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Lo scorso 5 marzo, nel cosiddetto «supermartedì» elettorale, non ci sono state sorprese. È ormai praticamente certo che Joe Biden e Donald Trump saranno i candidati, rispettivamente, del Partito democratico e di quello repubblicano alle prossime elezioni di martedì 5 novembre 2024. Si ripeterà la corsa per la Casa Bianca del 2020.
In questo contesto già elettorale, due giorni dopo, Biden ha tenuto davanti alle due camere riunite, Congresso e Senato, il tradizionale discorso sullo stato dell’Unione[1]. Ha esordito ricordando che il suo predecessore Franklin Delano Roosevelt, nel messaggio annuale rivolto al Congresso il 6 gennaio 1941, quando Hitler stava per impadronirsi dell’Europa, espresse la convinzione che l’Unione stesse affrontando un momento senza precedenti nella sua storia[2]. Allo stesso modo, senza mezzi termini, Biden ha affermato che i cittadini americani oggi si trovano ad affrontare una situazione critica, poiché «dai tempi del presidente Lincoln e della guerra civile, la libertà e la democrazia non sono state mai così sotto attacco in patria come oggi».
Questa allusione ha fatto da premessa alla difesa appassionata della necessità di aiutare l’Ucraina e di impedire la vittoria di Vladimir Putin che minaccia l’Europa. In questo modo Biden ha indicato nel suo avversario nazionale la principale minaccia alla democrazia sia in Europa sia negli Stati Uniti, collegando l’importanza di difendere l’Ucraina con l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Con un tono perentorio, ispirato anche dalla consapevolezza di trovarsi già in campagna elettorale, l’attuale presidente ha criticato il suo predecessore e futuro avversario[3].
L’economia nel messaggio al Congresso
Nel discorso alla nazione, Biden ha dedicato particolare attenzione alla politica estera. Ha fatto riferimento alla guerra tra Israele e Hamas e ha ribadito il suo sostegno alla soluzione dei due Stati. Allo stesso tempo, ha presentato in modo ampio e dettagliato la situazione dell’economia nazionale. Ha affermato di aver assunto la presidenza in uno dei periodi più difficili della storia della nazione, ma che ora la pandemia non minaccia più le nostre vite; il vaccino che ci ha salvati dal Covid-19 viene utilizzato per sconfiggere il cancro. Inoltre, ha detto: «Ho ereditato un’economia che era sull’orlo del baratro. Adesso la nostra economia è invidiata da tutto il mondo». Gli Stati Uniti sono tornati sulla via del progresso. La ripresa dell’industria manifatturiera, gli investimenti nelle infrastrutture e le azioni per il clima hanno portato a un impressionante aumento dell’occupazione: 15 milioni di nuovi posti di lavoro in tre anni.
In vista di un secondo mandato, Biden ha presentato un lungo elenco di proposte sociali su sanità, istruzione, alloggio e tasse. Non ha evitato la questione centrale, la grande sfida geopolitica che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare: «Per anni, tutto ciò che ho sentito dire […] è che la Cina è in ascesa e l’America sta arretrando. Hanno capito male. […] Il nostro deficit commerciale con la Cina è sceso al punto più basso in oltre un decennio. Ci stiamo opponendo alle pratiche economiche sleali della Cina». Allo stesso tempo, ha inviato un chiaro segnale che la sua strategia economica continuerà a essere dominata da quella che molti europei considerano una forma di «nazionalismo economico».
Le riflessioni che seguono si soffermano sulla situazione della prima economia mondiale in questo anno di elezioni, in un momento storico che presenta la crisi della globalizzazione, scontri in tanti ambiti e guerre. A tal fine analizzeremo l’attuale programma economico degli Stati Uniti, ne valuteremo la realizzazione e considereremo la sfida più decisiva per quel Paese, ossia se riuscirà a mantenere la sua egemonia nel mondo.
La proposta di Biden nel 2020: «Ricostruire un piano migliore»
Il 9 luglio 2020 l’allora candidato presidenziale democratico Biden espose la sua agenda economica a Dunmore, in Pennsylvania, vicino alla sua città natale di Scranton. Chiamandola Build Back Better Plan («Ricostruire un piano migliore»), la presentò come una visione alternativa al nazionalismo economico dell’amministrazione del presidente Trump, in contrasto con il suo America First. Sottolineava: «Se avrò la fortuna di essere eletto presidente, mi concentrerò sulle famiglie lavoratrici, sulle famiglie del ceto medio da cui provengo»[4].
