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Il racconto dell’evangelista Luca situa l’evento della nascita di Gesù durante la notte (Lc 2,1-20). Non è questa una precisazione insignificante, perché è solo nel buio che prende senso la luce sfolgorante dell’angelo che indica ai pastori la strada per trovare il Salvatore. Nel Vangelo secondo Matteo non troviamo una conferma di tale puntuale segnalazione temporale. Tuttavia il racconto dei magi che vengono da Oriente (Mt 2,1-12) si spiega solo come un viaggio nell’oscurità; la stella che fa da guida è visibile infatti proprio nel cielo notturno, che paradossalmente diventa mappa di orientamento per chi cammina alla ricerca del re dei Giudei.
La liturgia della notte di Natale invita allora a rivivere l’esperienza degli antichi protagonisti non come una folcloristica ritualità, ma come l’appropriazione corporea di un alto significato spirituale. Ci viene chiesto di entrare nella notte, esercitandoci — si direbbe nel linguaggio di sant’Ignazio di Loyola — con una «applicazione dei sensi», quella che impegna la totalità della persona nel «contemplare» il mistero, gustando «l’infinita soavità e dolcezza della divinità» (Esercizi spirituali, n. 124), che per noi e per tutti si è incarnata e, venendo ad abitare fra gli uomini (Gv 1,14), ha per sempre rischiarato il mondo di luce indefettibile.
La notte nella Bibbia
Nella Sacra Scrittura si parla della notte fin dalla prima pagina. In Gen 1,1 leggiamo che «al principio» la tenebra ricopriva l’abisso, quasi fosse un’entità sovrana, presente prima della creazione del cielo e della terra. In realtà la tenebra è una rappresentazione del nulla, è simbolo dell’assenza e del vuoto; è, per così dire, il necessario contrappunto linguistico che fa apprezzare il senso e la bellezza di ciò che esiste e che quindi si può vedere. La tenebra è simile al silenzio primordiale in cui risuona la voce del Creatore; il timbro della prima parola divina riceve un rilievo incredibile proprio perché emerge dalla quiete assoluta, dalla mancanza di qualsiasi sonorità. Allo stesso modo la luce che sgorga dalla Parola è evento mirabile, poiché trafigge e sconfigge il buco nero che ingoia ogni energia.
Pare che nemmeno gli astrofisici siano in grado di definire cosa sia la tenebra, così come hanno difficoltà a descrivere il fenomeno della luce. Ma, anche senza disporre del beneficio di un’adeguata spiegazione scientifica, noi siamo in grado di vedere, possiamo cioè con i nostri sensi corporei distinguere tra il buio e la luce, possiamo anzi vivere l’esperienza delle origini, quando nel cuore della tenebra irrompe il fulgore della vita. È questo tipo di esperienza, corporea e spirituale al tempo stesso, che la Chiesa ci chiama a fare nella notte del Natale. Evocando la nascita del Signore Gesù, la liturgia infatti fa cantare al credente: «Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale» (Antifona all’ingresso, VI giorno fra l’ottava di Natale; cfr Sap 18,14-16).
Gli esegeti dicono che nella Bibbia la tenebra è un simbolo negativo, perché indica il regno della morte (Sal 88,7; Gb 3,5; Mt 8,12; Lc 1,79; ecc.). È allora importante sottolineare che il Creatore, creando la luce quale prima opera, ha fatto avvenire la vita. La vita è luce per gli uomini (Gv 1,4), è un raggio dell’infinito splendore dell’Altissimo.
Tuttavia — e questo è meno sottolineato — l’irrompere consolante della luce non ha eliminato la tenebra. Dio ha piuttosto creato l’alternanza tra il giorno e la notte (Gen 1,5.16-18), ha predisposto che l’uomo vivesse l’esperienza della sera così da attendere, nella fede, il chiarore del mattino (Sal 130,6). Ogni giornata della storia, che, secondo la mentalità ebraica, inizia nel crepuscolo e si compie nel meriggio, diventa perciò figura di tutta la storia umana, nel suo travagliato processo dalla valle oscura verso la luce senza tramonto (Ap 21,23-25).
