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«Non si possono curare i malati se non si conosce la malattia»[1]. Nel II secolo una grave malattia spirituale stava minacciando la Chiesa: è quello che ordinariamente viene chiamato lo «gnosticismo», una dottrina teosofica, suddivisa in varie scuole, più o meno organizzate, ma che avevano un fondo comune ed esercitavano una forte attrattiva sia sui semplici cristiani, sia sul ceto intellettuale. Le speculazioni gnostiche ci appaiono oggi abbastanza bizzarre, così da non attirare più l’adesione di alcuno. Però, dietro quelle speculazioni c’è una certa visione di Dio, del mondo e dell’uomo, che, coperta da altri rivestimenti concettuali e linguistici, è condivisa ancora oggi da molte persone.
La prima cosa da rilevare presso gli gnostici è una concezione negativa del mondo. Dio — il vero Dio, non quello biblico, che è solo un Demiurgo — non può avere creato il mondo, perché ciò sarebbe indegno della sua assoluta trascendenza. Perciò il mondo materiale non è frutto di una creazione positiva di Dio, come insegna la Bibbia, ma sarebbe il risultato di una caduta, di una «defezione» avvenuta nel mondo divino, per cui una parte del divino si trova «alienata» nella materia. È, questa, la sorte dell’anima o dello spirito umano. Non di tutti però, ma soltanto degli «spirituali», nei quali è stata immessa questa scintilla divina. Gli altri esseri umani sono «psichici» o «materiali», e per loro non c’è libertà di scelta.
La salvezza consiste nel togliere questa alienazione. Fintanto che ignora se stesso, l’io divino è prigioniero del mondo materiale; ma quando prende coscienza di che cosa veramente è, cioè parte dell’Assoluto divino, allora è libero e salvo. Questa è la «conversione», mediante la quale l’uomo spirituale si libera dall’illusione del sensibile e si riscopre parte del divino. In definitiva, lo gnosticismo ha un pensiero essenzialmente dualistico, che procede per contrapposizioni: mondo divino versus mondo materiale; spirito vs corpo; bontà vs giustizia, e così via. Noi in questa nota cercheremo di individuare dove stava la sua capacità di seduzione, grazie alla quale gli gnostici potevano attrarre molti e sviarli dalla vera fede.
Il pensiero gnostico
Anzitutto, gli gnostici facevano leva su un diffuso sentimento anti-ecclesiastico e anti-istituzionale, quest’ultimo da sempre aleggiante nello spirito umano. In effetti, la Chiesa non si presentava come una aggregazione di liberi pensatori, dove ciascuno poteva dire la sua. Essa aveva una precisa tradizione, ricevuta dagli apostoli, i quali l’avevano ricevuta da Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, la Verità stessa, il Logos di Dio Padre. E i garanti di questa tradizione erano i vescovi, successori degli apostoli per linea ininterrotta, dai quali avevano ricevuto il ministero di guida e di insegnamento, insieme alle sacre Scritture[2]. Questa concezione della Chiesa agli gnostici stava un po’ stretta. Essi invitavano perciò i fedeli a non ascoltare i vescovi e la loro tradizione, perché, dicevano, essa non rispecchia il vero insegnamento di Gesù, che è molto più profondo e spirituale di quello predicato dalla Chiesa. È in base a questo senso profondo che vanno interpretate la Scritture.
In secondo luogo, gli gnostici attraevano per il loro spiccato esoterismo. Davano a intendere di possedere una scienza nascosta, che rivelavano soltanto agli iniziati. A chi li ascoltava, facevano credere che lui fosse un prescelto, distinto dalla massa dei semplicioni e degli ignoranti. Promettevano un’esperienza forte del divino, senza bisogno di tante mediazioni. «Il divino è in te — gli dicevano —; soltanto che è ricoperto dal fango di questo mondo; basta che ti purifichi con la conoscenza (gnōsis), e il divino riapparirà, e ti sentirai unito a lui come in mistiche nozze». In altri termini, per gli gnostici il rapporto tra «conoscenza» (gnōsis) e «fede» (pistis) è di tipo esoterico. La gnosi non è una «intelligenza della fede», fatta a partire dalla fede stessa e dentro la fede stessa, ma è «altro» rispetto alla fede. Quest’ultima viene fatta coincidere con la dottrina ecclesiastica, mentre la gnosi è la verità conosciuta solo dagli «spirituali».
