|
Generalmente si passa in fretta accanto ai frammenti di arte astratta sparsi nello spazio pubblico e nei musei, talvolta con indignazione o ironia. Per la maggior parte delle persone, la mancanza dell’oggetto in un’opera d’arte costituisce un’esperienza sconcertante, associata per lo più all’incapacità dell’artista di creare un modello di disegno. Questo scritto vuole suggerire il contrario, cioè che la scelta di staccarsi dal figurativo è un’opzione coraggiosa, e che gli artisti che hanno fatto questo passo riescono a trasmettere un messaggio universale, al pari dell’arte classica.
Nel centocinquantesimo anniversario della nascita di Piet Mondrian (1872-1944), che ricorre il 7 marzo di quest’anno, risuonano ancora le parole profetiche pronunciate nel 1926 da Katherine Dreier, secondo le quali i Paesi Bassi hanno conosciuto tre grandi artisti, che, «sebbene fossero l’espressione logica della loro nazione, acquisirono risonanza internazionale grazie al vigore delle loro personalità: il primo era Rembrandt, il secondo Van Gogh e il terzo Mondrian». Il successo della mostra in corso al Mudec di Milano e i dibattiti recenti sulla figura dell’artista ci offrono l’occasione di constatare quanto i suoi quadri siano divenuti parte del nostro quotidiano, mentre rivendicano ancora la comprensione della loro portata rivoluzionaria.
L’arte rende l’uomo consapevole
All’inizio, Mondrian si è affermato come un raffinato pittore naturalista. Arrivato a una svolta, egli sceglie con molta determinazione la via dell’astrazione, che non abbandonerà più, nonostante la mancanza di commissioni e la vita di stenti alla quale sarà relegato per molto tempo. Quali sono stati i presupposti di una scelta così radicale? Come si spiega il continuo ritornare dell’artista sulle sue impronte, intervenendo a più riprese sulle sue composizioni? Per rispondere a queste domande, occorrerà introdursi nel vivo della società olandese della fine del XIX secolo e negli importanti cambiamenti avvenuti in essa…