Tra l’Egitto e il movimento fondamentalista dei Fratelli Musulmani esiste un rapporto molto stretto, per almeno due ragioni: il movimento è nato subito dopo la Prima guerra mondiale sulle rive del Nilo, per poi espandersi in tutto il Medio Oriente; inoltre, la storia moderna dell’Egitto è stata interamente attraversata, fino ai nostri giorni, dal confronto con la Fratellanza.
Il generale Abdel-Fattah al-Sisi, al governo del Paese già dal 2013, in seguito a un’insurrezione popolare, al tempo capeggiata dalle forze laiche ostili al governo islamista della Fratellanza, era riuscito a deporre l’esecutivo in carica dalla guida del Paese e aveva subito iniziato una dura repressione nei confronti dei Fratelli Musulmani: molti capi furono incarcerati, altri lasciarono il Paese.
Nell’ottobre del 2021, il regime egiziano ha rimosso lo stato di emergenza istituito contro gli islamisti dopo il colpo di Stato del 2013, ma le principali misure repressive – limitazione del diritto di associazione, compressione di molte libertà civili – sono rimaste in vigore. Nel luglio 2022 le forze di opposizione hanno accolto con freddezza il lancio, da parte del governo in carica, di una proposta di dialogo nazionale tra le fazioni politiche. Questo avveniva in un momento in cui la crisi economica rischiava di far implodere il Paese e quando molti egiziani migravano verso l’Europa per sfuggire alla povertà: ad esempio, in Italia, in questi anni sono approdati più di 200.000 cittadini egiziani.
Negli ultimi tempi l’Egitto ha normalizzato le sue relazioni con numerosi Paesi e, in particolare, ha intensificato i rapporti con quelli geograficamente più vicini: i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita e il Qatar. Quest’ultimo, fino a poco tempo prima, era stato giustamente accusato dal Cairo di sponsorizzare e finanziare i Fratelli Musulmani e altre frange dell’islamismo radicale. Sono ripresi anche i rapporti con la Turchia, che erano diventati molto freddi a causa della vicinanza politico-ideologica di Erdoğan con la Fratellanza.
Nel dicembre del 2023, il presidente al-Sisi ha vinto la sua terza competizione elettorale, con l’89,6% dei voti[1]. Aveva dovuto sfidare altri tre candidati, in realtà poco conosciuti e politicamente poco influenti[2]. L’affluenza alle urne è stata del 67% degli aventi diritto, decisamente più alta che nel passato. Molti tra gli osservatori e gli oppositori politici hanno parlato di «elezioni truccate» e di «elezioni farsa»[3]. Nei mesi successivi, soprattutto dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas e l’invasione israeliana di Gaza, la crisi economica è peggiorata:
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