|
Il ruolo che il Papa e la Santa Sede ebbero, nei mesi immediatamente successivi all’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 — che fu la scintilla che fece scoppiare la «polveriera europea» — fino alle dichiarazioni di guerra di inizio agosto da parte delle potenze interessate, è tuttora molto controverso in sede storica, anche a motivo della scarsità della documentazione a tale riguardo[1].
In quel periodo era Pontefice il veneto Papa Sarto, Pio X, che sarebbe morto subito dopo l’inizio della Grande guerra (20 agosto). Nonostante la malattia, che ancora all’inizio di agosto sembrava non troppo grave, il Papa seguì con particolare trepidazione e con fondato timore gli avvenimenti che poco alla volta fecero precipitare l’Europa in un conflitto generale, o in un «guerrone»[2], come egli stesso ebbe a dire ai suoi collaboratori. Gli storici non si sono occupati granché di Pio X in riferimento al tema della guerra, come invece hanno fatto — e certamente a proposito — nei confronti del suo immediato successore Benedetto XV, il quale regnò nei drammatici anni del conflitto, e del quale è noto l’impegno concreto in difesa della pace, nonché l’instancabile attività a favore delle vittime della guerra, anche non cattoliche.
Sulla posizione che assunsero il Papa e la Santa Sede, soprattutto in campo religioso e diplomatico, nei frenetici mesi estivi che precedettero la guerra, esistono in ambito storico diverse interpretazioni. Secondo alcuni, per lo più studiosi di orientamento cattolico, Pio X, nelle settimane successive all’attentato perpetrato da un ristretto gruppo di separatisti contro l’erede al trono asburgico e la sua consorte, si sarebbe attivato presso l’imperatore Francesco Giuseppe, per il quale nutriva grande stima, perché facesse tutto il possibile per evitare le conseguenze disastrose — cioè una dichiarazione di guerra alla Serbia, ritenuta responsabile morale dell’attentato — di un crimine che anche il Pontefice considerava dannoso e umiliante per l’impero, in quanto ne minacciava la solidità e ne intaccava il prestigio[3].
Per sostenere tale posizione su base documentaria in alcuni ambienti cattolici italiani e francesi, negli ultimi tempi della guerra fu fatta circolare una lettera apocrifa — rozza nello stile e improbabile nel contenuto — indirizzata da Pio X all’«imperatore apostolico», nella quale il Pontefice lo rimproverava di condurre il mondo verso la catastrofe e lo pregava di attivarsi perché fosse evitato il peggio[4]. In ogni caso, il punto debole di questa posizione, che pure fu sostenuta nella Positio di beatificazione del Pontefice[5], sta nel fatto che non vi è traccia presso gli archivi laici ed ecclesiastici di una tale corrispondenza, e che essa si fonda sostanzialmente sulla dichiarazione giurata di alcune persone vicine a Pio X.
Per la maggioranza degli studiosi, invece, la posizione della Santa Sede sulla crisi in atto fu in un primo momento piuttosto oscillante: di fatto, l’appello del Papa in favore della pacificazione tra le nazioni fu fatto con grande ritardo, quando ormai le ragioni della pace erano perdute e la guerra era stata già dichiarata da quasi tutte le nazioni coinvolte nel conflitto. Anzi, quando l’Esortazione pontificia fu pubblicata sull’Osservatore Romano del 3 agosto, la conflagrazione bellica era già iniziata: l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia il 28 luglio, la Germania alla Russia il 1° agosto. Nello stesso giorno della pubblicazione del testo papale l’esercito tedesco aveva già occupato buona parte del Belgio «neutrale», provocando così, come previsto, l’entrata in guerra dell’Inghilterra, che il Governo del II Reich, con varie assicurazioni e garanzie, aveva inutilmente tentato di impedire.
Inoltre, il 3 agosto il Governo italiano, che considerava contraria ai suoi interessi una possibile espansione dell’Austria nei Balcani (senza concordare adeguate «compensazioni»), ufficialmente dichiarava la sua neutralità nei confronti degli Imperi Centrali, con i quali da circa trent’anni era legato da un trattato di mutua collaborazione, che aveva però soltanto carattere difensivo (Triplice Alleanza)[6].
