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La gioventù di Assisi (tutti maschi, figli di ricchi) si esercita nelle arti marziali in una piazzetta fuori mano, coperta da un fitto manto erboso. Spavaldo come gli altri, non meno infervorato degli altri, Francesco (Mateusz Kościukiewicz) tende i muscoli, pronto a menare e schivare fendenti.
Giunge Elia (Vinicio Marchioni), interamente vestito a differenza degli altri, che sono seminudi. Lui non è figlio di ricchi. Viene da Bologna, dove si è appena laureato in giurisprudenza. Da lui Francesco ha imparato, tempo addietro, un po’ di latino. Ne è nata una stretta e calorosa amicizia.
Fervono i preparativi per la partenza dei nostri, impazienti di andare a combattere contro Perugia. Per loro la guerra è un gioco. Ecco i primi morti. Assisi ha la peggio. Dura prigionia, dalla quale Francesco viene liberato grazie ai quattrini di suo padre, il ricco mercante di stoffe Pietro di Bernardone (Rutger Hauer), il quale ha chiesto a Elia di occuparsi delle trattative per il riscatto.
Inizio di una storia d’amore
I fatti sono narrati da due personaggi sopravvissuti a Francesco: Elia, che nel frattempo è diventato il Superiore di tutti i seguaci di Francesco, e Chiara (Sara Serraiocco), responsabile delle clarisse, la quale ha intrapreso uno sciopero della fame per ottenere dal Papa che a lei e alle «sorelle» sia concesso di vivere in totale povertà, secondo lo stile voluto da Francesco.
Reduce dalla prigionia, Francesco cammina per le strade di Assisi. Giunto davanti a una chiesa, assiste a un rito terrificante. Un lebbroso, legato con lunghe catene, viene allontanato definitivamente dalla città. Il rito, officiato da un sacerdote, altro non è che una replica del funerale come veniva praticato prima della recente riforma liturgica. Le preci dei morti vengono pronunciate su un vivo, il che non può non apparire come un’aberrazione. Il giovane Francesco fugge inorridito.
Francesco va a trovare Elia, che ha aperto ad Assisi uno studio legale, e gli chiede consiglio su come comportarsi con suo padre, che intende affidargli l’incarico di riscuotere i debiti dell’azienda di famiglia, facendo di lui una specie di esattore. Elia gli suggerisce di unirsi ai cavalieri che stanno per partire per la crociata indetta dal Papa. Chi tornerà vivo avrà come ricompensa un titolo nobiliare, cosa che inorgoglisce il papà di Francesco. Pietro di Bernardone non bada a spese per procurare al figlio l’armatura, il cavallo, uno scudiero…
Chiara, cugina di Rufino (Niccolò Senni), uno degli amici di Francesco, dà a Francesco alcune pagine del Vangelo che ha tradotto dal latino al volgare.
L’impresa cavalleresca di Francesco non ha esito felice. L’incontro con il lebbroso che aveva visto cacciare da Assisi, al quale offre l’elemosina; la lettura delle parole del Vangelo tradotte da Chiara: Francesco si convince di non essere fatto per guerreggiare. Il padre, quando lo vede tornare a casa senza armatura, senza cavallo e senza un soldo, va su tutte le furie. Dice che Francesco dovrà lavorare per rifondergli tutto quello che ha speso per lui.
In una splendida mattina di primavera, Francesco corre a torso nudo in mezzo alla campagna. S’inebria dell’aria fresca, del profumo dell’erba, della luce del sole… Vede i ruderi di una chiesetta diroccata e non può trattenersi dall’entrare. Tra la polvere, i calcinacci e altri detriti sparsi sul pavimento ci sono i frammenti di una tavola dipinta.
Francesco raccoglie quei frammenti, li pulisce, li colloca uno accanto all’altro componendo un crocifisso, quello che un tempo era sopra l’altare e poi è stato rotto e disgregato. Prende la camicia, che tiene arrotolata attorno ai fianchi, e deterge con essa il volto di quello che diventerà il famoso crocifisso di San Damiano. Ripete così, senza saperlo, un gesto caro alla devozione popolare, quello della Veronica che asciuga il volto di Gesù. Mentre sta per andarsene, sente una voce che sussurra dietro le sue spalle: «Perché mi lasci?».
Stupisce nel film l’assoluta mancanza di enfasi con la quale questo episodio viene esposto. Nel rappresentare per la terza volta con immagini audiovisive la vita del poverello di Assisi, Liliana Cavani sceglie senza esitare la via della quotidianità. Quello che è accaduto otto secoli fa alle pendici del Subasio, e ha stupito allora come continua a stupire il mondo, potrebbe accadere anche oggi, in ogni luogo della terra senza che nessuno se ne accorga.
Fuori dalle mura della città, Francesco incontra Chiara che, assieme ad alcune amiche, porta cibo e vestiti in dono ai poveri che abitano in una specie di baraccopoli. Francesco rivede il lebbroso che aveva già incontrato più volte e, spinto da un impulso irresistibile, lo abbraccia a lungo con affetto.
I rapporti tra Francesco e Pietro di Bernardone si fanno tesi. Nella pagina del Vangelo che Chiara gli ha dato, Francesco legge: «Non si possono servire due padroni: Dio e il denaro…». Francesco osserva la vita che fanno i salariati di suo padre, oppressi dalla fatica e sottopagati. Ruba stoffe preziose dal magazzino e va a regalarle ai poveri della baraccopoli.
Dopo aver restaurato il crocifisso di San Damiano, comincia a riparare anche la chiesa diroccata. Alcuni amici, giovani come lui, lo aiutano nell’impresa. In città si diffonde la notizia del suo strano comportamento. Il padre vorrebbe condurlo davanti a un giudice per diseredarlo. Elia suggerisce a Francesco di rivolgersi, come penitente, al tribunale ecclesiastico e avere così una sentenza meno severa di quella che otterrebbe da un tribunale civile.
Da Assisi a Roma
Siamo davanti al vescovo di Assisi. È la scena famosa che è stata dipinta da Giotto e riprodotta in tante altre maniere. Francesco rinuncia ai beni paterni e restituisce al padre i suoi vestiti, restando interamente nudo. Il vescovo lo copre con un lembo del suo mantello. Nel corso del dibattito processuale si precisa la radicale diversità del modo di pensare del figlio rispetto a quello del padre. Pietro di Bernardone misura tutto in termini di denaro. Francesco è entrato in un diverso ordine di idee.
Tutto si è svolto nella concretezza della vita ordinaria, ma il risultato, tutt’altro che ordinario, ora è sotto gli occhi di tutti. Mentre gli avvocati cercano un accordo, Francesco, del tutto estraneo alla diatriba, si toglie di dosso gli indumenti e li consegna a suo padre: «Questa è roba tua… D’ora in poi dirò soltanto: Padre mio, che sei nei cieli…». La madre di Francesco (Giselda Volodi), che nelle discussioni domestiche aveva sempre preso le difese del figlio, ora piange.
Alcuni giovani di Assisi, amici di Francesco prima di questi ultimi avvenimenti, decidono di seguire il suo esempio. Altri li disprezzano e li deridono. Nasce una fraternità che alloggia presso la chiesa di San Damiano, appena restaurata. Svolgono lavori occasionali qua e là nella campagna. Non accettano compensi né elemosine in denaro, ma si accontentano di qualche scarso prodotto in natura, appena sufficiente per un magro sostentamento.
Anche Chiara decide di unirsi al gruppo. Per lasciare a lei e alle compagne uno spazio protetto, Francesco invita i «fratelli» a cedere alle «sorelle» la stanza che occupano presso San Damiano, e andare a dormire all’aperto. Nessuno di loro, uomini e donne, indossa abiti che assomigliano a quelli dei religiosi, ma si coprono con i vestiti comunemente usati dai poveri. Perfino Silvestro (Fabio Bussotti), un sacerdote che si è unito ai seguaci di Francesco, lascia le insegne ecclesiastiche e si veste di stracci come gli altri.
Una domenica Francesco manda Rufino, che si lamenta per lo scarso cibo, a predicare senza vestiti in una chiesa di Assisi gremita di fedeli. Rufino esegue l’ordine. I fedeli non gradiscono la novità. Sopraggiunge Francesco, anche lui in mutande, recando sulle spalle il crocifisso di San Damiano. «Voi preferite un Cristo di legno a un Cristo in carne ed ossa…», è la sua predica.