Il terzo fattore di attrazione era la libertà dalla morale. Non c’è bisogno di osservare i comandamenti, dicevano gli gnostici. Essi sono regole che fanno parte di questo mondo, destinato a scomparire. Non vale dunque la pena affaticarsi per tenerlo in vigore. L’uomo non è il suo corpo e nemmeno la sua anima, né l’insieme dei due: l’uomo vero è il suo spirito (pneuma), che si deve liberare dal corpo e dall’anima (psychē) per ritrovare se stesso e ritornare nella Pienezza divina (plerōma). Il corpo e i suoi istinti — in particolare quello sessuale — vanno assecondati senza sensi di colpa, perché non intaccano lo spirito, il quale è di sua natura già divino. Esso non viene neppure sfiorato dalle brutture della carne, perché, come dice Paolo, il grande apostolo che ha avuto alcune particolari rivelazioni, «carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio» (1 Cor 15,50). È inutile perciò ostinarsi nel professare la fede (pistis) a costo della vita. Il martirio non serve a nulla. Quando la Chiesa insegna la risurrezione della carne, dice una grande sciocchezza. Lo gnostico è già un risorto, e aspetta solo di abbandonare definitivamente questo involucro terreno che è il corpo. «Tu — insistono gli gnostici — non devi più far parte di quel gregge di ingenui, istruiti dalla Chiesa, i quali credono che Gesù sia risorto con il suo vero corpo e che gli uomini risorgeranno con il loro corpo: nulla di più grossolano. La risurrezione è la gnosi».
In quarto luogo, gli gnostici facevano leva su un diffuso anti-giudaismo per screditare l’Antico Testamento, e in particolare la Legge mosaica. «Non vi rendete conto — sibilavano ai cristiani — che il Dio dell’Antico Testamento non può essere il vero Dio? Andate a leggere le Scritture: esse parlano di lui come di un dio pieno d’ira e di gelosia; un dio che castiga in continuazione chi non osserva le sue prescrizioni assurde; un dio che ordina stragi dei nemici; prima fa una cosa e poi si pente. Dice di essere l’unico Dio, ma è solo perché ignora il vero Dio, che è un Abisso invalicabile, assolutamente trascendente e non ha nulla a che fare con questo mondo materiale». Il vero Dio è un Dio di amore, non castiga, non punisce, solo attira a sé le particelle di spirito che sono cadute nella materia.
Il vero mondo è quello divino, abitato da esseri eterni, che si chiamano Abisso (padre primigenio) e Quiete (madre primigenia), Intelletto e Verità, Logos e Vita, Uomo e Chiesa: è questa tetrade androgina, dove si vede che il maschile e il femminile fanno parte del divino, e la loro unione è feconda di altri esseri spirituali (eoni), fino al numero di trenta[3]. I sottomultipli di questo numero (quattro, otto, dodici, più il diciotto) sono la chiave di spiegazione di tutta la Bibbia, che perciò è un libro esoterico. Il giudaismo di conseguenza è una religione terrena, psichica, inferiore, e la Legge mosaica è l’antitesi del Vangelo.
Infine, gli gnostici negano che il Creatore sia il vero Dio, perché, se ammettessero che il Creatore coincide con l’unico e sommo Dio, dovrebbero riconoscere che la creazione è buona, che c’è un disegno creatore e una Provvidenza che tutto comprende. Se c’è un Dio Creatore che ha fatto tutto con sapienza, «misura, calcolo e peso» (Sap 11,20), ciò significa che le creature sono rette da leggi naturali; e quindi anche l’uomo, maschio e femmina, fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27), ha un percorso tracciato dalle leggi del suo corpo e dai comandamenti della sua anima. Questi sono i precetti naturali, dati a un essere dotato di ragione e di libertà, che egli deve usare con responsabilità e di cui un giorno dovrà rendere conto. Se c’è un Dio Creatore di tutto, non esiste il male come sostanza, ma solo come privazione di bene, e il male morale può provenire soltanto da una libertà creata che si è ribellata per orgoglio al suo Creatore.
La reazione di Ireneo
Se questo è il quadro generale del pensiero gnostico, non ci fa più meraviglia che Ireneo abbia visto la pericolosità di questa «falsa gnosi» e l’abbia denunciata con il massimo vigore, contrapponendole la «vera gnosi», cioè la vera conoscenza, che ha la sua fonte nella Verità rivelata. Noi oggi ci meravigliamo di tanta fermezza, ma il fatto è che siamo stati come anestetizzati contro l’errore, siamo come un corpo che ha perduto le difese immunitarie, e quindi non reagisce più ai virus. Non così Ireneo.