Invece, secondo altri interpreti — che in realtà furono, e sono, una minoranza, anche se molto combattiva e ideologicamente motivata —, la Santa Sede già all’inizio della crisi si sarebbe attivata per «spingere» l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia. La diplomazia vaticana, infatti, affermano questi interpreti, avrebbe sostenuto «la via della fermezza» nei confronti della Serbia, al fine di combattere il temuto «panslavismo» e la politica espansionistica intrapresa dalla Russia.
Questa posizione si è diffusa subito dopo la fine della Grande guerra, in particolare dopo la pubblicazione, in alcuni giornali radicali, di documenti sottratti durante la «rivoluzione bavarese» all’archivio del ministero degli Esteri[7]. Tra questi, fece scalpore un telegramma confidenziale spedito dal barone Ritter von Grünster, ambasciatore della Baviera presso la Santa Sede, al suo Governo il 24 luglio 1914. Questa documentazione lacunosa, riportata da diversi giornali anticlericali, sommariamente riprodotta e arbitrariamente interpretata, fu più volte utilizzata, a partire dagli anni Venti, per colpire la Santa Sede, facendo ricadere su di essa una responsabilità molto grave — quella cioè di aver favorito lo scoppio di una guerra che costò all’Europa la morte di circa dieci milioni di persone —, al fine di screditarne il prestigio morale tra i fedeli e di isolarla politicamente.
Per quanto riguarda Pio X, va sottolineato che il suo pontificato, durato poco più di un decennio (1903-14), fu segnato da questioni di carattere dottrinale (come la lotta al modernismo, considerato la radice di tutte le eresie) e religioso (come la redazione di un nuovo catechismo e lo sviluppo di nuove forme di devozione popolare) più che politiche. Ciò non significa che questo «Papa religioso» fosse completamente avulso, come a volte si è fatto credere, dalle questioni di carattere sociale e politico che si agitavano nel suo tempo. In realtà, come è stato sostenuto da studi recenti su Papa Sarto, egli ebbe posizioni precise su tali materie: ad esempio, in Italia incoraggiò lo sviluppo di un cattolicesimo «devoto», ma impegnato nel sociale, e sostenne, nonostante il non expedit, i cattolici che intendevano «fare politica» alleandosi perfino con i liberali moderati[8].
Sul tema della guerra, la posizione di Pio X era ben precisa: egli già dall’inizio del suo pontificato aveva riaffermato a più riprese il valore prezioso della pace tra gli uomini e tra le nazioni. In un saluto ai partecipanti al XV Congresso per la pace, nel novembre del 1906, affermò che «tutti gli sforzi fatti allo scopo di evitare gli orrori della guerra sono assolutamente conformi allo spirito e ai precetti del Vangelo»[9]. Eppure la dottrina cattolica a quel tempo non condannava la guerra in modo assoluto: secondo la teoria della cosiddetta «guerra giusta», erano ammessi casi in cui l’uso della forza era considerata, a certe condizioni, non soltanto necessaria, ma anche doverosa, come nelle situazioni in cui si era chiamati a difendere la propria fede minacciata.
Va sottolineato che Pio X, nei messaggi e nelle comunicazioni diplomatiche di quel periodo, non fece mai riferimento a tale dottrina per sostenere le ragioni di una parte. Egli — come fece poi anche Benedetto XV —, già a partire dalle guerre balcaniche del 1912-13, indirizzò l’attività della Santa Sede verso un atteggiamento di rigorosa neutralità nelle questioni di carattere politico, invitando i vescovi e i sacerdoti a tenersi fuori dalle passioni nazionaliste e dalle lotte di parte. Secondo Gianpaolo Romanato, «il vero patrimonio che il Papa lasciava alla Chiesa era rappresentato dalla sua equidistanza rispetto alle nazioni in lotta, dalla sua ormai acquisita dimensione di forza religiosa e non politica. La scelta di tenere la Chiesa fuori dalla politica si conferma proprio in quel drammatico frangente come l’intuizione vincente del suo pontificato»[10].
