Sergio Mattarella è stato eletto Capo dello Stato per la seconda volta. Il suo nome ha raggiunto i 759 voti alla ottava votazione. Ne sarebbero stati sufficienti 505. I capigruppo dei partiti della maggioranza si erano recati al Quirinale intorno alle ore 15 di quel giorno, il 29 gennaio, per chiedere al Presidente la disponibilità a essere rieletto. I capigruppo, non i segretari di partito, come a dire che la base e non solamente i vertici gli hanno chiesto disponibilità: un bel segno di rispetto sia del Parlamento sia dello stesso Presidente. Con i capigruppo anche le delegazioni delle Regioni. I grandi elettori hanno, dunque, confermato la situazione precedente alle elezioni presidenziali, optando per non mutare il quadro che ha garantito al Paese governabilità e stabilità.
Il secondo mandato presidenziale di Mattarella
Non faremo qui la cronaca delle singole votazioni che i media hanno seguito istante per istante. Ci preme solo evidenziare le dinamiche fondamentali che hanno caratterizzato queste elezioni. I voti, sin dall’inizio, si sono orientati verso una figura super partes e non divisiva, decisione che non si adatta alle candidature politiche. La ricerca di questa figura non è andata a buon fine.
Dopo la decisione di Silvio Berlusconi – candidato «di parte» – di ritirare la propria candidatura, i veti incrociati degli schieramenti si sono sovrapposti fino alla candidatura della seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, da parte del centrodestra. L’operazione si è trasformata in un boomerang che ha fatto implodere lo schieramento. «Il centrodestra parlamentare credo che non esista», è giunta ad affermare Giorgia Meloni. D’altra parte, anche il centrosinistra non si è mosso sempre compatto, né ha presentato un candidato proprio. Tra Pd e 5 Stelle (e anche dentro le loro stesse fila) le tensioni sono apparse evidenti. E la domanda sulla capacità delle segreterie di «controllare» la base si è posta più volte.
I partiti hanno quindi finito per trattare in autonomia. La girandola dei nomi è continuata – tra fughe in avanti e go and stop – e ha prodotto astensioni e schede bianche. Purtroppo, si è assistito anche al gioco del talent show, come è stato definito, ossia quello di tirare in ballo nomi importanti delle istituzioni senza la garanzia che fossero condivisi, intestandoseli ed esponendoli in modo inappropriato. E questo fino a che non è arrivato un segnale chiarissimo alla sesta votazione, quando Mattarella ha raggiunto quota 336 voti e la sua candidatura ha ricevuto palese disponibilità di tutte le forze attualmente al governo. Fratelli d’Italia è stata, dunque, l’unica forza politica a non schierarsi ufficialmente per il reincarico.
È diventato evidente che il tandem Mattarella-Draghi è riuscito nell’impresa quasi impossibile di mediare tra le forze politiche, da una parte, e garantire credibilità internazionale, dall’altra.
Nel dibattito sul Presidente si è ovviamente discusso anche del governo in carica. Alcuni hanno paventato il rischio di un depotenziamento della politica e del ruolo del Parlamento. Tuttavia, nella permanenza di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio si specchiano sia la fiducia dei governi berlusconiani, che lo hanno indicato alla Banca d’Italia nel 2005 e alla presidenza della Banca centrale europea, sia la fiducia del centrosinistra. Fiducie confermate in questa fase storica complessa. Ora l’obiettivo è quello di non mettere in difficoltà l’esecutivo scaricando le tensioni interne di questo o quel partito. La situazione da evitare in ogni modo è quella di trasformare quest’anno che ci separa dalle elezioni politiche in una lunga e dannosa campagna elettorale che non serve al Paese.
I partiti stessi però stanno mutando profondamente: cambiano i rapporti di forza, e così la solidità dei legami di schieramento. Qualcuno nei giorni delle votazioni ha messo in discussione anche il sistema elettorale che ha giustificato gli schieramenti, ossia il sistema maggioritario, vagheggiando il ritorno al proporzionale per favorire la trasparenza degli atteggiamenti politici. A questo si aggiunga l’evidente crisi della rappresentanza, il clima di emergenza permanente, legato agli effetti epocali della crisi finanziaria e alla lunghezza della pandemia. Più volte, in questi giorni, si è profilata la possibilità di elezioni anticipate, e qualcuno ha addirittura parlato di «spappolamento del sistema politico».
Alla fine, il leader Pd, Enrico Letta, ha certificato la volontà di voler assecondare la «saggezza del Parlamento», confermato da Salvini: «Piuttosto che andare avanti altri 5 giorni con i veti, meglio dire al presidente Mattarella: ripensaci, ma bisogna farlo con convinzione».
Siamo certamente di fronte a un tempo di crisi. In questa fase turbolenta e magmatica della vita politica del nostro Paese, l’elezione di Mattarella a capo dello Stato rappresenta una garanzia.
