avvenuto il 5 gennaio 2013. Parallelamente al processo, è stata avviata un’inchiesta sul mancato controllo da parte di Facebook e Twitter dei video, a carattere pedopornografico, messi in rete da uno dei ragazzi incriminati[13].
Esistono comunque anche delle regole di accesso ai social che i genitori sarebbero tenuti a conoscere: ad esempio, non è possibile iscriversi ad alcuni social (come il tristemente noto ask.fm) se si ha meno di 14 anni[14]. Il Movimento italiano dei genitori (Moige) propone che l’iscrizione a Facebook possa essere compiuta solo accertando la maggiore età dell’iscritto, con il consenso dei genitori: «È necessario uno stop al libero ingresso del minore al social network senza un reale e fattivo controllo di mamma e papà, facilmente attuabile con semplici precauzioni all’atto dell’iscrizione. Questa mancanza incide pesantemente sulle responsabilità dei social network in questi eventi drammatici come quelli di Novara e, in precedenza, di Roma. Due suicidi, dicono, per vergogna»[15].
Dall’ottobre 2015 è anche operativo a Milano, presso l’ospedale Fatebenefratelli, il primo centro in Italia per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Benedetta da papa Francesco, che ha incontrato i responsabili, la struttura accoglie ogni anno circa 1.200 ragazzi[16].
Strategie educative per affrontare il cyberbullismo
Ma il mero ambito giuridico e penale ovviamente non basta. È indispensabile una sensibilizzazione educativa, e ciò è dimostrato dal fatto che, nel corso del processo per la morte di Carolina Picchio, gli imputati non riconobbero la gravità e il danno che il loro comportamento aveva avuto sulla vittima[17]. Si è così rimandati all’importanza delle virtù proprie di ogni tempo, come la saggezza, la prudenza e la capacità di riflettere sulle proprie azioni. È in sede di valutazione e di decisione che si trova la radice dei problemi di cui abbiamo notizia dagli eventi di cronaca, eventi non nuovi, ma piuttosto accentuati ed esasperati da una cultura che dà grande spazio all’emotività e all’immagine: «In un ambito online è più probabile che i giovani affrontino da soli il secolare problema del bullismo; e un giovane può essere colto di sorpresa e abbassare la guardia per parlare con un estraneo in base a una falsa sensazione di sicurezza»[18].
Le ricerche in proposito rilevano come risulti indispensabile per la prevenzione la presenza di un adulto competente del mondo online. Chi è sprovvisto dell’aiuto di un adulto ha una possibilità quattro volte superiore di entrare in siti potenzialmente pericolosi[19]. Esercitare la capacità di dialogo e comprendere il non detto è la cosa più preziosa per aiutare chi si trova a fronteggiare i problemi e i desideri propri dell’età della crescita. I genitori spesso sono completamente all’oscuro delle frequentazioni online dei propri figli. La cronaca rileva continuamente la sorpresa che essi puntualmente avvertono nel vedere la polizia postale entrare in casa loro per mobbing persecutori online. Tutto ciò fa capire quanto sia ancora duro a morire il pregiudizio che «finché il figlio/a rimane chiuso in camera sua, si può stare tranquilli». In realtà il «mostro» si trova proprio nella camera, salvo accorgersene, spesso troppo tardi, a cose fatte.
Il tema dell’amicizia effettiva (non puramente virtuale) rimane un altro punto ad esso strettamente collegato per vivere al meglio le possibilità dispiegate da internet: più le relazioni sono numerose, più sono superficiali, di breve durata e soprattutto non forniscono un reale sostegno nel momento della difficoltà e della sofferenza. In molti casi, anzi, esse sono la causa del problema, quando si accettano amicizie con sconosciuti. Quando gli amici di una ragazza vessata decisero di intervenire, essi non solo scelsero di apporre alla fine del messaggio il loro nome e cognome, ma soprattutto rimproverarono al bullo proprio la sua codardia, la sua mancanza di trasparenza, messa in evidenza dall’anonimato. Questo atteggiamento di ferma chiarezza portò in breve alla scomparsa delle vessazioni nei confronti della ragazza, dimostrandosi una modalità di approccio indubbiamente valida anche per il mondo esterno: «Il buonsenso è valido nel cyberspazio come lo è in quello reale»[20].