Delineò un programma volto ad acquistare prodotti americani per sostenere e creare posti di lavoro nazionali. Espresse la convinzione che la vitalità dell’industria manifatturiera nordamericana non era un mero ricordo e che il futuro doveva «essere fatto negli Stati Uniti, tutto negli Stati Uniti». Annunciò investimenti a livelli mai visti dalla Seconda guerra mondiale a questa parte, destinati alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie, energia pulita e intelligenza artificiale. Ribadì il suo piano di riportare al 28% quell’aliquota dell’imposta sulle società che l’amministrazione repubblicana nel 2017 aveva abbassato al 21%. Concluse in tono colloquiale: «Amici, non basta ricostruire, bisogna ricostruire meglio. Ecco perché il mio progetto è ricostruire meglio».
Durante la campagna che lo ha portato alla presidenza, Biden ha chiarito le sue proposte per soddisfare le aspettative di coloro che hanno sofferto di più negli anni successivi alla Grande crisi del 2008, quella classe media che si proponeva di ricostruire: aumentare il salario minimo federale a 15 dollari l’ora; restituire ai lavoratori i loro diritti sindacali; e creare 10 milioni di posti di lavoro nella rivoluzione verso un’economia pulita. Sottolineò che il suo programma economico si sarebbe incentrato su investimenti molto importanti nelle infrastrutture entro 10 anni, come prerequisito per la creazione di posti di lavoro e ricchezza, affinché la classe media americana potesse essere competitiva e vincente nell’economia globale[5].
Una volta realizzato il suo sogno e insediatosi come inquilino della Casa Bianca, queste linee guida sono state pubblicate in The Build Back Better Framework, President Biden’s Plan to Rebuild The Middle Class[6].
Un progetto aderente allo spirito e alle esigenze dei tempi
Quando Biden assunse la presidenza, il 20 gennaio 2021, era certo che negli ultimi decenni, in un’economia globale molto diversa da quella guidata dal suo Paese nel secondo dopoguerra, numerosi lavoratori americani e le loro comunità avevano visto deteriorarsi la loro situazione economica.
Gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare quattro sfide importanti: la loro base industriale si era sostanzialmente ridotta; un nuovo ambiente definito dalla competizione geopolitica produceva impatti economici significativi; l’inasprimento della crisi climatica mostrava l’urgente necessità di realizzare una transizione energetica equa ed efficiente; e la crescente disuguaglianza stava minando la coesione sociale.
Perseguendo il principio di conformarsi ciecamente ai dettami del mercato, in nome della ricerca dell’efficienza economica, senza considerarne le ricadute sociali, intere filiere di beni strategici, con le industrie e i posti di lavoro che li producevano, si erano spostate all’estero, principalmente in Asia. Come risultato, si era dimostrato fallace il postulato secondo cui una profonda liberalizzazione del commercio avrebbe aiutato gli Stati Uniti a esportare beni, e non posti di lavoro o capacità industriale.
Una grande economia non di mercato si era inserita nell’ordine economico internazionale in un modo che poneva considerevoli sfide. La Repubblica popolare cinese (Rpc) aveva sovvenzionato su larga scala sia i settori industriali tradizionali, come l’acciaio, sia le industrie chiave del futuro, come l’energia pulita, le infrastrutture digitali e le biotecnologie avanzate. Di conseguenza gli Stati Uniti avevano visto diminuire il peso del loro settore manifatturiero nel lungo periodo e della loro competitività nelle tecnologie chiave.
Gli Usa non avevano adottato politiche volte a garantirsi la fornitura di energia pulita, stabile e conveniente. Si credeva ancora che fosse necessaria una scelta tra la crescita economica e il raggiungimento degli obiettivi climatici. Mentre le comunità manifatturiere americane si svuotavano, le industrie all’avanguardia si trasferivano nelle aree metropolitane. La classe media americana perse terreno, mentre i più agiati se la passavano meglio che mai. Allo stesso tempo, stavano diventando evidenti gli effetti dei tagli fiscali regressivi, delle profonde contrazioni degli investimenti pubblici e delle misure attive per indebolire il movimento operaio, che inizialmente aveva costruito la classe media americana, ultimamente scossa da una crisi finanziaria globale innescata dalla speculazione finanziaria. Bisognava affrontare la sfida della crescente disuguaglianza.