La fraternità aumenta di numero. Vorrebbero poter viaggiare in Europa, nel mondo… Il vescovo di Assisi si preoccupa perché non riesce a controllare un movimento spirituale che, nato da una scintilla, si sta propagando come un incendio. Francesco chiede consiglio ad Elia, che si presenta a San Damiano vestito con un’eleganza che contrasta con la rozzezza di quegli straccioni. Egli dice che, per sottrarsi al sospetto di eresia, la cosa più opportuna è rivolgersi a Roma e ottenere il benestare del Papa. Offre, come al solito, i suoi buoni uffici di intermediario.
Vediamo i «fratelli» camminare a piedi nudi sul basolato dell’antica Roma e lavarsi in un bagno pubblico. Elia ha conosciuto a Bologna il cardinale Ugolino (Benjamin Sadler), il quale agevola l’incontro dei «penitenti di Assisi» con papa Innocenzo III (Ludwig Blochberger). Il palazzo lateranense (ora distrutto) è rappresentato dalla parte superiore della basilica di San Lorenzo al Verano, decorata con marmi policromi e tarsie cosmatesche.
L’incontro con il Papa non è facile. I cardinali presenti arricciano il naso quando sentono dire che qualcuno propone di applicare alla lettera le parole di Gesù nel Vangelo. Trasgredendo i suggerimenti di Elia, Francesco parla liberamente davanti al Papa, e l’udienza sembra concludersi nella più totale incomprensione. Poi, quando Innocenzo apprende da Ugolino che Francesco ha riparato con le sue mani una chiesa diroccata, la situazione cambia. Il Papa ha sognato proprio quella notte un uomo che reggeva sulle spalle l’architrave di una chiesa pericolante. L’approvazione è concessa.
Missione in Oriente
Nell’entusiasmo di ciò che è accaduto a Roma, nasce l’idea d’indire, in uno spazio erboso non lontano da Assisi, un raduno di tutti coloro che in diverse parti d’Europa hanno aderito nel frattempo al movimento nato da Francesco. È l’episodio che viene riferito nelle fonti come «Capitolo delle stuoie». La Cavani lo rappresenta come se fosse un raduno di hippies, tante sono le fogge dei vestiti variopinti di coloro che vi partecipano. Francesco osserva stupito quello che accade. Centinaia di persone provenienti da diversi Paesi. Commenta incredulo l’evento con frate Leone (Michael Schermi).
Quando viene il momento di parlare, Francesco dice ai suoi seguaci che non devono avere lui come punto di riferimento, ma Gesù. Anche le parole che pronuncia non sono sue, ma sono quelle di Gesù, alle quali non vuole aggiungere nessun commento per non sminuirne la portata. Il vescovo di Assisi e il cardinale Ugolino approvano con la loro presenza. Elia, visto lo sviluppo che il movimento sta assumendo, decide di aderirvi, perché è la sola occasione che ha per uscire dall’ombra di una piccola città di provincia.
Francesco incontra alcuni reduci dalle crociate, che parlano delle atrocità che si compiono nella lotta tra cristiani e musulmani. Tre «fratelli», Illuminato (Michele Balducci) con altri due, si trovano presso l’esercito crociato per recare conforto ai combattenti. Francesco decide di raggiungerli in Egitto.
Sbarcato in Egitto, per prima cosa Francesco visita la tenda dove giacciono i crociati feriti, assistiti da Illuminato. Spettacolo orrendo. Il cardinale Pelagio (Mattia Sbragia), rappresentante del Papa presso l’esercito crociato, crede che Francesco sia venuto a incoraggiare i cavalieri cristiani nella lotta contro gli infedeli, ma non è così. Francesco vorrebbe che i crociati facessero la pace con i mori, perché, come lui dice, in nessuna pagina del Vangelo si legge la parola «Uccidete!». Pelagio gli proibisce di occuparsi di questioni strategiche, e tanto meno di quelle diplomatiche.
Francesco, accompagnato da Illuminato, s’inoltra nel territorio dei musulmani. Il sultano Al Malik-Al Kamil (Mehdi Moinzadeh) è un uomo colto e mite. Dopo essersi informato su Francesco, lo accoglie amichevolmente e, dato che Francesco soffre di un’infezione agli occhi, lo fa curare dal proprio medico. È d’accordo con lui che cristiani e musulmani sono figli dello stesso Dio e che combattersi in nome di Dio è un’assurdità. Chiede a Francesco di farsi latore di una proposta di pace. È disposto a cedere ai cristiani la Terra Santa e Gerusalemme, se i crociati tolgono l’assedio alla sua città.
