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La Bibbia inizia con un giardino, il giardino piantato da Dio nell’Eden (cfr Gen 2,8), e termina con l’evocazione di una città-giardino, la Gerusalemme celeste: «In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni» (Ap 22,2). Anche al suo centro, la Bibbia ospita un giardino, quello del Cantico dei Cantici. Il «centro» in questione, conviene precisarlo, è quello della sequenza dei libri nella tradizione cattolica, ripresa dalla versione greca dei Settanta. Al centro del libro dei libri così organizzato, nel libretto di cui rabbì Akiva ha detto che è il «Santo dei Santi» delle Scritture, vi è un giardino con acque che scorrono e alberi in fiore.
Il fenomeno appena descritto si ripete a proposito della coppia umana[1]. La Bibbia racconta, nelle prime pagine, l’apparire della coppia umana (cfr Gen 2–3), e nelle sue ultime righe fa ascoltare l’invocazione della sposa allo sposo, della Chiesa a Cristo che viene nella sua gloria: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). Ma la Bibbia fa sentire le voci incrociate dell’amata e dell’amato anche nel centro del suo corpus, nel santuario che è il Cantico: «Quanto sei bella, amata mia!»; «Come sei bello, amato mio!» (Ct 1,15-16).
Nelle pagine seguenti vorremmo riflettere su questa duplice prospettiva, che associa il «mistero» del giardino a quello della coppia umana. Perché la coppia si dà un appuntamento nel giardino? Come si declina, fenomenologicamente, l’affinità della coppia e di questo spazio vivente? In che modo la figura antropologica e cosmica della coppia nel giardino è portatrice di una verità teologica? Il Cantico dei Cantici fornirà l’«ambiente» di tale riflessione; è nelle sue pagine che l’invito degli amanti a recarsi nel giardino è espresso più esplicitamente: «Venga l’amato mio nel suo giardino […]. Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa» (Ct 4,16–5,1). Parallelamente all’esplorazione dei testi biblici, si tratterà di scrutare i legami che uniscono – come attraverso una rete di radici comuni – due testi importanti dell’insegnamento di papa Francesco: la lettera enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune (2015) e l’esortazione apostolica Amoris laetitia. Sull’amore nella famiglia (2016). La coppia che viene considerata in questo secondo testo riceve nel primo come uno sfondo e una prospettiva, espressioni del disegno divino.
Ancora e sempre, il giardino
Nella Genesi, la coppia umana appare in un giardino, piantato da Dio, ma affidato alla cura dell’uomo (cfr Gen 2,8). Questo giardino (in ebraico, gan) è un «recinto» (la radice ganan significa «racchiudere, proteggere»), irrigato da quattro corsi d’acqua, dove abbondano le specie vegetali: «Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2,9). In questo microcosmo della creazione l’uomo e la donna si scoprono l’un l’altro, inizialmente colmi dei doni originari.
Se la coppia umana viene poi allontanata da questo giardino per aver trasgredito il comando divino (e l’offerta di vita che celava), il giardino non esce per questo dalla prospettiva biblica[2]: riappare ripetutamente nell’immaginario dei poeti e dei profeti della Bibbia. La metafora del giardino compare così in Is 61,11, quando si tratta di annunciare al popolo in lutto la certezza dell’intervento divino a suo favore: «Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti»[3]. Questa metafora si rivela preziosa fra tutte le altre per indicare la trasformazione che Israele vivrà in seguito all’intervento divino: «Sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (Is 58,11). In Ger 31,12 la stessa immagine è associata a un ritorno da luoghi desertici. Le immagini vegetali, infatti, non hanno uguali per significare la profondità ontologica della guarigione divina: «Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano» (Os 14,6-7). La metafora del giardino – associata ad altre metafore vegetali – sottende così la visione biblica, dimostrando che il mondo e la sua storia sono sempre in «genesi», indipendentemente dalle loro ripetute ferite. Dio è colui che riattiva questa genesi nelle guarigioni che elargisce: egli è «rugiada», il misterioso principio della vita vegetale (Os 14,6; cfr Gen 27,28; Dt 33,13; Sal 133,3).
In un contrappunto sapienziale ai testi profetici, anche il Cantico lo annuncia: qualunque sia l’esilio dal primo giardino, questo continua a sostenere l’immaginario della Bibbia. Il Cantico ricorda in particolare che il giardino è, ancora e sempre, il luogo della comparsa della coppia umana. Non per ripetervi la scelta infelice fatta dalla coppia delle origini, ma per vivervi al contrario nuovi inizi e nuove fedeltà.
