I notevoli progressi in campo scientifico e tecnologico degli ultimi decenni stanno fortemente influenzando il modo in cui noi umani ci percepiamo. Una prospettiva umanista e integrata sta lasciando il posto a una prospettiva meccanicista e naturalista. Nell’era digitale, con la tendenza a ridurre tutto l’esistente a informazioni o dati, l’essere umano non viene considerato se non come una complessa macchina biologica che ha raggiunto questo stadio attraverso strade evolutive puramente accidentali. Riguardo a questo punto, la mente umana è vista come un computer altamente sofisticato il cui software di programmazione verrà pienamente conosciuto in un futuro prossimo attraverso la ricerca nelle scienze cognitive. Se da un lato molti intellettuali, tra cui scienziati e filosofi, non sono d’accordo con la prospettiva naturalista, dall’altro lato sono numerosissimi quelli convinti di tale prospettiva. Inoltre, questa prospettiva dell’essere umano viene largamente diffusa dai mezzi di comunicazione, perché fa appello all’immaginario collettivo e sostiene i progressi senza precedenti raggiunti dall’umanità in ambito scientifico e tecnologico. Di conseguenza, la prospettiva naturalista dell’essere umano sta guadagnando sempre più importanza.
L’obiettivo di questo articolo è quello di criticare la suddetta posizione naturalista, a partire da una prospettiva filosofica fenomenologica. Per raggiungere tale obiettivo, presenteremo innanzitutto brevemente le affermazioni principali della posizione naturalista, per poi considerare gli argomenti a favore della prospettiva naturalista riguardo all’essere umano. Questi argomenti, in linea di massima, possono essere suddivisi in tre categorie: evoluzionistica, cognitiva e digitale. In seguito criticheremo tali argomentazioni, evidenziandone i diversi limiti attraverso le opinioni di filosofi come Maurice Merleau-Ponty, Ludwig Wittgenstein e Lynne Rudder Baker.
Le affermazioni della posizione naturalista
Le due affermazioni principali del naturalismo sono rispettivamente di natura ontologica e metodologica[1]. La tesi ontologica afferma che ogni cosa esistente può essere studiata dalla scienza[2]. In altre parole, se qualcosa non può essere studiato dalla scienza, non esiste. Il filosofo americano Wilfrid Sellars esprime la tesi ontologica in questi termini: «La scienza è la misura di tutte le cose, di quello che è ciò che è, di quello che non è ciò che non è»[3]. Di conseguenza, categorie ed entità metafisiche come la mente, la coscienza, l’anima e simili si riducono a realtà puramente fisiche e spiegabili attraverso processi e fenomeni fisici. La tesi metodologica o epistemologica afferma che quello scientifico è l’unico metodo, o il migliore, per acquisire conoscenza[4]. Pertanto, «la chiusura esplicativa del mondo spazio-temporale può essere ragionevolmente considerata un
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento