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Venerdì 14 giugno, Papa Francesco ha accolto in udienza la Comunità degli Scrittori della Civiltà Cattolica insieme ai suoi più stretti collaboratori, nella Sala dei Papi. Si è compiuto così un appuntamento che, nella storia di 163 anni della rivista, si è ripetuto tradizionalmente all’inizio di ogni Pontificato per rinnovare al Successore di Pietro l’offerta del servizio di apostolato culturale della rivista e per ricevere dal nuovo Papa orientamenti ai quali ispirare il lavoro futuro. Prima dell’incontro, Papa Francesco si è intrattenuto in udienza privata con il direttore p. Antonio Spadaro, e poi anche con il p. Generale della Compagnia di Gesù, p. Adolfo Nicolás. Il discorso di Papa Francesco è stato pubblicato nel precedente fascicolo della rivista. Qui vogliamo riprenderlo per darne una lettura ed esprimere la gratitudine del Collegio degli Scrittori.
Papa Francesco ha innanzitutto ribadito un «tratto essenziale» della natura della Civiltà Cattolica: lo stretto legame tra la rivista e il Papa. Più avanti il Pontefice ha riconosciuto la nostra rivista come «unica nel suo genere», anche perché «nasce da una comunità di vita e di studi» in quanto i suoi redattori sono solamente gesuiti. È confermata quindi una tradizione viva sin dal 1850, che fa della nostra rivista un unicum, espressione del carisma proprio della Compagnia di Gesù e del suo «quarto voto» di obbedienza al Papa. Confermato questo legame, il Santo Padre ha dato alcune indicazioni precise sul modo di procedere e su come impostare il nostro lavoro culturale. Le ha riassunte in tre parole: dialogo, discernimento e frontiera.
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La prima parola è dialogo. Il Papa ha ricordato la storia della rivista e soprattutto il fatto che La Civiltà Cattolica aveva inizialmente assunto un atteggiamento combattivo e spesso anche aspramente polemico, in sintonia con il clima generale dell’epoca nella quale è nata. Papa Francesco non ha invitato a rinnegare la storia, ma a prendere spunto da essa. La vis polemica resta un valore se diretta contro «le ipocrisie frutto di un cuore chiuso, malato». Il Pontefice durante i suoi primi 100 giorni di ministero più volte si è dimostrato molto severo nei confronti della corruzione, perché capace di rendere malati i rapporti umani, di sviluppare falsità e ipocrisie. La Civiltà Cattolica è chiamata, in questo senso, anche a una missione di denuncia. Ma la pars destruens non è affatto sufficiente. Il primo scopo della rivista è quello di «costruire ponti», di dialogare con la cultura contemporanea, con l’uomo di oggi. Come fece Giovanni Paolo II in occasione dei 140 anni della rivista, così anche Papa Francesco ha richiamato la Gaudium et spes (n. 92) per ricordare la necessità di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità con tutti gli uomini, anche con coloro che non condividono la fede cristiana, ma «hanno il culto di alti valori umani», e perfino «con coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere».
Il dialogo ha senso solamente se si riconosce in chi si ha davanti a sé un interlocutore che abbia qualcosa di buono da dire. Senza cadere nel relativismo, occorre fare spazio ai punti di vista differenti, spesso sostenuti non solo da persone, ma anche da istituzioni culturali, sociali e politiche, per comprenderne le ragioni dall’interno. Il compito di una rivista di cultura come la nostra, dunque, non può essere la pura apologetica, ma deve includere lo sforzo di comprendere le ragioni profonde dei dibattiti culturali, politici e sociali. Senza capire, non si può riflettere né aiutare gli altri, cioè i lettori, a comprendere. In un tempo come il nostro nel quale sostenere le proprie posizioni significa spesso innanzitutto delegittimare l’altro che la pensa diversamente, l’invito del Papa si dimostra quanto mai urgente e valido per impostare un impegno culturale serio ed efficace.
