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Cultura e società

Per una politica della felicità

Giovanni Cucci

20 Gennaio 2024

Quaderno 4166

(iStock/Vasyl Dolmatov)

Gli studi sulla felicità concordano nell’osservare come l’accumulo e la corsa al guadagno, considerati garanzia di una vita felice, ne costituiscano, al contrario, gli ostacoli più rilevanti[1]. Non si tratta solo di un insegnamento legato alla vita morale o spirituale. Sono gli stessi economisti a notare come la monetizzazione dell’esistenza vada a scapito della prosperità sociale. Per questo sostengono la necessità di rivalutare l’approccio «sapienziale» piuttosto che utilitarista ai beni, in linea con la tradizione classica.

Uno dei contributi più interessanti su questo tema è quello di Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998. Mettendo a confronto due società molto diverse tra loro – India e Usa –, Sen aveva compreso bene che ciò che crea disagio, più che la povertà, è soprattutto la disuguaglianza, intesa come impedimento a realizzare le proprie doti essenziali; la disuguaglianza, inoltre, porta a operare un confronto tra categorie differenti e, facendo del reddito il simbolo di status sociale, porta alla «disuguaglianza immaginaria» di cui parlava Alexis de Tocqueville, intesa come mancato riconoscimento e stima di sé. È stato detto che il grado di soddisfazione dell’americano medio consiste nel guadagnare 10 dollari in più del vicino di casa.

Ma questi valori non possono essere garantiti da nessun salario, per quanto alto, perché appartengono all’ambito del «senza prezzo», come direbbe il filosofo Paul Ricœur. È il confronto, più che la quantità effettiva di beni, l’ostacolo più grande a godere di ciò che si ha e si è, perché ogni bene ha un valore relativo alla personalità e alla filosofia di vita di ciascuno. In questo senso la povertà, più che al reddito, è legata a una capacità mancata: «Libertà, diritti, utilità, redditi, risorse, beni primari, appagamento dei bisogni, ecc., sono tutti modi diversi di vedere la singola vita delle varie persone, e ciascuna delle prospettive conduce a una differente visione dell’eguaglianza»[2].

Il contributo di Amartya Sen

Per Sen, la promozione dell’essere umano richiede una società che sappia favorire la qualità della vita, le abilità fondamentali della persona, quelle che lei chiama, con un vocabolo divenuto tecnico, capabilities, «capacità», anche se il termine non rende la ricchezza dei significati impiegati da Sen.

Le capabilities sono legate al valere, alla stima di sé, a una contentezza di vivere che è molto più ampia del semplice star bene. Tale nozione è molto vicina alle «potenzialità» e «opportunità» di Aristotele, capaci di promuovere la «piena realizzazione» (fulfillment) dell’essere umano. Sen

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Per una politica della felicità

Giovanni Cucci

Scrittore de La Civiltà Cattolica.


20 Gennaio 2024

Quaderno 4166

  • pag. 105 - 118
  • Anno 2024
  • Volume I

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Economia Felicità Politica

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