Va pure ricordato che in quel periodo gli unici fra i Paesi coinvolti nel conflitto con i quali la Santa Sede intratteneva regolari rapporti diplomatici erano l’Austria, impero cattolico per eccellenza, e la Germania. Dal 1904, dopo la svolta laicista e la legge di separazione, la Santa Sede non aveva più relazioni diplomatiche con la Francia, e neppure con l’Inghilterra e con la Russia (che aveva un proprio inviato a Roma). Questo indebolì molto la sua posizione nel periodo preso in esame e anche durante gli anni della guerra; ciò spiega anche il fatto che la Santa Sede non fosse ben informata dello stato delle cose e dell’effettiva forza bellica dei singoli Paesi.
Dalle fonti risulta che il Papa, a motivo delle continue guerre che scoppiavano in diverse nazioni — dalla Libia ai Balcani —, era molto angosciato per le sorti dell’Europa; egli vedeva la minaccia di una guerra generale come un fatto imminente: una guerra che avrebbe arrecato molto danno anche alla religione. Spesso ripeteva al suo Segretario di Stato, il cardinale Rafael Merry del Val: «Eminenza, le cose vanno male!». Al suo segretario particolare, mons. Bressan, disse: «Io piango per il mio successore! Io non vi assisterò, ma è malauguratamente vero che la Religio depopulata è imminente»[11].
L’Esortazione pontificia contro la guerra
L’Esortazione pontificia Dum Europa fere omnis,indirizzata a tutti i cattolici, fu firmata il 2 agosto 1914, e fu pubblicata sull’Osservatore Romano il giorno seguente. In essa il Papa condannava apertamente la guerra e invocava da Dio la pace: «Mentre l’Europa quasi tutta — scriveva Pio X — è trascinata nei vortici di una funestissima guerra, ai cui pericoli, alle cui stragi e alle cui conseguenze nessuno può pensare senza sentirsi opprimere dal dolore e dallo spavento, non possiamo non preoccuparCi anche Noi e non sentirCi straziare l’animo dal più acerbo dolore, per la salute e per la vita di tanti concittadini e di tanti popoli, che Ci stanno sommamente a cuore». Il Papa inoltre esortava i sacerdoti e i vescovi di tutto il mondo a promuovere «pubbliche preci», e spingere i fedeli a pregare, affinché Dio, mosso a pietà, per la mediazione di Cristo, «Principe della pace», ispirasse ai «sommi reggitori delle Nazioni pensieri di pace e non di afflizione»[12].
Considerato il fatto che il Papa, quasi profeticamente, aveva già da tempo avvertito la minaccia di una guerra generale ed era molto sensibile alle ragioni della pace, alcuni storici si chiedono perché egli abbia aspettato fino al 2 agosto, quando il conflitto era già scoppiato, per inviare il suo appello ai fedeli, o meglio, perché egli non abbia pronunciato parole di condanna contro la guerra, quando questa poteva essere, almeno teoricamente, evitata o notevolmente contenuta. Questioni di non poco conto.
Il cardinale Merry del Val, rispondendo a tali obiezioni, disse che questo ritardo era dovuto al desiderio del Papa di prendere le debite distanze in rapporto ai gravi avvenimenti in corso e di aspettare che la situazione si chiarisse prima di pronunciare le opportune parole di condanna. Ciò, egli continuava, doveva essere fatto con grande prudenza e dopo aver sufficientemente esaminato la questione e aver assunto tutte le informazioni utili all’intervento pontificio. In realtà, tale era a quel tempo la prassi adottata dalla cancelleria pontificia nel caso di guerre tra nazioni cristiane.
Ma, osserva a questo riguardo lo storico Francis Latour, «la crisi dell’estate del 1914 non sopportava la lentezza tradizionale della Santa Sede, ed è vero che tacere per lungo tempo poteva essere interpretato come una sorta di acquiescenza verso l’atteggiamento di fermezza adottato da Vienna dopo l’attentato di Sarajevo»[13]. Lo studioso ritiene inoltre che una dichiarazione che il Papa avesse fatto precedentemente non avrebbe per nulla cambiato la situazione, anche perché una parte dei Paesi belligeranti apparteneva ad altre confessioni cristiane — ortodossi e protestanti — e gli stessi cattolici sembravano più attenti «al canto delle sirene della Patria minacciata» che alle parole del Pontefice. Queste però avrebbero avuto un alto valore simbolico per tutti i cristiani, e verosimilmente avrebbero stemperato lo spirito bellicista e nazionalista che animava ampi settori del mondo giovanile, alcuni dei quali legati alla Chiesa.