Con Biden alla Casa Bianca, la pandemia di Covid-19, scatenata nel dicembre 2019, ha presto mostrato la fragilità delle catene di approvvigionamento. Il cambiamento climatico minacciava vite umane e mezzi di sussistenza. Le piogge torrenziali e la siccità, che hanno devastato intere aree, hanno causato perdite nella produzione aggregata[7].
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022, ha mostrato quanto fosse pericoloso ignorare le dipendenze economiche che si erano accumulate in decenni di liberalizzazione. Gli Stati Uniti non soffrivano dell’incertezza energetica come l’Europa, ma le vulnerabilità della catena di approvvigionamento di apparecchiature mediche, semiconduttori e minerali critici hanno rivelato problematiche che potrebbero essere sfruttate per esercitare un’influenza economica o geopolitica. Insomma, la diagnosi era chiara: le conseguenze interne delle politiche economiche internazionali non erano state sufficientemente prese in considerazione[8]. Nello specifico, il cosiddetto «shock cinese», che ha colpito il settore industriale in modo particolarmente duro, con impatti ampi e duraturi, non era stato né previsto né adeguatamente affrontato man mano che si profilava.
Su queste basi, l’opzione decisiva dell’amministrazione Biden, fin dal primo momento, è stata quella di intrecciare più profondamente la politica interna e la politica estera, vale a dire, «quella che abbiamo chiamato una politica estera per la classe media», come ha dichiarato il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, parlando alla Brookings Institution sul rinnovamento della leadership economica americana[9].
Il colpo di timone di Biden
Negli ultimi tre anni l’amministrazione Biden ha cercato di correggere il corso dell’economia. Partendo dagli investimenti nelle infrastrutture – ovvero, ritornando alla tradizione americana che va dalla ferrovia di Lincoln, passando per le autostrade di Eisenhower, fino al viaggio sulla luna di Kennedy –, ha rivitalizzato la base industriale e di innovazione con leggi che hanno fatto la storia, puntando anche ad affrontare le pratiche economiche scorrette di Pechino.
Robert Reich, segretario del Lavoro durante il governo Clinton, ha scritto che Biden stava riportando in vita il capitalismo democratico[10]. Secondo lui, dall’errore dell’amministrazione Obama, che spese troppo poco per far uscire l’economia dalla Grande recessione del 2008, l’attuale leader Usa ha appreso che la pandemia richiedeva una spesa sostanzialmente maggiore, che alle famiglie che lavorano doveva essere dato un sostegno contro le avversità del momento, ed è per questo che nel marzo 2021 è stato avviato il gigantesco Piano di salvataggio americano da 1.900 miliardi di dollari.
Questo piano è stato seguito, nel novembre 2021, da quello infrastrutturale da 1.200 miliardi di dollari, varato per ricostruire ponti, strade, trasporti pubblici, banda larga, sistemi idrici ed energetici. Infine, nell’agosto 2022, Biden ha lanciato l’Inflation Reduction Act, con cui 740 miliardi di dollari saranno dedicati in 10 anni a sussidi e investimenti per la trasformazione energetica e la lotta al cambiamento climatico. Si tratta di un pacchetto di politica industriale e di sostituzione delle importazioni di enormi dimensioni, che la segretaria al Tesoro Janet L. Yellen ha definito «una moderna politica dell’offerta»[11].
Recentemente, il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman si è interrogato sulle ragioni di questo atteggiamento così nazionalista dell’attuale presidente che, a suo avviso, sta cambiando silenziosamente le basi fondanti dell’ordine economico mondiale[12].
Lo stato dell’economia nell’anno delle elezioni
Biden affronta l’«anno elettorale» ricco di risultati e con alcune serie preoccupazioni. La disoccupazione è diminuita e la fiducia dei consumatori è in aumento, ma l’inflazione generale è elevata e gli stipendi non tengono il passo[13]. Scendiamo nei dettagli. Da quando Biden è entrato in carica tre anni fa, si sono aggiunti più di 14 milioni di posti di lavoro. La cifra è ora di quasi 4,9 milioni in più rispetto a prima della pandemia. L’inflazione è salita al livello più alto degli ultimi 40 anni. Nonostante il recente rallentamento, durante l’era Biden i prezzi al consumo sono aumentati complessivamente di quasi il 18%. La benzina è aumentata del 29%. Gli stipendi medi settimanali sono aumentati, ma non di pari passo con i prezzi: al netto dell’inflazione, i guadagni settimanali «reali» sono diminuiti del 3,4%. Sfidando le aspettative, dopo che la Federal Reserve, nel marzo 2022, ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse per frenare l’inflazione, l’economia del Paese è cresciuta del 2,5% nel 2023, facendo registrare il terzo anno consecutivo di crescita economica. Il Pil reale è aumentato del 5,8% nel 2021, e dell’1,9% nel 2022.