I riti di passaggio
In tutte le epoche storiche, le varie culture hanno elaborato precisi percorsi per affrontare e gestire l’aggressività. Questo era il significato dei «riti di passaggio» o di iniziazione, costituiti da gesti e cerimonie anche estremamente semplici (come l’investitura della toga per il ragazzo romano, un periodo trascorso fuori casa per alcune società africane come lo Zambia e il Sudafrica, il cerimoniale ebraico del bar mitzvah), ma compiuti al cospetto di una comunità e accompagnati da un adulto. Il messaggio fondamentale che questi riti hanno trasmesso nel corso dei secoli è che si deve entrare in una nuova fase della vita, che presenta nuove caratteristiche, in maniera irreversibile.
Di queste iniziazioni non è rimasto quasi nulla nelle odierne società occidentali, dove al massimo si riscontra il raggiungimento di alcuni traguardi della vita civile (il conseguimento della patente, della laurea, della possibilità di votare). Questi riti non possono tuttavia essere cancellati dall’immaginario di una società, perché hanno ad oggetto l’aggressività, la sofferenza e la morte, in altre parole l’essere umano nella sua verità e fragilità, espresse concretamente dalla corporeità.
Quando vengono disattesi, i riti di iniziazione non scompaiono ma impazziscono, dando origine alle derive del «branco», segno dello stadio primitivo dello sviluppo, incapace di gestire le molteplici dimensioni della corporeità. Le violenze delle baby gang, il bullismo maschile e femminile, gli stupri di gruppo, lo sballo del sabato sera, i comportamenti sessuali a rischio, l’assunzione di droga in gruppo, l’attrazione per l’horror, sono tutti riti di iniziazione impazziti, richieste degenerate di prendere contatto con la dimensione della corporeità, della relazione, dell’aggressività, del pericolo e della morte.
Questi gesti non sono mai un’alternativa ai riti di passaggio, perché non vi è più un’autorità, una comunità in grado di accogliere e ratificare tali richieste. Il rito poteva accoglierli, perché li poneva in relazione a Dio e alla sacralità della vita; questo era il significato del gesto, compiuto dal padre, di strappare il bambino dalle braccia della madre per elevarlo al cielo, un gesto con cui egli riceve la conferma della propria identità: «Il significato di questo gesto è chiaro: si consacrano i neofiti al Dio celeste»[21].
Tale sacralità è stata ugualmente applicata dalle società alla misurazione del tempo, come passaggio da uno stadio all’altro, che mostra una sequenza, senza possibilità di una stasi o di un percorso a ritroso. Insieme al ritmo dei tempi e delle stagioni si snoda e sviluppa la vicenda umana, con le azioni che scandiscono le sue varie tappe: la nascita, il lavoro, il matrimonio, la procreazione, la morte[22].
Una grande opportunità pastorale indubbiamente è offerta, anche sotto questo aspetto, dai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Non a caso, proprio in occasione del conferimento della cresima papa Francesco ha parlato dell’impegno a contrastare il bullismo[23]. Purtroppo, appare altrettanto difficile cogliere il significato anche umano dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, come attesta la sempre più diffusa disaffezione e l’abbandono della pratica religiosa (piuttosto che il loro consolidamento), una volta che sono stati impartiti. Anche a questo proposito risulta estremamente opportuna l’indizione del Sinodo mondiale su «i giovani e la fede» per l’anno 2018[24].