Il giardino della metafora
Nel Cantico il giardino è presente innanzitutto nella forma di metafora. Questa è certo ricca di uno sfondo che il lettore non può fare a meno di immaginare: quello dei giardini mediterranei e mediorientali dell’antico Israele[4]. Ma la «realtà» del giardino del Cantico è in primo luogo letteraria, inseparabile dal discorso degli innamorati. Come Robert Alter ha fatto notare nel suo saggio L’ arte della poesia biblica, il Cantico ha, nella Bibbia, una strategia unica in materia di metafore, che lo distingue da tutti gli altri libri (compreso il libro di Giobbe, che si caratterizza per la sua inventiva metaforica)[5]. Le metafore introdotte dagli amanti del Cantico hanno l’effetto di «confondere i confini». Come nel romanzo di Lewis Carroll, i personaggi passano «attraverso lo specchio» e si ritrovano nel mondo della metafora. Le metafore aprono così ai protagonisti del Cantico mondi inediti, che richiedono comportamenti appropriati.
Questo è il caso delle metafore prese in prestito dal mondo vegetale: [Lei:] «Come un melo tra gli alberi del bosco, / così l’amato mio tra i giovani. / Alla sua ombra desiderata mi siedo, / è dolce il suo frutto al mio palato» (Ct 2,3). Per l’amante, non basta vedere l’amato come un melo; c’è da agire di conseguenza: sedersi alla sua ombra e mangiare il suo frutto. D’altronde, due versetti dopo, l’amata implorerà: «Rinfrancatemi con mele» (2,5). Più avanti, l’amato dirà all’amata: «La tua statura è slanciata come una palma / e i tuoi seni sembrano grappoli. / Ho detto: “Salirò sulla palma, / coglierò i grappoli di datteri”» (Ct 7,8-9). Non basta paragonare la figura dell’amata a quella della palma: occorre salire sull’albero e raccoglierne i frutti. Tutto il paradosso del discorso poetico del Cantico è lì, in questo modo di lasciarsi prendere dal gioco delle metafore, ricordandone l’artificio («La tua statura è paragonabile a una palma»).
Una metafora può sostenere una lunga sequenza nel Cantico. Così la metafora del giardino viene sviluppata nei capitoli da 4 a 6, in modo che la giovane donna diventi un giardino: bisogna comportarsi al suo riguardo come ci si comporta nei confronti di un giardino dai frutti lussureggianti. [Lui:] «Giardino chiuso tu sei, / sorella mia, mia sposa» (4,12). [Lei:] «Io sono una fontana che irrora i giardini […]. Venga l’amato mio nel suo giardino / e ne mangi i frutti squisiti» (4,15-16). [Lui:] «Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa» (5,1). [Lei:] «L’amato mio è sceso nel suo giardino / fra le aiuole di balsamo» (6,2).
L’eccellenza della metafora del giardino si riconosce in quanto è al tempo stesso una rivelazione dell’essere della donna amata («Tu sei un giardino») e una «mappa» per l’azione dell’amato, suggerendogli comportamenti appropriati («venire», «scendere», «mangiare»). Tra i capitoli 4 e 6, gli amanti del Cantico sviluppano così il gioco della metafora, al punto da diventare loro stessi un giardino e agire di conseguenza.
Il giardino, l’intimo e l’aperto
Quando nel Cantico la parola «giardino» appare sulle labbra dell’amato, è per esprimere l’intimità segreta della sua compagna: «Giardino chiuso tu sei, / sorella mia, mia sposa, / sorgente chiusa, fontana sigillata» (4,12). Se il giardino è un recinto, hortus conclusus, allora il giardino chiuso a chiave, che protegge una fonte segreta, è il recinto del recinto[6]. Il contesto ci fa intuire il significato sessuale di questo «essere chiuso» della donna. La ricchezza del discorso poetico consente di riconoscervi anche l’espressione della sua intimità personale. Nella parte più profonda dell’amata sorge un mistero (una fonte, una fontana) che ne fa la bellezza. Occorre osservarlo: è l’amante che sviluppa questo linguaggio, dichiarando inviolabile il santuario che è la donna amata. Di esso egli si rende il poeta – e quindi il custode –, grazie alla metafora del giardino: in questo caso, del «giardino chiuso», nelle sue «stanze» più segrete, dove canta un’acqua discreta e vivace.
