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Religioni Televisione

I “Simpson” e la religione

Francesco Occhetta

16 Ottobre 2010

Quaderno 3848

(iStock/mrpluck)

Il 17 dicembre 1989 andò in onda per la prima volta negli Stati Uniti il cartone animato dei «Simpson», destinato a diventare nel giro di pochi anni la più famosa sitcom (commedia comica) del mondo. La serie è stata ideata dall’ingegnoso fumettista americano Matt Groening, quando, pochi minuti prima di presentarsi a un importante appuntamento con un produttore televisivo, non avendo preparato nulla, si inventò alcuni nuovi personaggi dalle mascelle quadrate, con occhi simili a due palle da golf e dalla pelle gialla per far credere ai telespettatori che si trattasse di un problema tecnico dei loro televisori. Nessun produttore avrebbe scommesso che quelle nuove figure sarebbero diventate tra i personaggi più famosi della storia del fumetto; in poco tempo, invece, gli americani si riconobbero nelle storie della famiglia Simpson e della società della cittadina di Springfield.

All’inizio degli anni Novanta l’opinione pubblica mondiale si divise in due. Soprattutto negli Stati Uniti molte associazioni di genitori ritennero che la famiglia Simpson non fosse un buon modello educativo, addirittura George Bush senior, allora presidente, criticò la serie televisiva: «Stiamo provando a rafforzare la famiglia americana, in modo da farla assomigliare di più ai Waltons e di meno ai Simpson». Molte scuole proibirono agli studenti di indossare le magliette dei Simpson, ma l’indotto intorno alla serie televisiva permise, dopo soli 14 mesi di produzione, di ricavare due miliardi di dollari.

Nel 1998, uno dei componenti della famiglia, Homer, risultò il 46° personaggio più famoso al mondo, collocandosi appena dopo Picasso, Roosevelt, Gandhi e i Beatles. Ancora oggi, dopo 24 stagioni televisive e un film campione di incassi, i «Simpson» stanno battendo tutti i primati: vengono visti da cento milioni di spettatori di tutto il mondo, sono distribuiti in 90 Paesi con indotti pari a quello delle grandi industrie. Il 31 dicembre 1999 il Time premiò i «Simpson» come «miglior serie televisiva del secolo», mentre, per l’influenza culturale sulle nuove generazioni, alcune espressioni, come l’esclamazione contrariata di Homer Simpson, «D’oh!», sono state introdotte nell’Oxford English Dictionary.

A causa dei temi trattati e del linguaggio usato la serie è stata più volte censurata da emittenti di Paesi come Gran Bretagna, Venezuela, Argentina, Giappone. In Russia e in Cina la programmazione è stata addirittura vietata per anni, mentre la traduzione italiana «attenua» spesso le espressioni volgari e, anche se ci sembra una scelta criticabile, ad ogni personaggio è associato un accento regionale diverso [1].

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I “Simpson” e la religione

Francesco Occhetta

Docente di Dottrina sociale della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana.


16 Ottobre 2010

Quaderno 3848

  • pag. 140 - 149
  • Anno 2010
  • Volume IV

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