Il deficit commerciale di beni e servizi è superiore di circa il 20,9% rispetto a tre anni fa. Il numero dei cittadini privi di assicurazione sanitaria è diminuito. Quello delle persone che ricevono assistenza alimentare federale si è ridotto di oltre 700.000 unità. Il debito pubblico è aumentato di circa il 24,7%. Biden ha promesso di creare un milione di nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero e si sta avvicinando a quell’obiettivo.
L’impatto dei dati economici nell’anno delle elezioni è ovvio: senza dubbio essi influiscono quando c’è da decidere a chi concedere o togliere la fiducia. Sarà decisivo il modo in cui gli elettori li valuteranno. Bisogna considerare anche che molte delle politiche di Biden mirano al lungo termine, in particolare a rivitalizzare l’economia statunitense impegnata in un conflitto con la Rpc, che oggi contende agli Usa la posizione egemonica.
Un clima di tensione crescente
Negli ultimi 50 anni, la Cina, da uno dei Paesi più poveri e isolati al mondo, è diventata il fulcro della catena di approvvigionamento globale. Ha vissuto un boom costante, liberando le forze del mercato e mobilitando le sue immense risorse di forza lavoro ben addestrata e imprenditoriale per natura.
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | INTELLIGENZE ARTIFICIALI E PERSONA UMANA
La nostra epoca sarà ricordata come quella della nascita delle intelligenze artificiali. Ma cosa sono le intelligenze artificiali? Qual è l’impatto sociale di queste nuove tecnologie e quali sono i rischi? A queste domande è dedicata una serie in 4 episodi di Ipertèsti, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Lo scorso dicembre, a Washington, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’US-China Business Council, la segretaria al Tesoro Yellen ha fatto riferimento a questo fatto, che ha cambiato il mondo. Ha sottolineato che un tempo l’apporto della Cina al Pil mondiale era inferiore al 3%, mentre ora è quasi del 18%; che essa è diventata il terzo partner commerciale degli Stati Uniti dopo Canada e Messico, e che gli Usa a loro volta sono al primo posto negli scambi con la Cina. Secondo lei, questo apre una bella opportunità: le esportazioni verso la Cina e gli investimenti provenienti dalla Rpc possono continuare a sostenere l’occupazione statunitense e, accedendo al mercato cinese, le aziende americane possono ridurre i costi di produzione, diventare più competitive e creare ancora più posti di lavoro. «Ma per troppo tempo i lavoratori e le imprese americane non sono stati in grado di competere ad armi pari con quelli cinesi. La Repubblica popolare cinese mette in atto pratiche economiche sleali, che vanno dagli strumenti non commerciali alle barriere all’ingresso per le imprese straniere, alle azioni coercitive contro quelle statunitensi. Queste politiche danneggiano i lavoratori e le imprese americane»[14].
Per le ultime amministrazioni statunitensi, la soluzione a questa controversia commerciale richiede che la Cina rispetti i suoi impegni nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e attui alcune riforme che probabilmente influenzeranno il controllo statale sull’economia. Il presidente Xi afferma continuamente l’impegno cinese nei confronti di un quadro commerciale multilaterale basato su regole, ma secondo gli Stati Uniti la Rpc continua a non rispettare gli impegni assunti nell’ambito dell’Omc[15].
Washington ritiene che siano necessarie nuove regole commerciali anche per affrontare le pratiche economiche della Cina che non sono coperte dagli impegni dell’Omc, in settori quali le imprese statali fortemente sovvenzionate e il commercio digitale. Tali questioni sorgono peraltro in un momento di crescente preoccupazione americana anche per i rischi per la sicurezza nazionale posti dalla Cina, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla tecnologia[16].