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La seconda parola sulla quale il Pontefice ci ha invitato a meditare è discernimento. Qui Papa Francesco ha voluto mettere in rilievo una dimensione fondante del carisma proprio dei gesuiti che compongono la redazione della nostra rivista. Il carisma ignaziano ha nel discernimento uno dei suoi pilastri. Citando liberamente, ma in maniera ben riconoscibile, i decreti IV e VI della Congregazione Generale XXXIV della Compagnia di Gesù (1995), il Papa intende presentare il contesto nel quale il lavoro culturale della Civiltà Cattolica acquista senso. «Nella nostra personale vita di fede, come nei nostri ministeri — si legge del decreto IV, al n. 7 — non si tratta mai, per noi, di scegliere Dio o il mondo; piuttosto, è sempre Dio nel mondo, che lavora per portarlo al compimento, sicché il mondo arrivi finalmente ad essere pienamente in Dio». Come aveva scritto il p. P.-H. Kolvenbach nella sua allocuzione alla Congregazione Generale XXXIV del 6 gennaio 1995, «Ignazio proclama che non c’è per l’uomo autentica ricerca di Dio che non passi attraverso un inserimento nel mondo creato, e che, d’altra parte, ogni solidarietà con l’uomo e ogni impegno nel mondo creato non possono essere autentici senza una scoperta di Dio».
Una rivista culturale come la nostra deve dunque immergersi nel mondo per ascoltarne il cuore pulsante, per riconoscerne i desideri, le attese e le frustrazioni, come anche la presenza operosa di Dio. Il Papa ha applicato, quindi, a noi ciò che aveva detto agli operatori dei media il 16 marzo scorso: «Voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà». Ma in particolare a noi ha chiesto: «Con intelligenza umile e aperta “cercate e trovate Dio in tutte le cose”, come scriveva sant’Ignazio di Loyola. Dio è all’opera nella vita di ogni uomo e nella cultura: lo Spirito soffia dove vuole. Cercate di scoprire ciò che Dio ha operato e come proseguirà la sua opera». Il discernimento spirituale evangelico che deve guidare La Civiltà Cattolica è quello capace di riconoscere «la presenza dello Spirito di Dio nella realtà umana e culturale, il seme già piantato della sua presenza», ha affermato il Papa.
L’inserimento nel mondo è esigente: significa esercitare direttamente «studio, sensibilità, esperienza», come Papa Francesco aveva detto nel suo primo incontro con i giornalisti, ma significa anche esercitare un’osservazione informativa «ampia, obiettiva e tempestiva». Anche Paolo VI, nel suo incontro con i Padri della Civiltà Cattolica in occasione della pubblicazione del numero 3.000 della rivista, aveva affermato concetti simili. E a queste osservazioni Papa Francesco unisce la triade di verità, bontà e bellezza che egli aveva già proposto agli operatori dei media e che, a maggior ragione, vale per noi: «La Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».
Gli Scrittori della Civiltà Cattolica dunque per il Papa devono essere veri giornalisti e veri gesuiti: la loro vocazione si compie realizzando in maniera pienamente evangelica il compito proprio di ogni buon giornalista. In particolare Papa Francesco nel suo discorso cita liberamente il decreto della Congregazione Generale XXXIV dal titolo «Il gesuita sacerdote: sacerdozio ministeriale e identità del gesuita». In tal modo dunque conferma la sacerdotalità della missione dello scrittore della Civiltà Cattolica, come anche la sua identità legata al carisma della Compagnia di Gesù. Il Papa fornisce anche un modello: il servo di Dio Matteo Ricci, grande gesuita missionario in Cina, che ha testimoniato il Vangelo proprio grazie al suo inserimento a pieno titolo nel mondo culturale cinese e presso la corte dell’imperatore Wan Li.
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Matteo Ricci è figura che richiama una Chiesa aperta radicalmente alla missione. Ancora una volta, dopo averlo fatto varie volte nei suoi primi cento giorni di Pontificato, e già molte volte prima quando era arcivescovo di Buenos Aires, il Papa afferma che occorre evitare la malattia spirituale dell’autoreferenzialità: «Anche la Chiesa, quando diventa autoreferenziale, si ammala, invecchia. Il vostro sguardo, ben fisso su Cristo, sia profetico e dinamico verso il futuro: in questo modo, rimarrete sempre giovani e audaci nella lettura degli avvenimenti!». E anche qui Papa Francesco si esprime in sintonia con il discorso di Paolo VI alla Civiltà Cattolica, nel quale si definiva la nostra rivista «giovanile e pugnace», frutto di un «gesto d’audacia».