Il Papa, come si è ricordato, in quegli anni era molto preoccupato per le guerre balcaniche e per le loro conseguenze. Dietro quei conflitti regionali intravedeva il pericolo di una guerra generale che alla fine avrebbe coinvolto tutto il continente europeo. In ogni caso, l’attenzione dell’anziano Pontefice era rivolta non tanto alle questioni politiche o territoriali quanto a quelle di carattere religioso, anche se non era sempre facile distinguere le une dalle altre.
Negli ambienti vaticani si riteneva che dietro la Serbia ci fosse in realtà la Russia con le sue ambizioni imperiali, e che essa, una volta consolidate le sue alleanze, avrebbe fatto di tutto per sottrarle il più possibile all’influsso delle potenze occidentali, in particolare dell’Austria. Su tale delicata questione si sarebbe creata una concordanza di vedute e di interessi tra gli ambienti vaticani e i rappresentanti degli Imperi Centrali, anche se è probabile che questi ultimi, nel comunicare l’opinione della Santa Sede al loro Governo, tendessero a sottolineare e ingigantire soprattutto gli elementi di convergenza e di assenso sulle questioni trattate, sottacendo volutamente gli altri.
Pio X però non si sentiva legato alle ragioni politiche degli Imperi Centrali, come essi avrebbero voluto: ne è prova il Concordato stipulato tra la Santa Sede e la Serbia e firmato il 24 giugno 1914, pochi giorni prima dell’attentato di Sarajevo. Il Governo di Vienna si indispettì molto per tale accordo, che garantiva alcuni fondamentali diritti ai cattolici serbi (soprattutto in materia di culto, formazione religiosa e insegnamento), poiché lo riteneva troppo conciliante nei confronti della Serbia e politicamente utile alla sua classe dirigente per consolidare l’unità nazionale. Dopo la firma del Concordato, una parte della stampa austriaca (di opposizione) scrisse che «Vienna aveva conosciuto una vera e propria disfatta, mentre la Serbia, diventando un interlocutore diretto della Santa Sede e autorizzando l’erezione di due diocesi cattoliche sul suo territorio, Belgrado e Skopje, vedeva crescere il suo peso nella regione e la forza di attrazione delle popolazioni slave»[14].
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Da parecchio tempo, le cronache italiane sono colme di delitti perpetrati contro le donne. Il fenomeno riguarda tutte le età e condizioni sociali, tanto da sembrare endemico nella nostra società. A questo tema è dedicato un episodio monografico di Ipertesti Focus, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Dopo l’attentato di Sarajevo, i rapporti tra Santa Sede e Imperi Centrali, una volta superata la crisi del Concordato serbo, si fecero più stretti e cordiali, anche se i documenti diplomatici inviati in questo periodo dal Vaticano a Vienna e a Berlino dai rispettivi rappresentanti tendono a interpretare le parole del Papa e del suo Segretario di Stato sulle questioni riguardanti l’ultimatum alla Serbia secondo gli interessi dell’impero asburgico. Certamente su tale materia la posizione della Santa Sede fu di comprensione nei confronti dei legittimi interessi austriaci violati dalla controparte, ma non si può in nessun modo sostenere la tesi, avanzata nel dopoguerra dai radicali, che la Santa Sede avesse incoraggiato l’Austria a muovere guerra contro la Serbia per vendicare l’offesa subita e anche per frenare la temuta avanzata ortodossa nell’Europa orientale[15].