A Davos, quest’anno, il consigliere per la Sicurezza Jake Sullivan ha chiarito che «i nostri concorrenti strategici non dovrebbero essere in grado di sfruttare le tecnologie americane per minare la nostra sicurezza nazionale o quella dei nostri alleati e partner. Sarebbe un suicidio»[17]. Al fine di fronteggiare questo problema, l’amministrazione Biden ha adottato misure per regolamentare gli investimenti esteri che coinvolgono tecnologie di potenziale uso militare. Ha affermato che esse non intendono imporre un blocco tecnologico alla Cina, né limitare il commercio e in generale gli investimenti. Sullivan ha aggiunto che l’amministrazione Biden mantiene i suoi impegni nei confronti dell’Omc, minacciata da pratiche e politiche economiche fuori mercato. Ecco perché mira a riformare il sistema commerciale multilaterale, in modo che avvantaggi i lavoratori, tenga conto dei legittimi interessi della sicurezza nazionale e affronti questioni urgenti che non sono pienamente integrate nell’attuale quadro dell’Omc, come lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica.
Oggi è un fatto ben noto che molte aziende americane, di fronte all’approccio economico all’industria e alla finanza promosso dagli attuali leader cinesi, sentendosi non trattate equamente, stanno riconsiderando i loro piani di investimento e gli impegni in termini di risorse, e una percentuale ancora maggiore di imprese ha annunciato l’intenzione di spostare parte della loro operatività fuori dalla Cina. Per questo motivo si parla di un processo di decoupling («disaccoppiamento») già in corso.
Le misure di contenimento delle esportazioni di alta tecnologia da parte degli Stati Uniti e l’orientamento del piano strategico sponsorizzato da Xi Jinping – «Made in China 2025» – per ridurre la dipendenza dalla tecnologia straniera stanno portando a una situazione in cui il mondo gravita attorno a due ecosistemi tecnologici indipendenti: uno focalizzato sugli Stati Uniti e l’altro sulla Cina. «In effetti, l’idea di passare improvvisamente dall’iperglobalizzazione alla non-globalizzazione attraverso un’azione politica, cioè il disaccoppiamento, non riflette la realtà. Quello che stiamo vivendo è un lento, ma costante processo di biforcazione delle tecnologie»[18].
Il clima di rivalità tra le due grandi potenze è evidente[19]. Recentemente, il presidente cinese ha esortato il segretario di Stato americano Blinken ad adottare una visione positiva e costruttiva dello sviluppo della Cina come requisito per migliorare le relazioni[20]. Dopo l’incontro, Blinken ha dichiarato che la Russia avrebbe difficoltà a continuare il suo attacco all’Ucraina senza il sostegno della Cina, e che «se la Cina non affronta questo problema, lo faremo noi»[21].
Il dollaro manterrà il predominio globale?
La Cina ha cambiato la geopolitica globale. Con il suo successo economico e le sue dimensioni, sfida gli Stati Uniti, leader mondiali nella produzione e nella tecnologia dal 1870. Il gigante asiatico è sceso in campo, e ciò che ha già realizzato lo rende il rivale per eccellenza degli Stati Uniti. Preoccupano le sue dimensioni e la sua diversa natura: «È uno Stato illiberale che persegue la leadership in un mondo liberale»[22]. Si teme che possa sfruttare il potere economico acquisito per raggiungere la supremazia politica e militare.
Dal 1945 il sistema economico e commerciale internazionale si basa sul dollaro, ancoraggio del cosiddetto «sistema di Bretton Woods», durato dalla Seconda guerra mondiale fino al 1971, quando il presidente Nixon svincolò la moneta Usa dall’oro e nacque l’attuale sistema di cambi fluttuanti. Da allora il dollaro è rimasto la valuta mondiale più importante. In questa divisa è detenuto circa il 60% delle riserve delle banche centrali, si svolgono due terzi del commercio mondiale e vengono fissati i prezzi delle principali materie prime, come petrolio, acciaio, rame, grano, orzo e mais.
Il vantaggio per gli Stati Uniti è che l’emissione della valuta mondiale rende più facile per loro acquisire le proprie importazioni e chiedere prestiti ad altri Paesi. I suoi sostenitori chiamano questo sistema «ordine internazionale», i suoi critici lo definiscono «egemonia yankee». Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno registrato un doppio deficit: quello della bilancia commerciale e quello del settore pubblico. Tuttavia, data la possibilità di emettere moneta a costo zero, si tratta di «deficit senza lacrime», per usare l’espressione di Jacques-Léon Rueff, consigliere del generale de Gaulle, cioè che non richiede un aumento delle tasse né un deprezzamento del dollaro.