Trasmettere i valori con la vita
Tra i molteplici temi legati al bullismo, l’educazione al digitale oggi è diventata una priorità indispensabile. Ragazzi sempre più piccoli hanno tra le mani uno smartphone, che in apparenza manovrano con abilità, ma di cui per lo più non conoscono il potenziale. Come ci hanno ricordato i casi di cronaca, esso può essere un tesoro, ma anche un’arma pericolosa. Sarà anche il caso di chiedersi quando è bene che ne possiedano uno: stabilire l’età opportuna era uno degli insegnamenti dei riti di passaggio, ed è anche uno degli attuali problemi educativi.
Per questo è indispensabile confrontarsi con chi è esperto. È significativo che i creatori di social network, degli iphone e smarthpone e i dirigenti dei giganti della Silicon Valley (eBay, Google, Apple, Yahoo e Hewlett-Packard) mettano precisi limiti ai propri figli, senza preoccuparsi di risultare impopolari o, come dice Chris Anderson (ex direttore di Wired e ora amministratore delegato di 3D Robotics), «fascisti». Resta il fatto che nessuno dei loro figli accede a iphone e smarthpone prima di un’età minima stabilita (di solito 14 anni), e può usarlo soltanto per una precisa quantità di tempo al giorno (di solito 30 minuti). Il computer viene usato per motivi strettamente scolastici: nessuno schermo è ammesso in camera da letto, e a tavola tutto è rigorosamente spento, perché si faccia conversazione. Le scuole da loro frequentate non prevedono l’utilizzo del digitale, ma i più classici carta, penna, lavagna e gesso. E ovviamente niente tablet o e-book, ma il classico cartaceo, che tra l’altro è sempre più richiesto dagli studenti universitari statunitensi che tengono alla media e alla qualità dell’apprendimento[25]. Chi ha creato il web, evidentemente, ne conosce bene anche le insidie. Specie per i più piccoli.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere chiunque abbia a che fare con preadolescenti. È stato detto che dare uno smartphone o un iphone a un ragazzo è come fargli guidare una Ferrari: può andare ovunque a tutta velocità. Che fare dunque? Anche in Italia stanno sorgendo associazioni di genitori per educare all’uso del digitale e fornire delle regole (una sorta di «patentino») indispensabili. Una di esse, sorta a Milano nel 2011, si chiama Pareidolia, è composta da genitori di preadolescenti e aiuta a fornire regole per un rapporto sano con il digitale, anche a livello scolastico. Il confronto e la riflessione in comune sono la migliore risorsa per affrontare ogni problematica[26]. Questo è solo un esempio: le possibilità di acquisire aiuti e competenze non mancano per chi desidera approfondire la problematica.
Un investimento per il futuro
Il fenomeno crescente del bullismo è difficile da fronteggiare, perché assomma una serie di aspetti complessi, ma fondamentali per il futuro della società. Il bullismo non comporta solo una violenza fisica: può spezzare una vita, procurare traumi che polverizzano desideri e capacità. Contrastarlo non significa solo rendere più tranquilla la vita ordinaria: è consentire ai più giovani di seguire i propri sogni senza esserne defraudati, di esprimere le loro più profonde potenzialità e contrastare le spinte distruttive, legate alla frustrazione e alla noia. «Il bullo che mena le mani esercita un fascino minore nel momento in cui un ragazzo incomincia ad apprezzare altre forme di espressione e di autoaffermazione, altri tipi di conquiste, al di là di quelle immediate e ottenute con la forza fisica»[27].
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COMBATING BULLYING
At the individual, social, emotional, psychological, legislative and educational levels, the complexity of the phenomenon of bullying is linked to the multiplicity of aspects that characterize it. After having presented the main features in a previous issue, the present contribution offers possible ideas to confront it effectively. This task implies some essential priorities: the intervention of the institutions, the new-found school / family alliance, healthy and constructive ways of expressing aggression, and digital education; in addition, tasks which involve people of all ages, even if at different levels. The future of our society is what is at stake.
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[1]. Cfr B. Morrison, «Life after James», in The Guardian, 6 febbraio 2003.
