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ABSTRACT — La felicità è difficile da definire con precisione: essa rimanda a una vasta gamma di sinonimi, aperti a significati e direzioni differenti (benessere, soddisfazione, gratificazione, piacere, gioia, contentezza). Nello stesso tempo è ben nota agli uomini di ogni età e cultura: le domande sulla felicità sono comprese in ogni parte del mondo.
Un altro elemento comune rilevato è che la felicità non è a nostra disposizione, non è un prodotto delle nostre mani: essa può essere soltanto accolta quando fa la sua comparsa nel momento più inaspettato. A motivo di questo suo carattere sfuggente gli antichi chiamavano la felicità eudaimonia, l’opera di un «buon demone».
Aristotele identificava la felicità con la contemplazione, perché in tale attività l’uomo partecipa della vita propria di Dio. È tuttavia importante non equivocare il termine «contemplazione», quasi fosse riservato a una ristretta comunità di eremiti o incoraggiasse la passività a scapito dell’azione. La contemplazione non è opposta all’azione, ma è la sua espressione più alta, che consente di essere pienamente vivi.
Ora, l’epoca moderna ha cercato di fare della felicità un diritto alla portata di tutti; e così essa si è progressivamente allontanata dal suo orizzonte, anche speculativo, fino a dissolversi. Le società occidentali registrano guadagni enormi rispetto a 50 anni fa sotto molti aspetti. Nonostante ciò, la percentuale di infelicità percepita è notevolmente aumentata. Negli ultimi 50 anni la depressione è cresciuta di 10 volte.
Un altro dei motivi per cui sembra più difficile parlare della felicità, e della possibilità di conseguirla, è che si è cercato di eliminare lo stato d’animo a essa speculare: la tristezza.
«L’idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano» (U. Eco). La riflessione sulla felicità rimette in discussione alcuni assiomi basilari delle odierne società: la ricchezza, l’individualismo, la corsa al successo, l’accumulo. La dimensione comunitaria della felicità smentisce la sua valutazione in termini di proprietà personale o di bene di consumo. La riflessione sulla felicità ripropone così anche verità antiche e disattese. La pienezza di vivere viene conseguita quando non la si cerca direttamente, quando, in altre parole, ci si è dimenticati di se stessi e dei propri problemi per rivolgersi ad altri, con gratuità: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).