La posizione della Santa Sede in alcuni documenti diplomatici
Alcuni documenti diplomatici aiutano a comprendere meglio la posizione assunta dalla Santa Sede nell’estate del 1914 sulla delicata questione dell’ultimatum imposto dall’Austria alla Serbia e sulla possibilità di una guerra europea dalle conseguenze imprevedibili. Questione che in quel momento mobilitò tutte le cancellerie europee, attente a non lasciarsi travolgere dal rapido svolgimento degli eventi. Esse in realtà, anziché lavorare concordemente per garantire la pace, come era loro compito, agirono ognuna per conto proprio, cercando di sfruttare la situazione secondo gli interessi, spesso antitetici, dei singoli Paesi.
Dalle relazioni inviate dal Vaticano dai rappresentanti degli Imperi Centrali ai loro Governi risulta che la Santa Sede approvava «senza riserva» l’ultimatum austriaco e che le autorità vaticane sostenevano pienamente la giusta causa dell’impero asburgico e cattolico contro le mire espansionistiche della Serbia, dietro la quale si profilava l’inquietante ombra della Russia e delle sue ambizioni panslaviste[16]. Da alcuni documenti vaticani risulta però che le versioni dei fatti — riportati dai promemoria redatti dalla Segreteria di Stato — a volte non coincidevano perfettamente — e non su questioni secondarie — con le informazioni inviate a Vienna o a Monaco dai rispettivi rappresentanti.
In un promemoria redatto dal cardinale Merry del Val, che riferisce il contenuto di una sua udienza concessa il 27 luglio 1914 all’incaricato di affari dell’Austria, il conte Moriz Pálffy[17], si dice: «Venuto da me per conoscere le mie impressioni sull’ultimatum alla Serbia. Io dissi che mi sembrava molto forte. “Crede V. E. che la Serbia l’accetterà?”, mi domandò il Conte. “Ne dubito molto — risposi io —, specialmente in alcuni punti”. “Tutto o niente”, esclamò il Conte. “Ma allora è la guerra”, dissi io. “Sì — replicò il Conte —, e io spero che la Serbia non l’accetterà”. “Ma allora vi è il pericolo della conflagrazione generale”, osservai io. “Venga pure la catastrophe:sarà meglio che continuare nella situazione presente”, disse il Conte. Io risposi solamente che ciò mi sembrava molto grave. È vero che dopo il delitto atroce di Sarajevo io dissi al Conte Pálffy che l’Austria doveva tenere duro e che aveva pieno diritto alle più solenni riparazioni e a salvaguardare la propria esistenza, ma mai espressi la speranza o il pensiero che l’Austria ricorresse alle armi. Non altro da me fu detto, per la verità»[18].
Questo testo offre un’immagine del cardinale Merry del Val abbastanza differente da quella creata da una certa letteratura storica, secondo la quale il Segretario di Stato, per contrastare la Francia che si era allontanata dalla Chiesa, e la Russia per le sue mire imperialiste, avrebbe spinto l’Austria alla guerra[19]. In realtà egli espresse in modo semplice e lineare quello che allora era il pensiero di Pio X sulla questione. Il vero problema, come si è accennato, era che spesso le informazioni che giungevano a Vienna e a Berlino dal Vaticano peccavano di parzialità, nel senso che veniva fatto dire al Papa o al suo Segretario di Stato ciò che si sarebbe voluto ascoltare.
Un documento diplomatico — redatto in tedesco — che fece molto scalpore sulla stampa anticlericale di diversi Paesi, negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, fu il telegramma del 24 luglio 1914 inviato dall’ambasciatore di Monaco di Baviera presso la Santa Sede al suo Governo. Esso fu interpretato da alcuni settori ostili alla Chiesa in senso sfavorevole alla Santa Sede. Per alcuni polemisti era la prova, da tempo attesa, che il Papa era uno dei maggiori responsabili del conflitto mondiale, avendo egli incoraggiato, per motivi di politica ecclesiastica, «l’imperatore apostolico» a muovere guerra alla Serbia.
Il breve testo incriminato dice: «Il Papa approva l’azione vigorosa dell’Austria contro la Serbia e, in caso di guerra contro la Russia, ritiene che le armate, sia russa sia francese, non siano di livello elevato. Il Cardinale Segretario di Stato spera anche che l’Austria questa volta tenga duro e non saprebbe altrimenti quando ancora avesse intenzione di condurre una guerra, se non fosse neanche decisa a respingere con le armi una agitazione straniera, che ha condotto all’assassinio dell’erede al trono, e che, inoltre, mette in pericolo l’esistenza stessa dell’Austria all’interno dell’attuale configurazione internazionale. Per questo motivo ha parlato anche della grande preoccupazione della Curia a proposito del Panslavismo»[20].