Nel dibattito si è parlato di un cambiamento di ruolo del Capo dello Stato. Certamente al Presidente oggi si attribuiscono non soltanto ruoli di garanzia ed equilibrio, ma anche quello di punto di riferimento di un assetto del governo e della maggioranza parlamentare. Tuttavia, è evidente l’equilibrio istituzionale e il rigore di Mattarella nel gestire il suo ruolo e nel ricondurre i conflitti nell’orizzonte della Costituzione. La sua disponibilità è frutto di un sacrificio personale per il bene della Repubblica. Di questo gli va dato atto con sincera gratitudine.
Andiamo in stampa all’indomani dell’elezione di Mattarella, e prima del suo giuramento. Più volte La Civiltà Cattolica si è confrontata con il pensiero del Presidente, che abbiamo incontrato personalmente tre volte in occasioni importanti (maggio 2015, febbraio 2017 e luglio 2020), sempre in dialoghi franchi e di grande ispirazione.
Al termine dell’incontro con i Presidenti di Camera e Senato, che gli hanno comunicato l’esito della votazione, il Presidente Mattarella ha dichiarato: «Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati delle Regioni per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili trascorsi per l’elezione alla Presidenza della Repubblica nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando – sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale – richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti – con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini».
Idealmente oggi ci sentiamo di connettere queste prime affermazioni del «Mattarella bis» al Messaggio augurale per il nuovo anno che ha concluso il suo primo settennato. Le sue parole, rivolte a tutti gli italiani, descrivono un sogno di speranza per il futuro del Paese, sebbene il tempo che stiamo attraversando sia pieno di incertezze. Quindi ora cercheremo di approfondire i nodi critici che il Presidente ha messo in evidenza nel suo discorso, alla luce di tre rapporti di ricerca pubblicati nel dicembre del 2021.
«L’Italia dispone delle risorse necessarie per affrontare le sfide dei tempi nuovi», ha rassicurato il Presidente, che innanzitutto ha indicato la capacità dei cittadini di saper trovare l’unità e la coesione: «Ho percepito accanto a me l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comunità, con un senso di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici differenze di idee e di interessi». Il cammino sarà lungo, «ma le condizioni economiche del Paese hanno visto un recupero oltre le aspettative. […] Un recupero che è stato accompagnato da una ripresa della vita sociale».
La speranza va coltivata dentro la realtà, senza nascondere le difficoltà, perché possano essere affrontate e superate. Viviamo un periodo di profonda inquietudine. Stiamo affrontando, ormai da due anni, una pandemia e ancora non riusciamo a definire una «nuova normalità».
Nelle parole del Presidente non è presente un ingenuo ottimismo: è evidente la consapevolezza degli ostacoli. Come dimostra il richiamo alla crisi pandemica, che «ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi».
Tre ferite non procrastinabili
La nostra società attraversa processi di cambiamento strutturali; alcuni provengono da lontano, altri presentano nuove specificità, come ha segnalato il Presidente: «Occorre naturalmente il coraggio di guardare la realtà senza filtri di comodo. Alle antiche diseguaglianze la stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove. Le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico. Una ancora troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futuro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti più preoccupanti della nostra società».
Tre rapporti di ricerca pubblicati nel dicembre del 2021 possono aiutare a scorgere alcune ferite che alimentano il senso di inquietudine degli italiani: il crollo delle nascite, il disorientamento e la grave frattura nel Paese che evidenzia le carenze strutturali nel Mezzogiorno.
Il declino demografico
Una delle più profonde trasformazioni avviene nella struttura demografica. Purtroppo il crollo progressivo delle nascite è stato accentuato dalla pandemia. Lo hanno rilevato i dati pubblicati dall’Istat il 14 dicembre 2021 nel Rapporto «Natalità e fecondità della popolazione residente» (cfr www.istat.it): nel 2020 ci sono state appena 405.000 nascite. È stato registrato il nuovo record negativo dall’inizio dei censimenti in Italia. La diminuzione è stata costante e in linea con la tendenza degli ultimi tempi fino a ottobre (-2,9%, una perdita in media con quella del decennio 2009-2019), mentre negli ultimi due mesi dell’anno il calo è sprofondato a -8,3% in novembre e a –10,7% in dicembre. Purtroppo i dati attualmente disponibili del 2021 confermano l’accelerazione e la probabilità di un nuovo minimo storico nell’anno appena concluso: tra gennaio e settembre si sono contate 12.500 nascite in meno, il doppio di quelle nello stesso periodo dell’anno precedente.