Pelagio tratta Francesco da ingenuo e da sciocco. «Te lo avevo detto di non occuparti di politica. Occupati dei poveri. È questo che la Chiesa vuole da te…». La guerra prosegue, e per i cristiani è una catastrofe. Particolarmente toccante è il momento nel quale Francesco, ospite del sultano e malato, si fa tradurre da Illuminato i nomi di Allah che un muezzin proclama dall’alto di un minareto.
Quando Francesco torna dall’Egitto, trova che il modo di vivere dei «fratelli» è cambiato durante la sua assenza. Sono stati costruiti conventi, dove i giovani, destinati al sacerdozio e alla predicazione, possono dedicarsi agli studi senza preoccuparsi per il proprio sostentamento. Vediamo Francesco sul tetto di un convento mentre getta a terra le tegole. Notiamo che i giovani «fratelli», esterrefatti per il comportamento del «fondatore», indossano abiti monastici, simili a quelli di altri religiosi, mentre Francesco e i primi compagni continuano a vestire i panni dei poveri. Nel refettorio la tavola è sontuosamente imbandita. Francesco fa entrare alcuni pezzenti e dice ai «fratelli» che è bello ospitare amici a tavola.
Anche Chiara ha difficoltà nell’accettare la nuova situazione. Frati umili e frati dotti non vanno d’accordo. Nascono tensioni e conflitti all’interno del movimento che Francesco ha suscitato ma che non riesce a controllare. L’insuccesso della missione in Egitto e l’aggravarsi del suo stato di salute gli suggeriscono di passare le consegne a Pietro Cattani (Robin Mugnaini), al quale affida la guida della fraternità. Lui si allontana di spalle, immergendosi nel verde, come lo abbiamo visto fare altre volte nel corso del film.
«Parlami!»
Pietro Cattani non ce la fa a mantenere l’insieme dei «fratelli» nella linea di quello che è stato il sogno originario di Francesco. Quando mette ai voti una proposta concernente il grosso lascito di un benefattore, constata che la maggioranza gli è contraria. Le sue dimissioni sono accolte nel corso di un’assemblea alla quale partecipano il cardinale Ugolino e il vescovo di Assisi. È la volta di Elia, di cui conosciamo le intenzioni non del tutto limpide. Sarà lui a guidare la fraternità. A Francesco viene assegnato il compito di redigere la regola del nuovo Ordine, che aspetta dal Papa un’approvazione definitiva. Prima di ritirarsi in un luogo solitario per scrivere la regola, Francesco si riconcilia con i suoi genitori e prende definitivamente congedo da loro.
Francesco si allontana con frate Leone nella foresta e chiede tempo per riflettere. Elia è impaziente di ottenere la regola richiesta da Roma. «Forse sono pronto», dice Francesco a Leone, e gli detta la prima regola: una serie di frasi del Vangelo, scelte tra le più esigenti, che a lui piacciono tanto. Elia gli fa sapere che, se la regola è troppo rigida, la scrive soltanto per sé. Francesco perde per un momento la calma. Alza la voce e grida che si vergogna tutte le volte che vede un povero che è più povero di lui. Se la povertà indicata nel Vangelo non è gradita ai nuovi «fratelli», se ne vadano. Nessuno li obbliga a restare.
La prima regola viene respinta. Francesco è invitato a scriverne una seconda, più «morbida». Ma anche questa viene manipolata e corretta da Elia e dal cardinale Ugolino. Francesco è sempre più isolato. Anche i primi compagni, che si ostinano a vestire, come lui, i cenci dei poveri, sono visti di malocchio da Elia e dagli altri che vivono in conventi al riparo dagli strali della povertà.
Siamo al punto più alto del film. Nella foresta Francesco, indebolito nella vista e nelle forze, vaga brancolando in cerca di Gesù, del quale da qualche tempo non ode la voce. Una lunga carrellata lo accompagna mentre incespica e ruzzola tra le foglie secche ai piedi di querce plurisecolari. L’immersione dell’uomo nel mistero del creato è totale. «Parlami!», grida Francesco a Gesù. Gli risponde un’eco da lontano.