Nella storia umana infatti la tenebra permane. E non è solo il costante oscurarsi del cielo al calare del sole. La tenebra di cui l’uomo percepisce dolorosamente la presenza è costituita dal perpetuarsi della morte, nelle sue forme violente e perverse, nelle guerre devastanti e nelle stragi del terrorismo, nei campi di sterminio, nell’orrore delle prigioni, nel disprezzo sistematico degli ultimi, nei tradimenti e nell’odio che contaminano gli affetti familiari, nella corruzione e nella menzogna diffuse nella società. È il buio profondo che cala sulla terra quando l’innocente è ucciso (Mt 27,45). È anche la notte che Giobbe invoca sulla sua sventura (Gb 3,4-7) per manifestare quanto sia insostenibile il subire un inspiegabile susseguirsi di violenze. Noi a volte con sgomento facciamo esperienza di questa tenebra. E ci chiediamo se il caos non stia prevalendo sulla forza benefica del Creatore.
La luce nelle tenebre
A chi ha paura, a chi dubita, a chi rischia di disperare è rivolta allora la parola della consolazione che dice: «La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). La vittoria è proclamata dal testimone credente, che confessa: è venuta «nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Nella notte, nel disinteresse della città, nel silenzio dell’umana impotenza, quando la fatica e la tristezza fanno chiudere gli occhi, nel cuore stesso del male una luce sovrumana risveglia la speranza. Il «sole che sorge dall’alto», profetizzato da Zaccaria (Lc 1,78), è apparso, e noi viviamo del suo splendore: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). È la luce della Parola che viene dal cielo a rischiarare l’umanità.
I testi biblici, quando evocano la luminosità che si irraggia benefica sul mondo, usano spesso questo motivo letterario come una metafora, per far intuire e apprezzare il dono del Verbo divino comunicato ai figli dell’uomo. Per l’antico Israele, Dio dona la sua Parola nella Tôrah quale lampada per i passi e luce sul cammino dell’uomo (Sal 119,105), perché «il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sal 19,9). Ricevendo la Parola, l’esistenza umana è inondata di senso, perché nel Verbo divino vi sono tutti i tesori della sapienza (Col 2,3), e la sapienza è qualità divina, è «riflesso della luce perenne» (Sap 7,26), e «più radiosa del sole, supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza» (Sap 7,29-30).
Le tenebre della violenza non prevarranno mai sulla mite irradiazione della Parola. Questa non è una ideologia, né una dottrina astratta. La Parola di Dio infatti si incarna, è una realtà portata da uomini che, operando instancabilmente nella storia, vi incidono il marchio della promessa. I profeti, uomini della Parola, infatti, sono tutti — come Giovanni Battista — messaggeri del Signore, inviati per «dare testimonianza alla luce» (Gv 1,7); essi sorgono nel buio dell’ignoranza e dell’ingiustizia come «una lampada che arde e risplende», così che per un momento — cioè nel tempo della loro testimonianza — il cuore possa rallegrarsi alla loro luce (Gv 5,35). I profeti sono lampade perché portano al mondo la Parola. L’angelo della notte di Natale, di cui narra il Vangelo di Luca, è un essere splendente perché reca il messaggio di Dio, illumina perché, a nome del Signore, dice: «Non temete; ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo» (Lc 2,10). L’angelo rischiara gli animi perché attesta l’avvenuta presenza del Verbo di Dio sulla terra, il Verbo che è la vera Luce da cui ogni luminosità trae origine.
Il Natale rivelazione di amore e gioia
Non si può sostituire questo divino fulgore con artifici mondani. Ciò che rischiara la notte del mondo non sono certo le luminarie dei negozi e delle strade, né le candeline sugli alberi di Natale. Ciò che rallegra il cuore non sono i cenoni, né i regali costosi. La famiglia umana è liberata dalla paura e dalla tristezza quando vive della Parola di Dio che, penetrando soavemente nel cuore credente, lo rincuora, lo rende capace di letizia e di bontà.