La risposta dell’amata è sorprendente. Se riprende le immagini del discorso dell’amato, vi infonde un dinamismo inaspettato. Al di là delle sue mura e delle sue siepi, il giardino è anche un luogo aperto: l’hortus conclusus è, per dirla con Rob Aben e Saskia de Wit, a room with no ceiling («una stanza senza soffitto»)[7]. I venti (del settentrione, del meridione) lo attraversano, provenendo da altrove, infondendogli come un respiro profondo; le acque vi sono correnti o scroscianti: «Io sono una fontana che irrora i giardini, / pozzo d’acque vive / che sgorgano dal Libano. / Àlzati, vento del settentrione, vieni, / vieni vento del meridione, / soffia nel mio giardino, / si effondano i suoi aromi» (4,15-16).
Ancora una volta, il contesto suggerisce un’interpretazione sessuale delle immagini, «animate» dal discorso dell’amata (l’amato risponderà dicendo: «Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa» [5,1]). La natura poetica del discorso della donna, tuttavia, rende possibile intendere, oltre alle connotazioni erotiche, un’evocazione dell’essere personale: se è un «giardino chiuso», la donna non è per questo chiusa in se stessa, ma respira anche all’aperto (e così è per chiunque). Ancora una volta, è il giardino che permette di dire al meglio le cose. Se è un luogo chiuso, è anche un luogo aperto: aperto al cielo che cambia, agli elementi atmosferici, alle correnti d’acqua che lo attraversano. Nei suoi aspetti contrastanti, il giardino offre così agli amanti come una parabola del loro essere in relazione, tra il recinto del mistero personale e l’apertura dell’essere in relazione.
Germogli e frutti maturi
Lungo il Cantico, il giardino – o il frutteto e la vigna – è il luogo di una meraviglia che richiede tutta l’attenzione degli innamorati: «Vedremo se germoglia la vite, / se le gemme si schiudono /, se fioriscono i melograni: / là ti darò il mio amore!» (7,13).
Tre volte si tratta dello spettacolo dello sbocciare primaverile (oltre a 7,13, cfr 2,13 e 6,11, «nel giardino dei noci»): gli amanti hanno un appuntamento con il miracolo dei germogli. Una connivenza è alla base di questa attrazione: nella fioritura degli alberi del giardino essi riconoscono la fioritura del loro amore; una stessa germinazione opera nel mondo naturale e nell’unione delle loro persone. La botanica moderna riprenderà il discorso degli innamorati, stabilendo la natura sessuata dei fiori, tra pistillo e stame; l’intuizione degli amanti è per loro sufficiente, invincibile in un certo senso. Di fronte alle vigne o ai melograni in fiore, l’intimità della coppia si scopre all’unisono con l’intera creazione; quest’ultima, da parte sua, celebra lo sbocciare del loro amore. Il giardino primaverile offre così il prodigio dell’inizio, di cui gli innamorati si meravigliano: l’irresistibile gratuità dei boccioli è quella del vincolo del loro amore.
Il giardino degli amanti non è fatto solo di germogli: ci sono anche frutti maturi (1,3; 4,13.16; 7,9.14) e alberi adulti (6,11; 7,8-9; 8,5)[8]. Se l’amore è sempre all’inizio, è anche di casa nella durata, nel tempo prolungato delle promesse e dei giuramenti (cfr 8,6-7). Ecco anche perché è di casa in giardino. Al filosofo Robert Harrison piace dire che i giardini sono luoghi che rallentano il tempo. Le crescite vi hanno ritmi lenti: quello della maturazione dei frutti, della crescita degli alberi[9]. Il giardino sostiene così, con la sua temporalità lunga, le promesse e i giuramenti di cui vivono gli amanti. Come fa notare un personaggio del romanzo di Richard Powers The Overstory, se gli innamorati incidono i loro nomi sui tronchi di grandi alberi, è perché conoscono confusamente la lunga durata di questi compagni silenziosi: «Forse cerchiamo di ferire così gli alberi perché vivono molto più a lungo di noi»[10]. Nella sua versione mistica, il poeta persiano Rumi (1207-73) ha, per così dire, protetto il tronco, quando ha scritto: «L’amore è un albero i cui rami raggiungono l’eternità e le cui radici crescono nell’eternità, e quindi il tronco non è da nessuna parte!»[11]. Qualunque cosa accada al tronco, i giuramenti degli amanti del Cantico si innestano sugli alberi di cui si circondano (fichi, cedri, noci), prendendo in prestito qualcosa della loro longevità.
