
La Pacem in terris (1963), di cui ricorre il cinquantesimo anniversario, è certamente una delle encicliche più importanti del Novecento; essa fu accolta da tante persone, anche fuori del mondo cattolico, con grande entusiasmo e speranza e fu molto apprezzata da gran parte dei governanti della terra. Contribuì, inoltre, a dare credibilità alla Chiesa e al papato in un mondo segnato dalla secolarizzazione. Fu la prima enciclica a essere indirizzata non soltanto ai vescovi o ai fedeli cattolici, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà. Inoltre, fu emanata in un momento molto particolare sia per la Chiesa, riunita da un anno in Concilio, sia per il mondo, che negli ultimi mesi (con la cosiddetta crisi di Cuba) aveva sperimentato la paura di una rovinosa guerra atomica, e che in ogni caso viveva in una logica di contrapposizione, imposta dalle due superpotenze dominanti[1].
L’enciclica giovannea intese offrire una trattazione ampia ed esaustiva del tema della pace, nei rapporti sia con la comunità politica, sia con quella internazionale, toccando temi etici molto sensibili e di grande attualità. Come prevedibile, essa fu una fonte preziosa per l’elaborazione di importanti documenti conciliari, come la Gaudium et spes e la Dignitatis humanae. In questo articolo tratteremo in modo sintetico della formazione dell’enciclica e ne esamineremo dal punto di vista storico i passaggi più importanti.
Formazione dell’enciclica «Pacem in terris»
Nel diario del card. Roberto Tucci, allora direttore della Civiltà Cattolica, si parla di questa enciclica e si mettono in evidenza aspetti molto importanti sulla sua elaborazione. Riportando un colloquio con il Segretario di Stato card. Amleto Cicognani, p. Tucci annotava: «Quanto all’enciclica, mi dice: la prima stesura fu fatta da mons. Pavan; era molto più lunga e fu trovata dal Papa, che ne aveva seguito tutti i passi, troppo fredda; perciò furono introdotti passi biblici ed esortativi. C’è stata poi la revisione teologica di p. Ciappi e quella finale di mons. Zannoni, oltre altri apporti di persone della Segreteria di Stato»[2]. Il Papa, ispirandosi ai princìpi che avevano orientato la prima assise conciliare (anche alla luce dell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia), desiderava un documento non soltanto più pastorale, ma anche più «nutrito» di Sacra Scrittura e di citazioni tratte dai Padri della Chiesa.
«Si è preferito questa volta — continua il p. Tucci — non uscire da un ristretto cerchio vicino alla Segreteria di Stato per evitare l’opposizione dei “conservatori”, le cui critiche d’altronde
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