Il fatto di emettere e monetizzare grandi quantità di debito pubblico ha consentito a Washington di condividere con altri Paesi una parte dei costi della propria crescita economica interna e della propria influenza internazionale. Ha reso possibile il sostegno interno a politiche fiscali espansive, che vanno dal programma di welfare Great Society, promosso nel 1964 da Lyndon B. Johnson, all’American Rescue Plan Act di Biden del 2021, per rilanciare l’economia dopo la pandemia. In politica estera, così è accaduto per i costi della ricostruzione postbellica in Europa e Giappone, i conflitti in Corea e in Vietnam, gli interventi militari in Kuwait, Iraq e Afghanistan. Inoltre, l’egemonia del dollaro e il controllo dei sistemi di pagamento internazionali hanno permesso agli Stati Uniti di imporre sanzioni economiche[23]. Questa centralità del dollaro ha rappresentato un «privilegio esorbitante» per Washington, come sottolineava già negli anni Settanta il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing[24].
Un dollaro egemonico ha accompagnato e sostenuto il moderno processo di globalizzazione oggi in fase di ridimensionamento, in cui la Rpc, sebbene sia un gigante economico, vale a dire la seconda economia al mondo e il primo esportatore mondiale, ha rilevanza molto minore sul piano monetario e finanziario. Il ruolo dello yuan nei pagamenti internazionali rappresenta solo il 4,5% del totale, e il suo peso nelle riserve valutarie delle banche centrali non raggiunge il 2,5%. Oggi la Cina è il Paese più attivo nella ricerca di un’alternativa al dollaro[25]. La moneta americana sta per perdere il suo predominio nelle transazioni economiche e finanziarie globali? La sfida è credibile, è reale. Pechino promuove l’e-yuan – il cui utilizzo è ancora limitato e prevalentemente nazionale – nei pagamenti transfrontalieri[26]. Se l’allontanamento della Russia dal dollaro, iniziato dopo l’annessione illegale della Crimea nel 2014, era stato motivato dal timore – e poi dalla realtà – delle sanzioni statunitensi, la campagna del leader brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva per una moneta comune riflette l’idea che il crescente potere e l’influenza dei Brics non possano più essere negati, e che quei Paesi meritino un posto al tavolo monetario più alto, con o senza il consenso degli Stati Uniti.
La campagna cinese d’internazionalizzazione dello yuan riflette il desiderio di proiettare il potere a livello internazionale e di assecondare la spinta verso l’autosufficienza economica e finanziaria. Da questo punto di vista, è improbabile che la singolare preminenza del dollaro sopravviva in un mondo dominato da due grandi economie concorrenti, una sola delle quali beneficia del «privilegio esorbitante» del dollaro.
Lo yuan cinese sarà sicuramente un rivale del dollaro americano, ma non sembra che lo sostituirà. Forse col tempo potrebbero esserci «due sistemi monetari, uno occidentale e uno cinese, che funzionano diversamente e si sovrappongono»[27]. La Cina persegue questo obiettivo passo dopo passo. Non ha fretta perché, come diceva Confucio, non importa quanto vai piano, l’importante è che non ti fermi.
La storia conferma che lo status di moneta internazionale può essere perso. Il distacco dalla sterlina era già iniziato dopo la Prima guerra mondiale. Se l’attuale processo di disaccoppiamento monetario continuasse e il dollaro cessasse di essere la valuta di riferimento mondiale, questo potrebbe rappresentare l’inizio di una lenta scomparsa dell’egemonia statunitense[28], con un processo simile a quanto accaduto nel Regno Unito quando la sterlina iniziò a perdere centralità nel 1914. In questo caso, lo scenario più probabile sarebbe quello della frammentazione monetaria, che porterebbe a una significativa riduzione della globalizzazione. Le ripercussioni sulla potenza economica degli Stati Uniti sono più che evidenti.
Conclusione
Nelle elezioni, come già abbiamo ricordato, la situazione economica influenza l’umore degli elettori. Tuttavia non è del tutto decisiva. L’amministrazione Biden sta mostrando i suoi risultati: «Abbiamo creato quasi 14 milioni di posti di lavoro, di cui 750.000 nel settore manifatturiero. I salari reali sono in aumento. Abbiamo avuto 23 mesi consecutivi di disoccupazione sotto il 4% per la prima volta in mezzo secolo»[29].
