La bellezza è tale in riferimento al suo Autore.
La Bibbia presenta, in modo ancora più rilevante del pensiero greco, la «circolarità della bellezza»: questa non è mai lodata come proprietà isolata, ma sempre in relazione ad altro[1]. Si può denominare «bella» una creatura solo perché partecipa della Bellezza e della Sapienza di Dio, di cui costituisce un riflesso vivente. Questa molteplice sfaccettatura del bello si mostra già a livello semantico.
La parola ebraica tôb indica sia la bellezza sia la bontà, la verità, l’efficacia, insieme a un’infinità di altri termini a essa collegati: «piacevole, allietante, soddisfacente, gradevole, favorevole, pratico, idoneo, retto, utile, abbondante, bello proporzionato, profumato, benevolo, clemente, lieto, onesto, valoroso, vero ecc.»[2]. Questo termine ricorre ben 741 volte nella Bibbia ebraica; nella versione greca dei LXX viene reso con tre differenti termini: agathos (buono), kalos (bello), chrēstos (utile). La parola kalos, utilizzata più di 100 volte nel Nuovo Testamento, e la parola agathos compaiono sostanzialmente come sinonimi[3].
La Bibbia, pur non entrando esplicitamente nel merito di una trattazione di tipo metafisico, riconosce il profondo legame con le proprietà trascendentali dell’essere: la bellezza viene naturalmente posta in relazione alla dimensione morale, cognitiva e decisionale della vita, mostrando per attrazione la via della sapienza. Da qui il suo carattere «simbolico»; essa parla del suo Artefice in modo silenzioso, ma eloquente, mediante il suo stesso essere: «La creazione, come le parole di un libro, rimanda per l’ordine e l’armonia al suo creatore e Signore»[4].
Questa simbolicità è espressa anche dalla ghematria, quella caratteristica peculiare del pensiero biblico che vede nei numeri il simbolo di una realtà fondamentale dell’universo. E non a caso il termine tôb ritorna 7 volte nel primo racconto della creazione, a simboleggiare la sua totalità piena e compiuta (cfr Gen 1,4.10.12.18.21.25.31). È un vero e proprio ritornello, che scandisce e commenta la perfezione del progetto di Dio; ogni cosa, appena esce dalle sue mani, è perciò stesso bella: «La bellezza/bontà di ciò che è stato creato non è qualcosa di aggiunto dopo la sua creazione, ma appartiene allo statuto della creazione»[5].
Tôb è dunque radicato nell’essere stesso delle cose. La bellezza, pur legata al piacere e alla gioia di chi la contempla, non è qualcosa di soggettivo, dipendente dal gusto e dalle preferenze del singolo, non nasce dalla valutazione di chi riesce a coglierla, ma si presenta come una proprietà intrinseca alle cose,
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