Nel 1923 la nostra rivista, al fine di avere un’interpretazione autentica del telegramma, intervistò l’ex-ambasciatore presso la Santa Sede e redattore del documento, il barone Ritter von Grünster. Il testo dell’intervista per motivi di opportunità non fu mai pubblicato, ed è conservato nell’archivio de La Civiltà Cattolica[21]. Il barone, alla richiesta di spiegare meglio il suo pensiero espresso nel telegramma, rispose: «Il mio governo sapeva che il Papa desiderava vivamente che fosse evitata la guerra, e questo io ripetei nel mio rapporto che seguiva al mio telegramma del 24 luglio […]. Il mio governo, dunque, non poteva punto dubitare dei sentimenti i più pacifici del Papa Pio X di s. m., sentimenti molto dichiarati che non avrebbero mai fatto dire a Sua Santità una sola parola in favore di una guerra».
Entrando più in profondità nella materia, il barone aggiungeva che il Papa «approvava un’azione vigorosa dell’Austria» nei confronti della Serbia, ritenendo che «una grande Potenza, quale l’Austria-Ungheria, a cagione dei pericoli che correva la sua stessa esistenza, era forzata di procedere risolutamente, e che di conseguenza, se ogni altro mezzo per difendersi fosse divenuto inefficace, essa sarebbe stata costretta, come extrema ratio, a ricorrere alle armi. Non era dunque certamente dell’idea di sospingere alla guerra, ma era soltanto per rendere giustizia alla condizione estremamente grave e pericolosa nella quale si trovava l’Austria-Ungheria per effetto delle macchinazioni della Serbia, che il Santo Padre […] approvava un’azione vigorosa dell’Austria»[22].
Alla domanda se il Papa interpretasse un’eventuale guerra dell’Austria alla Serbia come una «guerra giusta», il barone rispose che mai Pio X si era dichiarato in questo senso: «Il Santo Padre — continuava — riconosceva che, al punto ov’erano giunte le cose, un’azione vigorosa dell’Austria contro la Serbia era giusta, e l’approvava, quantunque col più vivo rammarico che ne potesse nascere come extrema ratio una guerra, la quale allora, fosse stata giusta o no, sarebbe stata un terribile flagello»[23]. Queste considerazioni sembrano molto significative, e in verità rispondono pienamente alla sensibilità di Papa Sarto, per il quale la guerra era sempre e in ogni caso un male da evitare, un «funestissimo» flagello appunto[24].
L’interpretazione che il barone Ritter von Grünster diede in questa intervista sull’atteggiamento tenuto dalla Santa Sede, e in particolare dal Papa, in occasione dei gravi eventi che seguirono all’attentato di Sarajevo — a parte lo stile retorico-apologetico dello scritto e alcune considerazioni apertamente filoaustriache — ci sembra fondata e in buona parte condivisibile. In verità, le più recenti ricerche storiche su questa materia si muovono sostanzialmente in tale direzione. Ciò che qualche storico rimprovera alla Santa Sede non è tanto di aver sostenuto, o peggio ancora indotto, il vecchio imperatore alla guerra contro la Serbia, quanto di aver pubblicamente condannato la guerra troppo tardi, quando ormai le ragioni della pace erano completamente perdute[25].