L’esito delle elezioni presidenziali statunitensi di novembre prossimo, come la maggior parte di quelle precedenti, dipenderà quasi certamente dalle condizioni economiche interne o, più precisamente, come esse vengono percepite. Fatto sta che i recenti sondaggi suggeriscono che lo scollamento tra percezione e realtà potrebbe essere il problema principale del presidente Biden[30]. Gli elettori terranno in considerazione in tutta la loro rilevanza le misure su cui Biden ha basato il rilancio della leadership americana nel mondo o peserà sul voto l’esperienza di tre anni di inflazione? L’inflazione non è stata forse causata dallo scatenarsi di uno stimolo macroeconomico superiore alla capacità di produzione dell’economia? Un effetto necessario delle politiche economiche del Presidente è stato l’aumento dei prezzi, ed è per questo che Biden è responsabile sia dell’elevata inflazione sia dell’abbondanza di posti di lavoro[31].
Resta da vedere come possano influire altre questioni, come la politica migratoria o la posizione assunta nella guerra di Israele contro Hamas. È noto che, salvo che sulla questione cinese[32], le proposte di Trump sono notevolmente diverse, o addirittura opposte, a quelle di Biden[33]. È più che evidente quanto tutto ciò sia importante per la vita dei cittadini Usa e per quella del resto del mondo.
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[1]. «Remarks of President Joe Biden – State of the Union Address As Prepared for Delivery», 7 marzo 2024, in www.whitehouse.gov/state-of-the-union-2024
[2]. Quell’intervento è noto come The Four Freedoms Speech («Il discorso delle quattro libertà»), in en.wikisource.org/wiki/The_Four_Freedoms_speech
[3]. Cfr C. García Encina, «Comienza la campaña de Biden», in Real Instituto Elcano, 14 marzo 2024 (www.realinstitutoelcano.org/comentarios/comienza-la-campana-de-biden).
[4]. A. Khalid – B. Sprunt, «Biden Counters Trump’s “America First” With “Build Back Better” Economic Plan», in npr (www.npr.org/2020/07/09/889347429/biden-counters-trumps-america-first-with-build-back-better-economic-plan), 9 luglio 2020. Cfr S. Sullivan – J. Stein, «Biden releases U.S.-centered economic plan, challenging Trump’s “America First” agenda», in The Washington Post, 9 luglio 2020.
[5]. Cfr A. Battaglia, «Chi è Joe Biden e qual è il suo programma», in Wall Street Italia (www.wallstreetitalia.com/joe-biden-chi-e-programma), 5 febbraio 2020.
[6]. Cfr The Build Back Better Framework. President Biden’s plan to rebuild the middle class, The White House (www.whitehouse.gov/build-back-better).
[7]. Cfr N. Stern – J. E. Stiglitz – C. Taylor, «The Economics of Immense Risk, Urgent Action and Radical Change: Towards New Approaches to the Economics of Climate Change», in Nber Working Paper Series, Working Paper 28472 (www.nber.org/papers/w28472).
[8] . A livello teorico, è fondamentale fare riferimento alla reazione di P. A. Samuelson, «Where Ricardo and Mill Rebut and Confirm Arguments of Mainstream Economists Supporting Globalization», in Journal of Economic Perspectives 18 (2004/3) 135-146. Cfr D. Rodrik, La globalizzazione intelligente, Roma – Bari, Laterza, 2015.
[9] . Cfr «Remarks by National Security Advisor Jake Sullivan on Renewing American Economic Leadership at the Brookings Institution», 27 aprile 2023 (www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2023/04/27/remarks-by-national-security-advisor-jake-sullivan-on-renewing-american-economic-leadership-at-the-brookings-institution).
[10]. Cfr R. Reich, «Biden has revived democratic capitalism – and changed the economic paradigm», in The Guardian (www.theguardian.com/commentisfree/2023/feb/06/joe-biden-democratic-capitalism-changed-economic-paradigm-reagan-free-market), 6 febbraio 2023.
[11]. U.S. Department of the Treasury, «Remarks by Secretary of the Treasury Janet L. Yellen on the Biden-Harris Administration’s Economic Agenda in Ohio», 27 ottobre 2022 (home.treasury.gov/news/press-releases/jy1057).
[12]. Cfr P. Krugman, «Why America Is Getting Tough on Trade», in The New York Times (www.nytimes.com/2022/12/12/opinion/america-trade-biden.html), 12 dicembre 2022.
[13]. Cfr E. Kiely et al., «Biden’s Numbers, 25 January 2024 Update. Our latest quarterly look at various statistical measures during Biden’s presidency», in FactCheck.org (www.factcheck.org/2024/01/bidens-numbers-january-2024-update), 25 gennaio 2024.
