
«E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se lo aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni»[1]. Questo scriveva Italo Calvino nel 1964 di Beppe Fenoglio, morto nel febbraio del 1963. Nello stesso contesto – la prefazione alla ripubblicazione del suo Il sentiero dei nidi di ragno –, aggiunge anche: «Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita»[2].
Nato nel 1922 ad Alba, e morto a Torino nel 1963, figlio delle Langhe come il contemporaneo Cesare Pavese, di cui condivise anche la brevità di vita, Fenoglio condusse un’esistenza inapparente, lontana dagli ambienti letterari che contavano. Senza tema di essere smentiti, possiamo dire che ci ha regalato alcune delle pagine più belle e intense della letteratura italiana del Novecento. Pubblicando poco in vita, ha avuto il giusto riconoscimento solo postumo. Aprendo i suoi cassetti e i
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