Il giardino pasquale
Il rapporto che unisce la coppia e il giardino nel Cantico dei Cantici ha ricevuto una sorprendente traduzione cristologica nel Vangelo di Giovanni. Nella scena dell’apparizione in Gv 20, Cristo risorto e Maria Maddalena prendono in prestito i rispettivi ruoli dagli amanti del Cantico. L’elemento più antropologico – il confronto degli innamorati nel santuario del giardino – si rivela il più evangelico. La scena di Gv 20 ha per contesto un giardino, quello della tomba di Gesù: «Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque […] posero Gesù» (Gv 19,41-42).
È verso questo giardino che Maria di Màgdala si affretta ad andare, il primo giorno della settimana, «di mattino, quando era ancora buio» (Gv 20,1). La scoperta della tomba vuota la getta nello sgomento. Agli angeli che le chiedono: «Donna, perché piangi?», lei risponde: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto» (v. 13). Poi si gira e vede Gesù che le chiede a sua volta: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Scambiandolo per il giardiniere, lei gli dice: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» (v. 15).
Chi conosce bene il Cantico, avrà riconosciuto la scena della ricerca dell’amata nel capitolo 3: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato / l’amore dell’anima mia; / l’ho cercato, ma non l’ho trovato. / Mi alzerò e farò il giro della città / per le strade e per le piazze; / voglio cercare l’amore dell’anima mia. / L’ho cercato, ma non l’ho trovato. / Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: / “Avete visto l’amore dell’anima mia?”. / Da poco le avevo oltrepassate, / quando trovai l’amore dell’anima mia. / Lo strinsi forte e non lo lascerò» (Ct 3,1-4). L’incontro tra il Risorto e Maria Maddalena viene così «drammatizzato» grazie allo scenario preso in prestito dal Cantico (è forse questa un’antica testimonianza dell’associazione del Cantico dei Cantici alla festa di Pèsaḥ, che si svilupperà nel giudaismo rabbinico?). Dietro il riferimento al Cantico si nasconde anche un riferimento al giardino delle origini (cfr Gen 2–3). È in un giardino che l’uomo ha perso l’accesso alla vita, ed è in un giardino che la ritrova. Ma la cosa più notevole è che la scena pasquale del giardino integra il dialogo tra l’uomo e la donna. L’opera di Dio per eccellenza – la risurrezione di Gesù Cristo – trova il suo compimento quando riprende il simbolismo antropologico della parola scambiata tra l’uomo e la donna, nel recinto del giardino.
«Questo mistero è grande!»
Pur presentando notevoli variazioni culturali, il simbolo del giardino attraversa tutta la storia: è un universale umano. Esso, tuttavia, è vivo solo nella misura in cui esistono giardini. Più sono minacciati gli equilibri antropologici e ambientali, maggiori sono le sfide sociali, più alberi e giardini devono essere piantati.
Nel suo breve romanzo L’uomo che piantava gli alberi, Jean Giono racconta la storia di un pastore, Elzéard Bouffier, il quale fa rivivere tutta la sua regione, in Alta Provenza, semplicemente piantando, con una delicata ostinazione, ghiande di querce e di faggi. Il pastore provenzale ha trovato un imitatore nordamericano nel romanzo di Richard Powers The Overstory: Douglas Pavlicek, che dal canto suo pianta 50.000 alberi «Douglas blu» per contrastare la deforestazione e la silvicoltura intensiva in California[12].
In modo analogo, è necessario non soltanto preservare i giardini storici, ma anche crearne di nuovi e offrirli alle generazioni future[13]. I grandi architetti di giardini contemporanei (Mirei Shigemori, Jacques Wirtz, Piet Oudolf, Marc Peter Keane, Kathryn Gustafson, per nominarne solo alcuni) sono dei terapeuti dell’umanità. Mettendo in dialogo le specie vegetali, i colori e le forme, costruendo spazi chiusi e prospettive aperte, permettendo alla vita di esprimervisi attraverso le stagioni, essi fanno sorgere santuari, grandi o piccoli, dove l’uomo viene restituito a se stesso. Infatti, come proteggere in se stessi e negli altri il «giardino interiore» se il giardino viene a mancare? «E quando sono nel giardino, che per me è una patria di odori, mi siedo sulla panchina», dice l’eroe della Cittadella[14].