Nel frattempo, Leone e Chiara si sono messi sulle sue tracce. Leone trova Francesco svenuto, disteso su una lastra rocciosa accanto alla cascata di un torrente. Le sue mani e i suoi piedi recano ferite uguali a quelle del Crocifisso. Leone e Chiara capiscono, ma non lo danno a vedere. «Mi ha parlato», dice Francesco quando rinviene. Sopraggiunge Elia che, con l’aiuto di quattro frati incappucciati, mette Francesco ormai privo di forze su una lettiga e lo trasporta presso San Damiano.
Elia è contento perché il Papa ha approvato la regola da lui modificata. Francesco detta a Leone il suo testamento, al quale affida il proprio pensiero sul modo nel quale i «fratelli» dovrebbero vivere per seguire le sue orme come lui ha seguito le orme di Gesù. Consegna il testamento a Elia non senza un rimprovero per il vestito lussuoso e il profumo che ha addosso. L’altro si scusa dicendo che ha dovuto pranzare con alcuni nobili. Un ultimo sguardo al volto del crocifisso di San Damiano: «È bellissimo!», ed è l’ora del commiato.
Francesco si fa distendere sulla nuda terra. Chiara e i primi compagni gli sono accanto. Un pensiero riconoscente a sorella morte ed è la fine. Elia si accorge solo ora delle stimmate. «Lo sapevate?», chiede a Leone. «Lo sapeva Chiara. Lo sapevo io. Ma lui non voleva che si dicesse». «Noi invece lo annunceremo al mondo intero», dice Elia. Chiara conclude: «Ha amato Gesù così tanto, che il suo corpo è diventato simile al suo».
Nel frattempo, anche la vicenda che fa da cornice al racconto del film, quella di Chiara e del suo digiuno, al quale si è unito quello delle compagne, ha un esito positivo. Il Papa concede che le «sorelle» possano adottare lo stile di vita voluto da Francesco.
Mezzo secolo di storia recente
Francesco, film televisivo in due puntate di Liliana Cavani, è stato trasmesso da Rai1 in prima serata il 7 e l’8 dicembre 2014. Abbiamo voluto raccontarlo scena per scena pensando di fare cosa gradita a qualche lettore che non ha avuto la possibilità di seguire le due trasmissioni. Ma, nello stesso tempo, abbiamo inteso imitare, per quanto possibile, con una prosa disadorna il tono dimesso che non si può non cogliere nel film. Come accennato sopra, questa è la terza volta che la Cavani si cimenta da regista con la storia del poverello di Assisi.
Tre film. Il primo, con Lou Castel come protagonista, girato su pellicola a 16 mm in bianco e nero per la televisione nel 1966. Il secondo, prodotto per il grande schermo senza risparmio di mezzi, con un attore della stazza di Mickey Rourke nel ruolo principale. Il terzo, quello di cui stiamo parlando, pur riprendendo lo stesso argomento, non assomiglia, per quanto riguarda la fattura, né al primo né al secondo. Nel frattempo è trascorso quasi mezzo secolo sul quadrante della storia. Tante cose sono cambiate nella Chiesa come nel mondo.
Nel 1966, anno del primo Francesco della Cavani, eravamo all’inizio del pontificato di Paolo VI, il quale aveva chiuso l’anno precedente il Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII nel 1962. Chi ha vissuto quella stagione, ricca di fermenti, reca impressa nella memoria la navigazione della barca di Pietro in acque agitate da venti contrari, tra l’impazienza dei fautori dell’innovazione e del prevalere del carisma sulle istituzioni, e il freno frapposto a ogni cambiamento da parte di coloro che trovano nell’attaccamento alla tradizione un senso di maggiore sicurezza. La società civile, dal canto suo, non si presentava meno perturbata. Si andava verso il ’68, l’anno della contestazione generale del sistema.
Marco Bellocchio, con l’intuito che è tipico degli artisti, realizzò in quel momento il suo straordinario film di esordio, I pugni in tasca: un grido di ribellione contro le convenzioni che, come macigni irremovibili, gravavano sulla società dell’epoca, soprattutto nell’ambiente piccolo e medio borghese. Protagonista del film era un giovane attore, anche lui esordiente, squattrinato e sconosciuto, Lou Castel, nel quale si sono riconosciuti coloro che, inalberando una volontà di cambiamento all’insegna del «tutto e subito», stavano per imboccare una strada autodistruttiva, priva di sbocchi nel futuro.
