Parlare di Maria Callas vuol dire ripercorrere un segmento tra i più importanti della storia del Teatro d’Opera italiano nel periodo che va dalla fine del Secondo conflitto mondiale ai primi anni Sessanta del secolo scorso, dove le generazioni di interpreti come Tebaldi, Simionato, Barbieri, Del Monaco, Di Stefano, Bastianini, Gobbi, Rossi-Lemeni consegnarono il testimone a Freni, Caballé, Valentini Terrani, Pavarotti, Domingo, Nucci, Bruson e Raimondi, per citarne solo alcuni.
Maria Callas (New York, 1923 - Parigi, 1977) era nata Kalogeropoulos, il che denuncia la sua origine greca. Quando nacque, a New York, i genitori si erano da poco trasferiti dalla Grecia, e negli Usa Maria rimase con la madre e la sorella più grande fino al 1937, quando ritornò in Grecia. Ad Atene frequentò il Conservatorio e si diplomò in canto, pianoforte e lingue. Già dagli inizi, il repertorio che andava costruendo si muoveva in ogni direzione. Di fatto, il suo debutto avvenne con un’opera completa, Cavalleria rusticana, il 2 aprile 1939, a soli 15 anni. Fino al 1945 Maria interpretò sette ruoli principali e ben 57 concerti dal vivo.
Dal 1945 al 1947 ritornò negli Stati Uniti, sebbene le fosse stato consigliato di recarsi subito in Italia. I primi periodi di formazione dell’artista non sono molto studiati[1], nonostante gli enormi progressi nella sua formazione, perché la Callas divenne quell’artista famosa da alcuni giudicata irraggiungibile, dopo la sua venuta in Italia nel 1947, inanellando una serie di interpretazioni di eccezione, in opere che di solito non possono essere avvicinate da un unico tipo di voce, come la Medea di Cherubini, il Macbeth e la Traviata di Verdi, Norma e La sonnambula di Bellini, Anna Bolena e Lucia di Lammermoor di Donizetti.
La voce della Callas
Abbiamo dato per scontato che tutti sappiano che la Callas avesse una voce di soprano. Innanzitutto, era una voce di un’estensione superiore al normale, dal fa diesis grave, sotto il rigo del pentagramma, al mi – secondo alcuni al fa – naturale sopracuto, quindi di un’estensione di circa tre ottave. Poi, nelle varie sezioni o registri della sua voce si potevano trovare tratti peculiari, a volte aspri, che l’aiutavano di volta in volta nei passaggi drammatici, lirici, belcantistici, fino a quelli di un inarrivabile virtuosismo, che non si sentivano più dalla prima metà dell’Ottocento con cantanti quali Maria Malibran o Giuditta Pasta.
Le sue doti naturali erano state valorizzate da Elvira de Hidalgo[2], che era
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