Entrare in un giardino e sedersi è accedere a un luogo in cui si nasce a se stessi, un locus amoenus, caro a Platone e a Erasmo, dove l’uomo può pensare, perché è vicino al suo essere[15]. «Dobbiamo coltivare il nostro giardino», faceva dire Voltaire a Candide (1759), sottintendendo che era tempo di migliorare la condizione umana, lasciando da parte le speculazioni (leibniziane, in questo caso). Oggi occorre rivisitare la frase di Voltaire e prenderla alla lettera, creando giardini (orti, giardini di erbe medicinali, botanici, verticali, urbani, perduti nella natura, di silenzio e di meditazione). Il giardino è certamente un’utopia, o una «eterotopia», come fa notare Michel Foucault: «Il giardino è la più piccola particella del mondo e poi è la totalità del mondo. Il giardino è, dall’antichità, una specie di eterotopia felice e universalizzante»[16]. Ma queste «eterotopie», scrive ancora Foucault, sono «contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo». Disegnare, piantare, far crescere un giardino è progettare nello spazio e nel tempo un appuntamento di noi stessi con noi stessi, nel riconoscimento[17]. Tale appuntamento sarà sempre, in modo privilegiato, quello delle coppie e degli innamorati. «Vieni nel giardino, Maud!», è l’invito rivolto all’amata da Alfred Tennyson (1809-92), il quale dice anche, pensando a lei: «Potrei camminare per sempre nel mio giardino».
Piantare un giardino significa inoltre offrire ai credenti una parabola vivente della fedeltà di Dio nel suo disegno di salvezza, tra il giardino delle origini e quello della risurrezione, nell’attesa della città-giardino che è la Gerusalemme celeste. Nel corso dei secoli, il giardino del Cantico è diventato, nell’interpretazione cristiana, quello dell’incontro tra Dio e l’uomo nelle nozze mistiche, ma anche, preliminarmente, nell’incarnazione del Verbo: «[Cristo] è dunque disceso nel suo giardino – scrive Apponio, monaco italiano del V secolo –, spogliandosi della potenza divina, attraverso la quale è unito al Padre, perché possa accoglierlo la fragilità umana, attraverso la quale è unito all’uomo, divenuto mediatore tra l’uno e l’altro. Nel suo giardino, vale a dire in questo popolo che lo conosceva, dove patriarchi e profeti avevano sudato copiosamente lavorando per istruirlo»[18]. Piantare un giardino significa ravvivare l’origine, il mezzo e il fine del piano di Dio nella sua relazione con gli uomini; significa, in particolare, ravvivare il legame che unisce la coppia e il giardino. Tra l’uomo e la donna, il giardino è il «Santo dei Santi» della riunione, la parabola degli inizi miracolosi e delle crescite fedeli, dell’intimità segreta e della comunione con tutta la creazione e con il suo Creatore. «Questo mistero è grande», dice Paolo a proposito del matrimonio umano e dell’Eucaristia (Ef 5,32). È ugualmente grande il mistero che unisce la coppia e il giardino[19].
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[1]. Cfr in particolare L. Alonso Schökel, I nomi dell’amore. Simboli matrimoniali nella Bibbia, Casale Monferrato (Al), Piemme, 1997. L’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris laetitia si apre con un percorso suggestivo della Bibbia in chiave sponsale e familiare (cfr nn. 8-30).
[2]. Riguardo ai giardini nella Bibbia, cfr in particolare D. M. Carr, The Erotic Word. Sexuality, Spirituality, and the Bible, Oxford, Oxford University Press, 2005; G. Andresen, Gartengeschichten der Bibel, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 2006.
[3]. Si veda il simbolismo nuziale nel versetto precedente (Is 61,10); cfr anche Is 45,8 e la splendida sequenza in Sir 24,12-19.
[4]. Cfr M. Carroll, Earthly paradises: Ancient Gardens in History and Archaeology, Los Angeles (CA), J. Paul Getty Museum, 2003; a proposito del giardino nel Cantico, cfr E. T. James, Landscapes of the Song of Songs: Poetry and Place, Oxford, Oxford University Press, 2017.
[5]. Cfr R. Alter, «Il giardino della metafora», in Id., L’ arte della poesia biblica, Roma – Cinisello Balsamo, GBPress – San Paolo, 2011, 288-317; J.-P. Sonnet, «Du chant érotique au chant mystique. Le ressort poétique du Cantique des Cantiques», in J.-M. Auwers (ed.), Regards croisés sur le Cantique des cantiques, Bruxelles, Lessius, 2005, 79-105.
