
Recep Tayyip Erdoğan ha vinto, per la terza volta, le elezioni presidenziali in Turchia, al secondo turno, tenutosi il 28 maggio 2023, con la maggioranza di 52,1% dei voti[1]. È così il leader più longevo della storia politica turca. L’altro candidato al ballottaggio, Kemal Kiliçdaroglu[2], ha raggiunto il 47,8% dei voti: risultato, in ogni caso, non disprezzabile e significativo sul piano politico nazionale. «Con questa vittoria – ha commentato il Presidente – si è aperto il secolo della Turchia»[3], riferendosi al centenario della fondazione della Repubblica turca, che si festeggerà il prossimo 29 ottobre.
La prima tornata elettorale si era svolta il 14 maggio, quando il Presidente aveva prevalso sul suo antagonista, di circa 4,5 punti percentuali, senza però raggiungere la soglia richiesta del 50%. In quella data si era votato anche per il rinnovo del Parlamento turco, e il partito di governo Giustizia e sviluppo (Akp) si era confermato come prima forza politica del Paese, conquistando 317 seggi su 600. I timori che si verificassero brogli su larga scala si sono dimostrati infondati sia al primo sia al secondo turno e non ci sono stati episodi significativi di violenza nei seggi.
Alcune voci istituzionali – per lo più osservatori occidentali – hanno però denunciato alcuni limiti della competizione elettorale. Il capo delegazione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, già all’indomani delle elezioni del 14 maggio, aveva affermato: «La democrazia turca si sta dimostrando sorprendentemente solida.
Le elezioni hanno fatto registrare un’affluenza elevata e hanno offerto ai cittadini una reale possibilità di scelta, anche se i requisiti di base di una elezione pienamente democratica non ci sono stati»[4]. Infatti, ha continuato, importanti figure politiche e sociali si trovano in carcere, e questo nonostante le sentenze della Corte europea per i diritti umani, e «la libertà di stampa è fortemente limitata»[5]. Questa posizione era stata condivisa anche da altri osservatori europei.
Kiliçdaroglu è il leader del Partito popolare repubblicano (Chp) – di ascendenza kemalista, ma convertitosi negli ultimi anni in un moderno partito socialdemocratico filoccidentale –, il quale, per sconfiggere Erdoğan, aveva costituito una grande coalizione di sei partiti, appoggiati dall’esterno dal partito filocurdo[6]. Fino a pochi giorni prima del voto, i sondaggi (sostenuti dalla stampa filoccidentale) davano l’alleanza guidata dal «Gandhi turco» in netto vantaggio rispetto a Erdoğan[7]. Previsioni che non
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