Semplicemente geniale, alla luce della sensibilità del momento, fu la scelta della Cavani di far interpretare il ruolo di Francesco (giovane contestatore delle idee radicate nel suo tempo) a Lou Castel. A livello giornalistico si parlò sbrigativamente di un Francesco «con i pugni in tasca». Si trattava invece di valorizzare gli aspetti costruttivi della contestazione giovanile, contrapponendoli all’esito catastrofico sul quale si chiudeva il film di Bellocchio.
Tra il 1966 e il 1989, anno del secondo Francesco della Cavani, passano 23 anni. Il pontificato di Giovanni Paolo II è al suo apogeo. Cade il muro di Berlino. Il successo straordinario delle Giornate mondiali della gioventù proietta a livello planetario l’immagine di un Papa superstar. La Cavani ripropone su ampia scala un progetto che, nel lavoro precedente di dimensioni più modeste, pareva appena abbozzato. La scelta più rischiosa è quella del protagonista.
Mickey Rourke, attore acclamato, dotato di una corporatura prestante e di un volto che reca tracce di un vissuto turbolento da eroe di strada, come quelli che si vedono in tanti film ambientati nelle periferie delle moderne megalopoli. Un tentativo di recuperare il disagio, diffuso nella moderna civiltà, mediante un accostamento alla santità di Francesco?
Resta indelebile la scena in cui Rourke-Francesco, con il corpo tatuato, segno di una gioventù scapestrata ormai trascorsa, per vincere una tentazione si getta nudo nella neve. L’episodio delle stimmate, affidato alla cifra del consueto realismo, non lascia margini ai lenocini cari all’oleografia che in tempi passati faceva da supporto a una panegiristica oggi non più proponibile, ma fa appello a una sorprendente performance dell’attore, di origine cattolica, che ritrova nell’identificazione con il santo il fervore religioso della sua gioventù.
Terzo Francesco e terzo periodo nella rapida evoluzione della storia contemporanea. Il timone della barca di Pietro è passato nelle mani di un Papa venuto «dalla fine del mondo», che ha scelto come nome quello del poverello di Assisi. Non c’è uomo che non abbia negli orecchi l’accento con il quale l’attuale Pontefice parla delle periferie del mondo, non limitandosi a quelle urbane, ma includendo intenzionalmente quelle esistenziali. Quanto al mondo poi (lo stesso Papa non cessa di farlo presente con insistiti richiami), è un luogo senza pace. Gli interessi economici prevalgono sulle esigenze inerenti alla dignità e al rispetto dovuti a ogni uomo, a ogni donna e ad ogni bambino che vive sulla faccia della terra. Ecco in cosa consiste l’attualità di Francesco, quello di Assisi e quello che oggi gli fa eco da Roma.
La storia narrata nei tre film è sostanzialmente la stessa. Diverso è il modo di proporla, come diverso è il pubblico al quale i tre film si rivolgono. Il momento delle speranze acerbe e delle delusioni precoci che stroncano sul nascere i sogni giovanili. Il momento della scoperta del grande inganno che si cela dietro il mito di uno sviluppo basato su valori effimeri. Il momento, quello attuale, della crisi economica che si ripercuote da un continente all’altro e costringe intere popolazioni, private del necessario per vivere, a intraprendere migrazioni bibliche alla ricerca di condizioni che consentano un minimo di sopravvivenza.
La sola cosa che vale
Fin dal primo film, la Cavani fa di Francesco un innamorato di Cristo. Può sembrare la cosa più semplice di questo mondo, trattandosi di colui che, sempre e ovunque, è stato considerato come alter Christus. Ma per un autore di film l’espressione di questo concetto si traduce nella necessità di porre l’amore di chi ama nei confronti di chi è amato al centro di ogni singolo frammento (di ogni inquadratura) del quale il film si compone, sì che ogni immagine contenga in sé un’impercettibile variante di questa idea di fondo. È quello che la Cavani fa in ciascuno dei tre film.
In ogni inquadratura si vede Francesco (che sia interpretato da Lou Castel, da Mickey Rourke o da Mateusz Kościukiewicz) mentre ha di fronte a sé un’altra persona o un’altra cosa: il padre, la madre, gli amici, Chiara… Tra lui e la persona o la cosa che gli sta davanti c’è sempre di mezzo la presenza, invisibile ma ineludibile, di Gesù. In ogni caso Francesco si sente costretto da una necessità interiore a optare per Gesù. Oppure, spostando leggermente la prospettiva, si sente attratto da ciò che lo avvicina a Gesù (la povertà) e respinto da ciò che da lui lo allontana (la ricchezza). Ecco il segreto del suo rapporto con i poveri e con il lebbroso.