[14]. U.S. Department of the Treasury, «Remarks by Secretary of the Treasury Janet L. Yellen on the U.S.-China Economic Relationship», 14 dicembre 2023 (home.treasury.gov/news/press-releases/jy1994).
[15]. Cfr United States Trade Representative, 2018, Report to Congress On China’s WTO Compliance, febbraio 2019 (ustr.gov/sites/default/files/2018-USTR-Report-to-Congress-on-China%27s-WTO-Compliance.pdf); M. Wu, «The “China, Inc.” Challenge to Global Trade Governance», in Harvard International Law Journal, vol. 57, 2016, 1001-1063 (hls.harvard.edu/bibliography/the-china-inc-challenge-to-global-trade-governance).
[16]. Cfr J. P. Meltzer – N. Shenai, «The US-China economic relationship: A comprehensive approach», Brookings Institution, 28 febbraio 2019 (www.brookings.edu/articles/the-us-china-economic-relationship-a-comprehensive-approach).
[17]. «Remarks and Q&A by National Security Advisor Jake Sullivan at the 2024 World Economic Forum – Davos, Switzerland», 16 gennaio 2024 (www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2024/01/16/remarks-and-qa-by-national-security-advisor-jake-sullivan-at-the-2024-world-economic-forum-davos-switzerland).
[18]. A. García-Herrero, «China and the US might not be decoupling but their technologies are bifurcating», in Bruegel (www.bruegel.org/newsletter/china-and-us-might-not-be-decoupling-their-technologies-are-bifurcating), 16 maggio 2023.
[19]. Cfr E. Economy – M. Pottinger – M. Gallagher – E. Medeiros, «Can China Remake the World?», in Foreign Affairs, 2 maggio 2024.
[20]. Cfr «Il presidente cinese Xi al segretario americano Blinken: “Usa e Cina siano partner, non rivali”», in Rai News.it (www.rainews.it/articoli/2024/04/usa-cina-il-presidente-cinese-xi-incontra-blinken-d0bcf7ab-205c-4e24-8f18-1e756842a381.html), 26 aprile 2024.
[21]. M. Birnbaum – C. Shepherd, «Blinken warns China to address its support for Russia or “we will”», in The Washington Post (www.washingtonpost.com/world/2024/04/25/blinken-china-wang-yi-beijing), 26 aprile 2024.
[22]. E. C. Economy, The Third Revolution: Xi Jinping and the New Chinese State, Oxford, Oxford University Press, 2018, 17.
[23]. Cfr M. Magnani, Il grande scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione, Milano, Bocconi University Press, 2024.
[24]. Cfr B. Eichengreen, Exorbitant Privilege: The Rise and Fall of the Dollar and the Future of the International Monetary System, Oxford, Oxford University Press, 2011.
[25]. Cfr Magnani, Il grande scollamento…, cit., 176-180.
[26]. Cfr B. Eichengreen, Exorbitant Privilege…, cit., 181-194.
[27]. M. Wolf, «A new world of currency disorder looms», in Financial Times (www.ft.com/content/f18cf835-02a0-44ff-875f-7de7facba54e), 29 marzo 2022.
[28]. Cfr B. Eichengreen, «Will the dollar keep its global dominance? The US needs to get its act together», in The Guardian (www.theguardian.com/business/2023/sep/11/us-dollar-global-dominance-us-russia-china-brics), 11 settembre 2023.
[29]. Così Jake Sullivan a Davos.
[30]. Cfr B. Eichengreen, «The US Economy Is Up, so Why Is Biden Down?», in Project Syndicate (www.project-syndicate.org/commentary/biden-popularity-lagging-strong-us-economy-by-barry-eichengreen-2023-08), 10 agosto 2023.
[31]. Cfr «Joe Biden is more responsible for high inflation than for abundant jobs», in The Economist (www.economist.com/leaders/2023/05/11/joe-biden-is-more-responsible-for-high-inflation-than-for-abundant-jobs), 11 maggio 2023.
[32]. Cfr T. Hunnicutt – S. Holland, «Biden sharply hikes US tariffs on an array of Chinese imports», in Reuters (https://tinyurl.com/ytbwz9cc), 14 maggio 2024.
[33]. Cfr N. Roubini, «Trump and the Global Economic Risk Picture», in Project Syndicate (www.project-syndicate.org/commentary/trump-global-economic-financial-outlook-geopolitical-and-policy-risks-by-nouriel-roubini-2024-03), 5 marzo 2024.