Le parole possono raccontare la vita di un uomo? Possono cogliere il mistero di un’esistenza? Jon Fosse, norvegese, premio Nobel per la letteratura 2023, quarto scrittore[1] del Paese scandinavo a vincerlo e primo nella lingua scritta Nynorsk[2], lo tenta nella sua novella Mattino e sera del 2000, pubblicata in Italia solo nel 2019. Ci troviamo di fronte a un autore dalla produzione vastissima, che spazia dalla narrativa alla poesia e al teatro[3]. In Italia è ancora poco conosciuto, poco tradotto e poco rappresentato[4].
Mattino e sera si divide in due parti, ciascuna delle quali è costruita come una frase unica senza punto fermo. È un ininterrotto fluire di parole che dà voce ai personaggi e descrive ambienti: uno sguardo che palpita delicato e accarezza con gentilezza oggetti, persone e ricordi. Come la vita che scorre continua, così la prosa di Fosse in questa novella si dispiega ininterrottamente e si adegua alla «grammatica» dei gesti e degli ambienti semplici nei quali si svolge la vicenda, di fatto concentrata sui due momenti capitali della vita di un essere umano: la nascita e la morte.
Mattino…
Così la prima lunga «frase» è il racconto dell’apprensione di Olai, un
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