Sentiamo le sue parole: «Alcuni, rifiutando la verità, introducono dottrine false e genealogie inutili, le quali sono più adatte a suscitare questioni — come dice l’Apostolo — che a costruire la casa di Dio fondata sulla fede (1 Tm 1,4; Tt 3,9). Grazie a una forza di persuasione ingegnosamente combinata, sviano la mente dei meno esperti e li fanno prigionieri, falsificando i detti del Signore e diventando, così, cattivi interpreti di ciò che è stato detto bene; rovinano molti, allontanandoli, con il pretesto di una conoscenza, da colui che ha formato e ordinato questo universo, come se potessero mostrare qualcosa di più alto e più grande del Dio che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che essi contengono (Es 20,11; Sal 145,6; At 4,24); in maniera persuasiva, grazie all’arte della parola, inducono i semplici a un atteggiamento di ricerca, ma li rovinano in maniera assurda, perché rendono il loro pensiero blasfemo e assurdo nei confronti del Creatore, non potendo essi distinguere il falso dal vero» (AH 1, prol. 1).
«Ama il Dio che ti ha creato»
Alla radice del pensiero gnostico c’è dunque una forte ostilità verso il Dio Creatore. Ireneo ripete spesso questo invito: «Ama il Dio che ti ha creato!». Questo primo articolo della regula fidei (regola della fede)[4] è così fondamentale nella teologia di Ireneo che, tolto questo, passano tutte le eresie. Molti indizi fanno pensare che oggi anche all’interno del cristianesimo, influenzato da una cultura ormai estremamente secolarizzata, ci sia, più o meno larvatamente, un certo accantonamento del Dio Creatore. Alcuni lo fanno con il pretesto che la Bibbia parla più di un Dio presente nella storia che non nella creazione. Questa presenza, secondo costoro, sarebbe una concezione ormai superata. L’eclisse di questo primo articolo del Credo si può notare nella difficoltà dei cristiani di oggi a rispondere agli attacchi degli atei militanti portando argomenti di ragione, e non rifugiandosi semplicemente nella fede, che è sì necessaria, ma non deve apparire irrazionale.
Anche l’attuale interesse per l’ambiente — i cristiani parlano di «salvaguardia del creato» — è una lodevole preoccupazione per la natura, ma spesso si tratta di una natura non più aperta al riconoscimento del Creatore. Una creazione senza il Creatore può essere manipolata a piacimento. Oppure può essere idolatrata, al punto che sul suo altare si sacrifica l’uomo stesso: non l’uomo forte, capace di parlare, di far sentire la sua voce, di far valere i suoi diritti, ma quello più debole, ancora — oppure, ormai — muto e indifeso.
Gli studiosi di Ireneo sintetizzano il suo insegnamento antignostico come incentrato sulla salus carnis, «la salvezza della carne», cioè di tutto l’uomo, non soltanto della sua anima o del suo spirito, ma anche del suo corpo. Per questo il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14). Allora potremmo dire che la salus carnis è la salus creationis. Ireneo ha un concetto così alto del Dio Creatore che non riesce a pensare come Egli possa abbandonare la sua creazione. Egli la ama talmente da volerla introdurre nella sua intimità divina. È solo attraverso l’uomo che si salva la creazione, e l’uomo si salva entrando in comunione di amore con Dio: «La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio» (AH 4,20,7).
Per Ireneo c’è un test anti-gnostico per eccellenza, e questo è il sacramento dell’Eucaristia. Infatti nell’Eucaristia la Chiesa prende anzitutto il pane e il vino, che sono elementi della creazione, frutti della terra e del lavoro dell’uomo; mediante la preghiera eucaristica essi diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, il Verbo di Dio incarnato e datore dello Spirito. Ma perché i fedeli si nutrono del Corpo e Sangue di Cristo, se non per diventare quello stesso che ricevono, il Cristo risorto, e prepararsi così alla risurrezione?[5] Ora gli gnostici disprezzano la creazione, fanno dell’Incarnazione una mascherata e dicono che la risurrezione è già avvenuta. Per questo l’Eucaristia è per loro irrilevante.
C’è uno spirito gnosticizzante che aleggia pure nel nostro tempo, uno spiritualismo vuoto, capace di sedurre «con belle parole e discorsi affascinanti» (Rm 16,18), che vanno a braccetto con un materialismo esibito con orgoglio. I segni di ciò sono troppo evidenti. Per questo è utile, se non urgente, ritornare a studiare il grande vescovo di Lione, ma studiandolo per come è, non per come vorremmo che fosse.
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[1] Ireneo di Lione, s., Adversus haereses [AH] 4, prol. 2.
[2] Cfr AH 3,3,1-3.
[3] Cfr AH 1,1,1.
[4] Ireneo, che ha scritto la sua opera verso il 180 in greco (essendo originario di Smirne), parla di «canone della fede». Il kanōn era il «regolo», la «squadra» usata dall’architetto, in base alla quale misurare i materiali. Per Ireneo, la fede ricevuta e trasmessa nella catechesi battesimale era la «regola» fondamentale con cui misurare le Scritture e tutte le loro interpretazioni.
[5] Cfr AH 5,2,2-3.