In una relazione alla 14a Conferenza nazionale di statistica del 1° dicembre 2021, il demografo Alessandro Rosina ha affermato che la popolazione italiana non ha più la forza di crescere, e tutte le previsioni dipingono per il 2050 scenari nei quali è presente un calo nella popolazione attiva tra i 3,3 milioni (nella migliore delle ipotesi) e i 9,4 milioni: quest’ultima prospettiva, quella più probabile a oggi, sarebbe incompatibile con una possibilità di sviluppo economico e con la sostenibilità di qualsiasi welfare pubblico.
Per mitigare l’impatto sarebbe necessaria una politica di lunga durata, che investa sulle famiglie e che metta al centro i giovani. Ci sono motivazioni strutturali per la posticipazione della scelta di diventare genitori: periodo lungo per l’inserimento lavorativo, scarsa attenzione alle politiche familiari e al sostegno alla natalità, sfiducia nella conciliazione tra tempi di famiglia e lavoro. Ma a queste cause di contesto sociale si sommano scelte di vita dei ventenni italiani che guardano a nuovi stili e nuove progettualità, tra le quali trova un posto assai defilato l’aspirazione-obiettivo di diventare genitori. Per invertire la rotta occorrerà immaginare politiche di ampio raggio, che non si potranno limitare a sostegni economici, ma dovranno penetrare nel tessuto delle strutture produttive e sociali.
Adattarsi non funziona più
La seconda sfida emerge dall’analisi contenuta nel 55° Rapporto annuale del Censis, che osserva un relativo disorientamento nelle strategie di azione dei cittadini italiani. La loro capacità di adattarsi ai processi di trasformazione che nei decenni hanno attraversato il Paese non funziona più. Per la prima volta dopo oltre mezzo secolo di rilevazioni, l’Istituto di ricerca dichiara che non si trova traccia della tendenza naturale a riposizionarsi senza stimoli offerti dalle istituzioni sociali e politiche. Verrebbe meno la naturalezza individuale che garantiva la sostenibilità del sistema. I ricercatori dichiarano che «la società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non basta più. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare sé stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione» (Un cronoprogramma serio per lo sviluppo dell’Italia, in www.censis.it).
Dopo la crisi economica mondiale, innescata nel 2008 con il fallimento della Lehman Brothers, non ci sono stati reali segnali di crescita nel mondo del lavoro, nella distribuzione dei redditi, nella prospettiva di investimenti. Sembrano venute meno la vitalità di cui era tessuta la comunità e la fantasia delle persone che riuscivano a rispondere in autonomia alle sfide lanciate da innovazione tecnologica, cambiamenti nel mondo economico e trasformazioni culturali. Si ravvisa, inoltre, la crescita di un’inquietudine diffusa causata dalle aspettative irrealizzate. Il Censis parla di «rendimenti decrescenti degli investimenti sociali». Le persone non troverebbero ricompense rispetto al loro impegno: l’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel suo lavoro, e il 65,2% nella sua vita; un altro 81% sostiene che per un giovane è molto difficile vedere riconosciuti tempo, energia e risorse investite nello studio. Non stupisce allora l’ampia parte della popolazione che si sente scoraggiata: il 51,2% dichiara che l’Italia non sarà in grado di tornare ai livelli di crescita precedenti, e oltre il 66% sostiene che si viveva meglio in passato.
L’Italia spezzata delle due velocità
La terza sfida si può rintracciare nel Rapporto «Qualità della vita 2021», pubblicato da Il Sole 24 Ore. Esso ci mostra un’Italia a due velocità, che ripropone la grande frattura tra i territori del Nord e quelli del Mezzogiorno.
A uno sguardo complessivo sui dati relativi agli indicatori di benessere utilizzati nel Rapporto, appare un panorama positivo rispetto all’anno passato. Dopo l’avvento della pandemia, la ripresa delle attività economiche e sociali, anche per merito dei vaccini, mostra segnali positivi nei diversi ambiti: da ricchezza e consumi ad affari e lavoro; da società e salute ad ambiente e servizi; da giustizia e sicurezza a cultura e tempo libero. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 la produzione per abitante è cresciuta del 7,5%; i depositi bancari sono cresciuti dell’8,2%; è ripresa la mobilità della popolazione, come evidenziano le iscrizioni e cancellazioni anagrafiche, cresciute del 69,9% e dell’81,4%.
Quando però si esaminano le classifiche delle province, le posizioni mostrano una forte disuguaglianza territoriale, specialmente in alcuni settori strategici. Tante province settentrionali si collocano nei primi posti, mentre tra gli ultimi ci sono sempre province meridionali. Se si eccettuano gli indicatori sulle proposte culturali e quelli sulla sostenibilità ambientale, in tutti gli altri casi le posizioni rimangono le stesse. Nella classifica, le differenze emergono negli aspetti economici: i maggiori redditi da lavoro o da pensione di vecchiaia si trovano nel Nord, mentre i numeri più alti di beneficiari di reddito di cittadinanza sono nelle province del Mezzogiorno. E si verificano situazioni simili quando si considerano la raccolta differenziata o i km di piste ciclabili, la spesa sociale nei comuni o l’indice di lettura e l’indice di sportività.
