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ABSTRACT — Non è facile provare a confrontarsi con la figura di Bob Dylan, personaggio inafferrabile, contraddittorio, menestrello, poeta, forse profeta, sicuramente artista che sta più in là del tempo che vive. Nell’intenzione di accostarsi alla sua figura, conviene rifarsi al film I’m Not There (2007), del regista Todd Haynes, il quale, per raccontare la personalità del cantautore statunitense, ricorre a sei differenti personaggi, ciascuno dei quali impersona uno degli aspetti della natura artistica e umana di Bob Dylan.
Rileggendo «Talkin’ New York» (1962), una delle prime canzoni di Dylan, si può rappresentare la sua vita proprio come una corsa: Ramblin’ outa the wild West / Leavin’ the towns I love the best./ Thought I’d seen some ups and down / Til I come into New York town. / People goin’ down to the ground / Buildings goin’ up to the sky. Questo suo correre diviene un cammino infinito, esistenziale, che non contempla, alla maniera di Ulisse, una ricerca di ritorno alla terra d’origine, ma è spinto verso un oltre che mai si definisce completamente.
Il conferimento del premio Nobel per la letteratura suscita polemica, come pure il suo attendere nel pronunciarsi in merito. Quello che si può affermare è che la sua canzone ha attraversato periodi storici complessi, soprattutto della storia politica e sociale degli Stati Uniti dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri. La sua canzone ha dato voce a molte esistenze rotte dalla miseria e dalla violenza, innalzandole con poesia e delicatezza. La sua canzone ha saputo preferire l’amore al potere, la pace alla guerra, il dialogo al monologo. La sua canzone ha provato a indagare lo spirituale, innalzandosi verso i cieli, ma stando con i piedi radicati in quella terra che a volte è arida e dura.