Questa apprezzabile posizione pecca di anacronismo storico, nel senso che si interpretano situazioni del passato alla luce della nostra sensibilità di moderni. Inoltre va considerato che il ruolo e il prestigio del papato nell’Europa di inizio Novecento erano molto limitati a motivo dei conflitti, anche recenti, che esso aveva dovuto sostenere in molti Paesi cattolici con la classe politica (liberale) al potere. In realtà non era facile per la Santa Sede fare una scelta diversa da quella che fece. Allontanarsi, in un momento così grave e delicato, dalla sperimentata prassi diplomatica fino ad allora osservata nelle situazioni di conflitto tra Stati cristiani avrebbe certamente esposto il Pontefice e la Chiesa alle critiche più feroci da parte di tutti i «contendenti», come sperimentò pochi anni dopo il successore di Papa Sarto, Benedetto XV.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2014
Riproduzione riservata
***
[1]. Sulle vicende che prepararono la Grande guerra, cfr G. Sale, «A un secolo dall’inizio della prima guerra mondiale», in Civ. Catt. 2014 II 526-540.
[2]. Cfr P. Cenci, Il cardinale Raffaele Merry del Val, Roma – Torino, L.I.C.E. – Berruti & C., 1933, 490.
[3]. Secondo alcuni storici, Pio X, quando l’ambasciatore d’Austria, il principe Alois Schönburg-Hartenstein, il 23 luglio gli comunicò il contenuto dell’ultimatum del suo Governo alla Serbia, si dichiarò pronto a intervenire, se richiesto, come arbitro tra i due Paesi, e «affermò in ogni caso di esercitare un influsso moderatore su entrambi i Governi». Cfr R. Aubert, «Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale», in Storia della Chiesa,vol. IX, Milano, Jaca Book, 1979, 626.
[4]. Negli ambienti cattolici del dopoguerra si raccontava che, durante un’udienza concessa da Pio X all’ambasciatore d’Austria alla fine di luglio del 1914, questi avesse chiesto al Papa una speciale benedizione per le armate austriache già pronte ad attaccare la Serbia. Pio X, visibilmente irritato, rispose all’ambasciatore: «Io non benedico la guerra, ma la pace», impartendogli un’eloquente lezione di morale cristiana. L’episodio, sebbene sia stato riportato diverse volte dagli storici, non risulta però documentato in nessuna fonte scritta. In ogni caso, anche se non fosse vero, esso rispecchia appieno la mentalità e la sensibilità religiosa di Papa Sarto. Cfr H. Daniel-Rops, Histoire de l’Église, IV/2, Paris, Fayard, 1963, 376. Secondo lo storico Robert Aubert, il Papa avrebbe detto all’ambasciatore d’Austria: «Dite all’imperatore che non posso benedire né la guerra, né coloro che hanno voluto la guerra», e avrebbe anche aggiunto che «l’imperatore si reputi fortunato di non ricevere la maledizione del Vicario di Cristo» (R. Aubert, «Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale», cit., 626).
[5]. Pio X, Positio super virtutibus. Summarium. Depositiones testium, 1949, 447.
[6]. La dichiarazione di neutralità reca la data del 2 agosto; essa però fu comunicata il giorno successivo. Il Governo italiano in quel periodo intendeva sottrarre il Paese a una guerra che considerava rovinosa e contraria agli interessi politici italiani, soprattutto in riferimento alla questione balcanica. Sotto questo profilo, la politica estera italiana in quel periodo era quasi all’opposto di quella auspicata dalla Santa Sede. Il ministro degli Esteri, Antonino di San Giuliano, dichiarò che, nelle condizioni esistenti, per l’Italia non sussisteva alcun casus foederis (previsto dal Trattato più volte rinnovato), e quindi non c’era l’obbligo di entrare in guerra a fianco della Triplice. Il conflitto austro-serbo, commentava il Ministro, non nasceva per difendere l’Austria attaccata militarmente, ma da una politica aggressiva dell’impero asburgico nei confronti della Serbia. In particolare, egli sottolineava, la decisione della guerra era stata presa da Vienna in accordo con la Germania, senza informare preventivamente Roma. L’ostinazione dell’Austria a non voler prendere in considerazione gli interessi italiani (e a non accordare le cosiddette «riparazioni», previste dal Trattato), nonostante le pressioni della Germania in questo senso, fece sì che il Governo italiano, considerati gli esiti della guerra dopo il disastro della Marna e, soprattutto, i propri vantaggi politico-militari, cambiasse fronte, alleandosi con le forze dell’Intesa e dichiarando guerra all’Austria nel maggio 1915. Cfr G. E. Rusconi, 1914: l’attacco a Occidente,Bologna, il Mulino, 2014, 177 s; N. Tranfaglia, «La prima guerra mondiale e il fascismo», in Storia dell’Italia contemporanea,vol. III, Torino, Utet, 1995, 15 s; E. Gentile, Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo,Roma – Bari, Laterza, 2014, 74 s.