Alla povertà si associa, come corollario naturale, l’umiliazione. Per questo motivo Francesco manda Rufino a predicare in mutande in una chiesa di Assisi.
In questo amore preferenziale — ma sarebbe più giusto dire assoluto — per Cristo si trova anche la ragione delle divergenze di Francesco con i «fratelli», quando il movimento, che da lui ha preso il via, s’ingrossa e insorgono problemi amministrativi, giuridici, istituzionali, dei quali non aveva tenuto conto in principio e che anche in seguito, di fronte alle diatribe nelle quali i suoi seguaci si accapigliano, gli rimangono sostanzialmente estranei.
È interessante vedere come, di film in film, alla monomania di Francesco si sovrappone la monomania della Cavani. Dire e ripetere in mille modi diversi la stessa cosa e non stancarsi mai di ridirla. In tutte le circostanze, col mutare dei tempi e con l’avvicendarsi delle generazioni. Con i mezzi ristretti della televisione anni Settanta oppure con quelli allargati del cinema, cambiano i fattori, ma il prodotto non cambia. Questo era il dato, già di per sé sorprendente, che nasceva dal confronto tra i primi due film.
Che dire del terzo? Sorpresa nella sorpresa. Se quello che conta è la sostanza, sempre uguale pur nel mutare degli elementi di contorno, la regista si sente autorizzata questa volta a rinunciare a tutto ciò di cui si può fare a meno. Mette se stessa di propria volontà, senza essere costretta dalle circostanze, sulla via della povertà, correndo il rischio di affrontare per giunta anche l’umiliazione. È il motivo sul quale si basa la dimensione che abbiamo già indicato come la chiave stilistica di questo terzo Francesco: la quotidianità.
Prodotto televisivo, sì. Ma dove sta la differenza tra cinema e televisione quando un autore ha qualcosa d’importante da dire e lo vuol dire con forza e con urgenza? Ora che la televisione è diventata un elettrodomestico invadente e, non di rado, petulante; ora che il tubo catodico o il plasma sono ritenuti ingredienti indispensabili della vita di ogni giorno; ora che il medium elettronico è lo strumento che misura, nel bene e nel male, il rapporto dell’uomo comune con la realtà, ecco un Francesco che non ha più bisogno del volto imbronciato di Lou Castel per indicare che è in guerra con tutto il mondo, né della grinta spavalda di Rourke per far sapere che, dopo tutte le esperienze trasgressive che l’uomo può provare nella vita, la sola che vale la pena di essere affrontata fino in fondo è quella di un amore che si consuma nel dono di sé.
Questa volta, per dire quello che ha da dire e fare quello che ha da fare, Francesco si accontenta del sorriso timido e schivo di Mateusz Kościukiewicz, un ragazzo come tanti altri, che potrebbe essere indicato come «il Francesco della porta accanto», capace tuttavia di affermare, con voce sommessa ma ferma, che tra le tante maniere nelle quali l’amore si può manifestare ce n’è una che dà forma e sostanza a tutte le altre: l’amore di Cristo e della sua sposa, Madonna Povertà.
Le tre tappe successive del rapporto cinematografico della Cavani con Francesco non possono prescindere da una maturazione, un approfondimento, una crescita nella tensione spirituale, la sostanziale condivisione di un ideale di vita… Quale il risultato? Lo si vede in questo film. Maggiore semplicità e chiarezza. Il coraggio che ci vuole per mettere da parte ciò che non è essenziale. La rinuncia a ogni aspetto coreografico che alluda a un Medioevo di maniera, perché Francesco non è né di ieri, né di oggi, ma di sempre. Non appartiene a un continente o a un altro, anche se in quest’ultimo film si nota una certa predilezione per l’America Latina, dove molte cristianità si risvegliano al soffio di un rinnovato senso di solidarietà.
L’amore per le periferie del mondo e, in sintonia con Papa Francesco, l’assillo per la pace fino ad azzardare missioni impossibili, a rischio di fallimento, compiute con lo scopo di lasciare dietro di sé una traccia, lanciare un segnale, spargere il buon seme che darà frutto a suo tempo. Il dialogo tra le religioni. La convinzione, propria di ogni autentico credente, che uccidere in nome di Dio è la peggiore delle bestemmie.