[2]. Cfr «Lessons of an avoidable tragedy», ivi, 25 novembre 1993; A. Oliverio Ferraris, Piccoli bulli crescono. Come impedire che la violenza rovini la vita ai nostri figli, Milano, Rizzoli, 2008, 27-30.
[3]. Cfr www.informagiovani-italia.com/libri_sul_bullismo_scuola_primaria.htm/ www.informagiovani-italia.com/libri_per_combattere_il_bullismo.htm/ C. Anderson et al., «The Influence of Media Violence on Youth», in Psychological Science in the Public Interest 4 (2003) 103; A. Pellai, «La cittadinanza intima», in Psicologia Contemporanea, n. 243, 2014, 24-29.
[4]. N. Sheehy et al., «Aronson, Elliot», in A. J. Chapman – W. Conroy – N. Sheehy, Biographical dictionary of psychology, Abingdon, Taylor & Francis, 1997, 23 s; W. Sadovnik – A. R. Sadovnik, «Functionalist Theories of Education», in D. Levinson – P. Cookson – A. Sadovnik (eds), Education and Sociology. An Encyclopedia, New York, Routledge, 2002, 267–271.
[5]. S. Bonino, Altruisti per natura, Roma – Bari, Laterza, 2012, 115. Bellingreri segnala l’importanza fondamentale di «microcomunità empatiche» in ordine all’educazione all’empatia: comunità in cui si avverte l’accoglienza e l’interesse nei confronti dell’altro, aprendosi così al suo mondo (cfr A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’ empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005).
[6]. F. de Zulueta, Dal dolore alla violenza, Milano, Cortina, 2009, 330. Cfr G. Cucci, «Il padre, figura decisiva nella vita di fede», in Civ. Catt. 2009 III 118-127.
[7]. Cfr www.ons.gov.uk/census/2011census/2011censusdata/2001censusdata
[8]. M. Bussola, «Così ci illudiamo di proteggere i nostri ragazzi», in la Repubblica, 2 ottobre 2017; cfr Id., Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola, Torino, Einaudi, 2017.
[9]. Cfr A. Oliverio Ferraris, Piccoli bulli crescono…, cit., 192; G. Cucci, Il fascino del male. I vizi capitali, Roma, AdP, 2014, 51-58.
[10]. A questo tema è dedicato il libro di F. Occhetta, Il lavoro promesso, Milano, Àncora – La Civiltà Cattolica, 2017 (cfr soprattutto pp. 89-141).
[11]. Il ministro uscente Heiko Maas (Spd), a cui è stato affidato l’incarico di comminare le multe, ha dichiarato: «I crimini legati all’odio sono aumentati del 300% negli ultimi anni. Molta gente abbandona esasperata i social network, perché non ne può più. Ma noi intendiamo proteggere anche la loro libertà di opinione» (T. Mastrobuoni, «Germania, entra in vigore la “legge Facebook”: multe fino a 50 milioni di euro per l’hate speech», in la Repubblica, 2 ottobre 2017).
[12]. Cfr S. De Carli, «Cyberbullismo in Gazzetta Ufficiale: la legge in sette punti», in Vita, 5 giugno 2017. Il diritto di cancellazione dal web di materiale lesivo della propria dignità è riconosciuto a livello europeo, come precisa Lisa Di Berardino, vice questore aggiunto della Polizia postale: «Il 13 maggio del 2014 la Corte di Giustizia Europea con una sentenza ha stabilito che “i cittadini europei hanno il diritto di richiedere, ove sia possibile, ai motori di ricerca l’eliminazione di taluni risultati o link. Ad esempio, Google ha messo appunto un modulo ad hoc per chi volesse richiedere la rimozione dalle sue pagine dei risultati di ricerca di tutti quei link verso contenuti passati, non più rilevanti, o che vanno ad intaccare la “web-reputation” dell’individuo. Successivamente si sono allineati Yahoo e Microsoft con procedure apposite. La sentenza comunque vale per tutti i motori di ricerca che hanno sede in Europa, anche se i loro server sono situati in suolo extra-comunitario». Cfr S. Buscaglia, «Il bullismo cresce ma si può combattere», in Pour femme, 27 giugno 2016.