[6]. A proposito dell’hortus conclusus nel corso della storia, cfr in particolare R. Aben – S. de Wit, The Enclosed Garden: History and Development of the Hortus Conclusus and Its Reintroduction Into the Present-day Urban Landscape, Rotterdam, 010 Publishers, 1999.
[7]. Cfr ivi, 10-19.
[8]. Il Cantico è interamente incentrato sul risveglio sessuale degli amanti nel miracolo del loro incontro. Se la fecondità promessa a questo amore (attraverso la generazione) non è tematizzata, è comunque connotata dalla fertilità dell’ambiente naturale del loro scambio. D’altra parte, le metafore vegetali sono presenti nella Bibbia riguardo alla generazione umana. I bambini sono quindi «il frutto del grembo» (cfr in particolare Gen 30,2; Dt 7,13; Sal 127,3; Is 13,18; Pr 31,2). Il Salmo 128 va oltre nello sviluppo della metafora: «La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa» (v. 3).
[9]. Cfr R. P. Harrison, Gardens: An Essay on the Human Condition, Chicago (IL), University of Chicago Press, 2008, 39.
[10]. R. Powers, The Overstory, London, Vintage, 2018. Cfr J. Sonnet, «L’Albero-mondo. A margine del Sinodo sull’Amazzonia», in Civ. Catt. 2019 IV 116-122.
[11]. C. Barks, Rumi: The Book of Love. Poems of Ecstasy and Longing, New York, HarperCollins, 2003, 121.
[12]. I due personaggi della finzione, tuttavia, sono stati superati da una recente iniziativa che ha coinvolto tutto il popolo etiope. Nella Green Legacy Initiative, l’Etiopia, la seconda nazione più popolosa dell’Africa, sta cercando di rimediare alla massiccia deforestazione che ha colpito il suo paesaggio, il suo clima e la sua vita sociale. Il 5 agosto 2019, 350 milioni di alberi sono stati piantati in 12 ore; l’obiettivo era di piantare quattro miliardi di alberi entro settembre 2019.
[13]. Per un’indagine sui giardini di ispirazione biblica in tutto il mondo, cfr Z. Włodarczyk, «Biblical Gardens in Dissemination of Ideas of the Holy Scripture», in Folia Horticulturae 16 (2004/2) 141-147.
[14]. Cfr A. de Saint-Exupéry, Citadelle, Paris, Gallimard, 1948, 307.
[15]. Cfr, a questo proposito, V. Lingiardi, «Terapeuti giardinieri», in Id., Mindscapes. Psiche nel paesaggio, Milano, Raffaello Cortina, 2017, 191-202.
[16]. Cfr M. Foucault, Le corps utopique – Les hétérotopies, Fécamp, Nouvelles Éditions Lignes, 2009, 23.
[17]. Si veda in particolare la «teologia dell’ambiente» (soprattutto nel contesto urbano svantaggiato) che papa Francesco sviluppa nell’enciclica Laudato si’ (cfr nn. 147-155), auspicando anche la creazione di «spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (Evangelii gaudium, n. 210).
[18]. Apponius, Commentaire sur le Cantique des Cantiques, t. III, Paris, Cerf, 1997, 53.
[19]. Questo testo è pubblicato in memoria di Hubert Brenninkmeijer (1934-2018), marito di Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn. In una prima versione, è apparso in un Album Amicorum, che celebrava i cinquant’anni di vita della coppia: A. Brenninkmeijer-Werhahn (ed.), Ehe: Bestand und Wandel im Miteinander (Matrimonio. Costanza e cambiamento nel vivere insieme), Münster, LIT, Verlag, 2017. All’inizio della vita coniugale, la coppia ha disegnato e piantato un giardino eccezionale a Rhode-Saint-Genèse (Belgio), che ha ispirato questo testo. Ogni «stanza» porta a un’altra, come le età della vita, e accoglie al centro la statua di una coppia, opera di un artista contemporaneo.
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EACH COUPLE IS A “GARDEN”. A biblical perspective
The Bible opens and concludes with the evocation of a garden, as well as that of a couple, but it also houses at its center – the Song of Songs – the representation of a couple in the garden. This article examins this biblical association between the garden and the human couple. Why does the couple meet in the garden? How is this affinity declined, phenomenologically? In what way is the figure of the couple in the garden the bearer of an evangelical truth? At the intersection of the two texts by Pope Francis Laudato si’ and Amoris laetitia, the meditation leads to the urgency of creating gardens of recognition.