Questa forza serve alla Civiltà Cattolica per vivere in «frontiera». È questa la terza parola sulla quale Papa Francesco ha voluto insistere in maniera particolare. Il Pontefice ha ricordato il dramma della frattura tra Vangelo e cultura così come l’aveva delineato Paolo VI nella sua Evangelii nuntiandi. In quella Esortazione Apostolica del 1975 leggiamo: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata» (n. 20).
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Ancora una volta il Papa fa riferimento al decreto IV della Congregazione Generale XXXIV della Compagnia di Gesù dal titolo «La nostra missione e la cultura» (n. 25) e ci esorta: «Accompagnate, con le vostre riflessioni e i vostri approfondimenti, i processi culturali e sociali, e quanti stanno vivendo transizioni difficili, facendovi carico anche dei conflitti». Ecco dunque il luogo proprio che siamo chiamati ad abitare in quanto gesuiti: le frontiere. Quello che Paolo VI, ripreso da Benedetto XVI, disse della Compagnia di Gesù, vale in modo particolare anche per noi oggi: «Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti» (3 dicembre 1974, alla XXXII Congregazione Generale).
Papa Francesco ci esorta a vivere sulle frontiere. Noi, in quanto gesuiti, siamo già di per sé chiamati a rivolgerci «verso chi è meno facilmente raggiungibile dal ministero ordinario della Chiesa» (Congregazione Generale XXXIV, decreto IV, n. 18). Il Papa ci incoraggia a essere «uomini di frontiera, con quella capacità che viene da Dio (cfr 2 Cor 3,6)». Ma ci esorta soprattutto a non cadere «nella tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle». Il Papa ha espresso con forza questo concetto anche nell’udienza privata con il Direttore. Noi non siamo chiamati a vivere nelle frontiere per addomesticarle, ma per essere realmente a contatto con ogni realtà umana, anche la più lontana. L’obiettivo non è l’annessione delle frontiere, ma la nostra capacità di abitare i confini difficili e di entrare in contatto con le realtà culturali e sociali «lontane» e non raggiunte ancora dalla parola del Vangelo.
Quali sono queste frontiere? Certamente un sinonimo di «frontiere» molto caro a Papa Francesco è quello di «periferie esistenziali». Ricordiamo ciò che l’allora cardinale Bergoglio ha scritto e consegnato all’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, contenente quattro punti essenziali dell’intervento tenuto in occasione delle Congregazioni Generali che hanno preceduto il conclave: «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria».
Per esprimere questa urgenza, il Pontefice ha usato le stesse parole che Benedetto XVI ha rivolto ai cardinali riuniti in Concistoro l’11 febbraio scorso, nel momento in cui ha annunciato la sua rinuncia al ministero petrino. Papa Francesco ha infatti affermato che il mondo di oggi è «soggetto a rapidi mutamenti» ed è «agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede». È interessante notare questo richiamo preciso al passaggio di testimone tra il Papa e il suo Predecessore per dire quanto sia «urgente un coraggioso impegno per educare a una fede convinta e matura, capace di dare senso alla vita e di offrire risposte convincenti a quanti sono alla ricerca di Dio». In questo senso, dunque, il lavoro della Civiltà Cattolica è quello di «sostenere l’azione della Chiesa in tutti i campi della sua missione».
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Infine il Papa ha elogiato il rinnovamento della rivista, la sua nuova veste grafica, la versione digitale e la sua presenza nelle reti sociali: «Anche queste — ha affermato — sono frontiere sulle quali siete chiamati a operare. Proseguite su questa strada!». In questo senso Papa Francesco ci incoraggia a essere presenti nel mondo della comunicazione digitale, avvertendolo come una frontiera importante e ineludibile. Affidandoci alla Madonna della Strada, cara alla Compagnia di Gesù, ci ha impartito la Benedizione Apostolica, estendendola anche ai nostri lettori.
Papa Francesco col suo discorso si è posto nel solco della più genuina tradizione della Civiltà Cattolica, vissuta fino a oggi. Ci ha esortati a vivere con coraggio il nostro tempo e soprattutto a vivere le sfide maggiori per la vita del mondo e della Chiesa con uno spirito aperto a costruire ponti, con le difese abbassate e con lo slancio di una vita che sa abitare le frontiere, consapevole che Dio è all’opera. Noi, come giornalisti e gesuiti, col nostro studio e con la nostra riflessione ci sentiamo dunque chiamati a fare di questo mondo un posto migliore.
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