[7]. Tra gli altri, il giornale svizzero Neue Zürcher Zeitung, del 24 aprile 1923.
[8]. Cfr G. Sale, La Civiltà Cattolica nella crisi modernista (1900-1907) fra transigentismo politico e integralismo dottrinale, Milano, Jaca Book, 2001, 178 s; E. Guerriero – A. Zambarbieri (eds), La Chiesa e la società industriale (1878-1922), Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 1990, 107 s.
[9] . Passo citato in J. Joblin, L’Église et la guerre,Paris, Desclée de Brouwer, 1988, 287.
[10]. G. Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Torino, Lindau, 2014, 541.
[11]. Citati in R. Merry del Val, Pie X. Impressions et souvenirs,St-Maurice, Éd. de l’Œuvre St-Augustin, 1951, 105 s.
[12]. Oss. Rom.,3 agosto 1914.
[13]. F. Latour, La papauté et les problèmes de la paix pendant la Première Guerre Mondiale,Paris, L’Harmattan, 1996, 20.
[14]. G. Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, cit., 543.
[15]. Cfr H. Castex – A. de la Far, Les Dessous de la guerre 14-18, Paris, Grasset, 1967, 330.
[16]. Cfr G. Franz-Willing, Die Bayerische Vatikangesandtschaft 1803-1934, Münster, Ehrenwirth, 1965, 120 s.
[17]. Il conte Pálffy, in una lunga relazione inviata al suo Governo, esprimeva così il risultato dell’udienza concessagli due giorni prima dal cardinale Merry del Val: «Egli ha approvato senza riserve la Nota indirizzata alla Serbia, pur definendola estremamente dura, e ha espresso indirettamente la speranza che la monarchia andrà anche sino in fondo. Ovviamente il Cardinale pensava che fosse un peccato che la Serbia non fosse stata già molto prima rimpicciolita, poiché allora ciò sarebbe stato forse fattibile senza impegnare possibilità così incalcolabili come oggi». Egli aggiunse poi che «quest’affermazione corrisponde anche al modo di pensare del Papa». Questo testo è citato in R. Aubert, «Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale», in Storia della Chiesa,cit., 627.
[18]. Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, «Guerra», rubrica 244, fascicolo 28. Quello riportato è un documento fotografico, in cui non è indicato il consueto numero di protocollo. Questo ci dice che si tratta di uno scritto «privato» del cardinale, redatto successivamente all’udienza con il conte ungherese, per una memoria privata.
[19]. Cfr F. Latour, La papauté et les problèmes de la paix pendant la Première Guerre Mondiale,cit., 25.
[20]. Cfr Archivio della Civiltà Cattolica, Fondo Enrico Rosa, XXIII, 12, 1.
[21]. Ivi.
[22]. Ivi.
[23]. Nello stesso articolo-intervista è riportato anche un giudizio del cardinale Merry del Val, a quel tempo parte in causa, sulla questione controversa: «Io dissi che l’Austria — affermò il porporato — aveva ogni diritto a una solenne riparazione e a garantirsi efficacemente contro le congiure che costantemente si facevano in Serbia contro di essa e che erano una continua minaccia alla sua esistenza; ma non si trattò dell’intimazione di guerra, della quale ancora non si parlava, mentre sperava tuttavia che si sarebbe trovata una via di uscita» (ivi).
[24]. Va anche sottolineato che, nel telegramma citato, il Papa non fa riferimento alla guerra, ma semplicemente alla possibilità di un’«azione energica» dell’Austria contro la Serbia; soltanto il Segretario di Stato parla di guerra, sebbene la considerasse come ultima ratio.
[25]. Cfr F. Latour, La papauté et les problèmes de la paix pendant la Première Guerre Mondiale,cit., 28; H. Castex – A. de la Far, Les Dessous de la guerre 14-18, cit., 330.