A 37 anni dal suo assassinio, un centinaio di autori hanno aderito all’iniziativa dell’editrice Eris di ricordare con un poster «l’arte di resistenza del vignettista palestinese Naji al-Ali»[1]. L’omaggio all’artista è stato reso rappresentando nel manifesto il proprio eroe di spalle, allo stesso modo in cui Ali ha sempre disegnato il suo protagonista. E insieme a lui chiedono la fine dell’orrore della guerra.
In arabo, e anche in ebraico, il nome non è solo l’identificazione di una persona, ma segna anche la sua vita, la sua missione, il suo destino. Naji al-Ali significa «sopravvissuto»: nome che non poteva essere più azzeccato per il vignettista. Nato nel 1938, ad Al-Shajara, un villaggio della Galilea tra Tiberiade e Nazaret, è realmente «sopravvissuto» a fughe, esili, minacce, guerre. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, caratterizzati dallo sviluppo dei Paesi del Golfo legati al petrolio, i giovani sono attratti dalla possibilità di lavorare nelle industrie petrolifere. Nel 1957, anche Ali vi emigra.
Due anni dopo, tornato in Libano, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Beirut, per poco tempo, e si dà alla politica. Ha dei problemi con la giustizia libanese, tanto che viene imprigionato nel 1961. Uscito dal carcere, si reca a Tiro,
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