Come è suggerito nel Rapporto, le risorse stanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per i territori del Meridione potrebbero dare un forte stimolo a ridurre le distanze. Sarebbe però importante promuovere gli attori economici che con le loro imprese e le filiere produttive sono presenti sui territori e già protagonisti sul territorio insieme alla società civile, che rimane una delle realtà più vitali. D’altra parte, gli estensori del Rapporto segnalano che dovrebbero emergere una maggiore fiducia dei cittadini e una maggiore capacità delle amministrazioni, che risultano meno organizzate e meno efficaci nel proporre progetti. Infine, si auspicano azioni di contrasto alle diverse realtà pubbliche o private che sopravvivono grazie a un sistema assistenzialista, perché esse finiscono per consumare la qualità della vita dei cittadini, invece di promuoverla.
Le risorse a cui attingere
Nel suo messaggio il Presidente offre una chiave di lettura affinché l’Italia possa trovare le risorse, emerse in questo tempo di pandemia, alle quali attingere. Possiamo cogliere quattro segni, che aiutano a comporre uno sguardo di speranza nel discorso del Presidente.
Il primo segno chiama in causa la responsabilità personale per contribuire alla crescita comune: «Tante volte abbiamo parlato di una nuova stagione dei doveri. Tante volte, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo sottolineato che dalle difficoltà si esce soltanto se ognuno accetta di fare fino in fondo la parte propria».
Il secondo segno riguarda la consapevolezza di non essere un popolo isolato, che deve cavarsela esclusivamente con le sue proprie forze: l’Italia è inserita in una casa più grande, la comunità europea, condividendo con gli altri Paesi politiche e strategie. Quando si sono verificate insieme la crisi sanitaria, quella economica e quella sociale, siamo riusciti a risollevarci grazie alle «politiche di sostegno a chi era stato colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei. Una risposta solidale, all’altezza della gravità della situazione, che l’Europa è stata capace di dare e a cui l’Italia ha fornito un contributo decisivo».
Il terzo segno richiede la capacità di mettere a frutto la progettualità e le risorse del Pnrr per potenziare nel cambiamento la nostra società, senza perdere un’opportunità unica: «Le transizioni ecologica e digitale sono necessità ineludibili, e possono diventare anche un’occasione per migliorare il nostro modello sociale».
Il quarto segno chiama in causa la complessità dell’impegno educativo. L’educazione non è neutra acquisizione di competenze, ma maturazione della persona affinché coniughi libertà, altruismo e capacità progettuale, che si realizza attraverso la via dell’alleanza tra le generazioni. È significativo che l’unica citazione del discorso del Presidente sia stata dedicata a Pietro Carmina, il professore di filosofia in pensione morto nel crollo della palazzina a Ravanusa, in Sicilia, pochi giorni prima di Natale: «Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare».
L’appello ai giovani
C’è poi un soggetto principale a cui il Presidente, nel suo discorso conclusivo, affida il compito di inseguire la speranza. L’appello è rivolto ai giovani, affinché non si accontentino e non si arrendano di fronte a una società poco ospitale, ma trovino il coraggio di trasformare la realtà che vivono: «I giovani sono portatori della loro originalità, della loro libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società».
Tuttavia, solo nella speranza si può affrontare il domani. Forse è proprio la speranza la qualità che più viene trascurata in questo tempo, perché essa è quella virtù bambina che sorprende: «Ma la speranza, dice Dio, la speranza, sì, che mi sorprende. / Me stesso. Questo sì che è sorprendente. / Che questi poveri figli vedano come vanno le cose e credano che domani andrà meglio. / Che vedano come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina. / Questo sì che è sorprendente ed è certo la più grande meraviglia della nostra grazia» (Ch. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù).
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THE RE-ELECTION OF PRESIDENT MATTARELLA. Amidst the Anxieties and Hopes of Italians
Sergio Mattarella has been re-elected Head of State in Italy. His nomination received 759 votes on the eighth ballot. The grand electors had confirmed the situation prior to the presidential elections, and opted not to change the framework that had guaranteed the country governability and stability during his first term as President. It seems appropriate to return to the New Year’s Greeting that concluded the President’s first seven-year term, in which he spoke of his dream of hope for the country’s future. In Mattarella’s words there is no trace of naive optimism, but full awareness of the obstacles to be overcome. Three research reports can help to discern some of the wounds that fuel the Italians’ sense of unease: first, the sharp fall in birth rates; second, disorientation; and, third, the grave fracture in the country that highlights structural deficiencies in Southern Italy.