L’angelo della notte di Natale, indicando la presenza fra gli uomini di Colui che dà vita e gioia, chiama i pastori a fare un’esperienza personale di ciò che è stato annunciato. È necessario infatti incamminarsi, così da «vedere» ciò che il Signore ha fatto conoscere (Lc 2,15). Per quanto forte e benefica, la Parola evangelica non ha efficacia se non è accompagnato dalla grazia della fede, che suscita il desiderio dell’incontro personale con Dio stesso. La luce esteriore della testimonianza angelica è una lampada per il cammino; essa deve dunque lasciare il posto a una interiore illuminazione, all’irraggiamento della verità che si propaga nel misterioso segreto del cuore, come una potenza dolce e consolante. E ciò avviene quando gli occhi dello spirito vedono il Salvatore, quando dunque si cade in ginocchio per adorare.
I pastori si dissero l’un l’altro: andiamo a vedere (Lc 2,15). E cosa hanno visto? Hanno visto un segno, proprio quello predetto dall’angelo: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12); e di fatto questo essi trovarono (Lc 2,16). Ciò che i pastori vedono non coincide dunque immediatamente con ciò di cui ha parlato il messaggero divino, quando annunciava il «Salvatore, il Cristo Signore» (Lc 2,11). Eppure è proprio in quel bambino, venuto al mondo nella notte, che la salvezza raggiunge l’umanità; è proprio in quel pargolo indifeso, che la madre ha avvolto nelle fasce in gesto di protezione amorosa, che Dio rivela la sua Onnipotenza; è proprio in quel figlio di uomo deposto sulla greppia che, per la sua umile condizione, viene vinta la prepotenza del principe delle tenebre. Chi cerca la luce vera è chiamato a fare un cammino spirituale, così da riconoscere nel Verbo incarnato l’irrompere di una Rivelazione inaudita e sconvolgente: la rivelazione dell’amore. E questo nel segno umile del bambino di Betlemme.
La legge, come tesoro di sapienza e come baluardo contro la violenza, ci è venuta per mezzo di Mosè (Gv 1,17). Il mondo ha conosciuto ciò che è retto, e nella sua storia secolare ha elaborato ordinamenti disciplinari così da favorire abitudini di civile convivenza. Ma la legge non basta; persino quella che viene da Dio ed è lampada per i passi dell’uomo non può salvare il cuore prigioniero delle sue innumerevoli debolezze (Ger 17,9).
«La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). Ciò che avvenne con Gesù di Nazaret non fu tanto il fiorire del genio intellettuale, capace di proporre un sistema dottrinale perfettamente convincente, né si produssero per suo merito nuove istituzioni sociali e politiche in grado di promuovere più efficacemente la concordia e la giustizia. La vera luce del mondo si mostrò quando la vera «grazia», cioè la perfetta misericordia di Dio, diventò il cuore della storia del mondo. Il Natale è infatti la rivelazione piena dell’amore compassionevole. Nella notte rifulge l’amore divino, l’amore di Colui che per la nostra salvezza discese dal cielo, assumendo la carne mortale dell’uomo, abbassandosi fino alle nostre più perdute miserie, così da rigenerare in tutti la vita.
Il Signore ci ama per primo
Non dobbiamo lasciarci commuovere solamente dalla tenerezza del bambinello, ma da ciò che essa rivela. Nel «figlio che ci è dato» (Is 9,5) noi infatti conosciamo il Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18). Dal segno al senso, si dispiega davanti a noi un cammino di fede, per trovare l’amore, quell’amore che Dio ci dona e a cui il nostro cuore aspira. Un cammino che va incontro a Colui che, prima che noi ne prendessimo coscienza, si è mosso per abbracciarci, e prima di ogni nostro desiderio ci ha amati.
Infatti, nella notte del Natale noi cristiani possiamo «ringraziare con gioia il Padre», «che — per mezzo di Cristo — ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore» (Col 1,12-13). Così il salmista può cantare: «È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,10). Siamo nella luce perché siamo stati amati, siamo luminosi perché possiamo, a nostra volta, amare. Colui che è la Luce del mondo (Gv 8,12) ci ha resi luce del mondo (Mt 5,14); per la sua Incarnazione siamo diventati capaci di misericordia perché rivestiti di misericordia. Chi può vivere di questa rivelazione è invaso dalla beatitudine del Natale.
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