[13]. Cfr A. Pasqualetto – M. Lancini, «Carolina fu violentata in gruppo», in Corriere della Sera, 25 maggio 2013.
[14]. Cfr G. Cucci, «Bullismo e cyberbullismo: due fenomeni in preoccupante aumento», in Civ. Catt. 2018 I 24-36.
[15]. A. Pasqualetto – M. Lancini, «Carolina fu violentata in gruppo», cit.
[16]. Cfr A. De Cesco, «Siamo stati nell’unico centro italiano contro il cyberbullismo», in Vice News, 11 gennaio 2017.
[17]. «Ciò che ci amareggia – dice l’avvocato [della parte lesa] Pennetta – è l’assoluta mancanza di pentimento per quanto accaduto. L’imputato non solo non ha riconosciuto le proprie responsabilità, come accaduto a Torino per i minorenni, ma non ha mai offerto nemmeno un risarcimento del danno. Nelle motivazioni della sentenza, in ogni caso, il giudice esprime chiaramente una condanna morale al suo comportamento» (M. Benvenuti, «Stalking a Carolina, l’unico maggiorenne patteggia un anno e 4 mesi», in La Stampa, 20 luglio 2016).
[18]. J. Palfrey – U. Gasser, Nati con la rete. La prima generazione cresciuta su Internet. Istruzioni per l’ uso, Milano, Rizzoli, 2009, 142.
[19]. Cfr I. Berson – M. Berson, «Challenging Online Behaviors of Youth: Findings From a Comparative Analysis of Young People in the United States and New Zealand», in Social Science Computer Review 23 (2005) 29-38.
[20]. J. Palfrey – U. Gasser, Nati con la rete…, cit., 144.
[21]. M. Eliade, La nascita mistica. Riti e simboli d’ iniziazione, Brescia, Morcelliana, 1974, 24. Cfr G. Cucci, La crisi dell’adulto, Assisi (Pg), Cittadella, 2014, 83-101.
[22]. Cfr M. Segalen, Riti e rituali contemporanei, Bologna, il Mulino, 2002, 34-35; 46-53.
[23]. «Per favore, state attenti fate la promessa al Signore di mai fare bullying e di mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola e nel vostro quartiere. Capito?!»; cfr T. Radcliffe, Prendi il largo! Vivere il battesimo e la confermazione, Brescia, Queriniana, 2013; P. Caspani – P. Sartor, L’ iniziazione cristiana oggi. Linee teologiche e proposte pastorali, Milano, Centro Ambrosiano, 2005).
[24]. Cfr G. Cucci, «Verso il XV Sinodo dei Vescovi. Giovani, fede e discernimento vocazionale», in Civ. Catt. 2017 III 380-389.
[25]. Cfr N. Bilton, «Steve Jobs Was a Low-Tech Parent», in The New York Times, 10 settembre 2014; M. Richtel, «A Silicon Valley School That Doesn’t Compute», ivi, 22 ottobre 2011; G. Cucci, Internet e cultura. Nuove opportunità e nuove insidie, Milano, Àncora – La Civiltà Cattolica, 2016, 99-110.
[26]. Come spiega una delle fondatrici, Giorgia Aquila: «Ci si chiede quale sia l’età giusta, ma non è questo l’importante. La questione chiave è il fatto che, dando il telefonino ai bambini, si affida loro il mezzo senza la conoscenza. Non gli presteremmo mai l’auto, se non conoscessero i cartelli stradali. Per il cellulare ci vorrebbe un codice etico da rispettare» (G. Fagnan, «Milano, smartphone ma con la patente. Parte il progetto pilota»).
[27]. A. Oliverio Ferraris, Piccoli bulli crescono…, cit., 36.