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Il 24 marzo 2014 più di 15.000 persone si sono riunite a Kutungia, nel recinto della chiesa sul confine Jharkhand Orissa, a 240 km a sud di Ranchi (India), per celebrare il cinquantesimo anniversario del martirio di p. Herman Rasschaert. Qui questo gesuita belga, di 42 anni, della Provincia di Ranchi era stato parroco. Una folla inferocita composta in prevalenza da fondamentalisti indù lo uccise il 24 marzo 1964 nel villaggio di Gerda, a circa a 8 km di distanza. Secondo i testimoni oculari, egli aveva cercato di dissuaderli dall’uccidere i musulmani riuniti in una moschea e nell’adiacente madrasa (scuola elementare islamica). Un catechista di p. Rasschaert, Bernard Jojo, di 90 anni, ha detto che il martire li supplicava a mani giunte: «Per favore, lasciateli! Non fate loro del male!».
La celebrazione ha fatto risaltare l’impegno pastorale di p. Rasschaert, il messaggio di pace, la ricerca di una comune armonia e giustizia. Mentre forze disgregatrici cercano di iniettare il veleno del credo e dell’odio della casta, fondato sul colore e sulla razza, il suo sacrificio poco noto continua a tenere accesa la speranza e l’amicizia.
In vista del 50°, l’Indian Social Institute di New Delhi e Sadbhavna Manch («Forum per Armonia») hanno organizzato insieme una conferenza, tenutasi il 16 novembre 2013 nella città di Ranchi, sul tema: «Ricerca dell’armonia in un contesto che cambia». Vi hanno partecipato più di 365 personalità di varie fedi, cristiani, indù, musulmani, sikh, buddisti e sarna (di tradizione tribale). Era presente anche il cardinale di Ranchi, Telesforo Placido Toppo.
Il martirio di p. Rasschaert è stato commemorato anche da più di 600 ospiti al St. Xavier’s College, a Ranchi, il 10 marzo 2014. L’evento è stato organizzato congiuntamente da India Desk di Ranchi e dalla sede locale di Sadbhavna Manch. «Sarebbe stato fuori del suo carattere, se mio figlio non fosse morto come ha fatto!»: la risposta spontanea di Cecilia Rasschaert alla notizia della morte violenta di suo figlio Herman è una testimonianza del suo supremo sacrificio perché si arrivi in India a una pace armoniosa tra le varie comunità, nel rispetto reciproco.
La nascita di Rasschaert in esilio, a Kampen, in Olanda, avvenuta il 13 settembre 1922, presumibilmente lasciò in lui un segno indelebile della guerra ingiusta. Cresciuto secondo la tradizione fiamminga, molto presto aveva acquisito forti convinzioni. Dotato di un fisico robusto, Herman amava attività difficili e faticose. Educato dalla madre in ambiente cattolico, aveva anche coltivato molto la pietà religiosa. Nell’ultimo anno trascorso nella scuola diretta dai gesuiti ad Aalst, in Belgio, egli decise di farsi gesuita, in forte contrasto con i desideri del padre. La sua decisione di andare missionario in India sorprese molti dei suoi compagni di noviziato.
Giunse a Calcutta il 28 novembre del 1947, tre mesi dopo la dichiarazione d’indipendenza dell’India, e il 2 gennaio 1962 gli fu affidata la parrocchia di Kutungia. Quando morì, la parrocchia aveva 17 chiese nei villaggi e 2.500 cattolici. Come pastore dedito a compiere con impegno ed entusiasmo il suo lavoro, p. Herman faceva le sue visite pastorali in bicicletta, andando in tutte le cappelle dei villaggi tre o quattro volte l’anno.
All’inizio del marzo 1964, cattive notizie di scontri violenti tra musulmani, indù e adivasis (popolazione di origine tribale) misero in subbuglio tutte le città al confine dell’allora Pakistan orientale. E nell’incessante persecuzione da parte dei fondamentalisti indù, si venne a sapere che anche alcuni cristiani adivasis avevano sofferto per l’ostilità dei musulmani. Delle migliaia di persone in cerca di un rifugio in India, molti, con treni speciali, furono inviati da Kolkata (Calcutta) in centri di raccolta dello Stato di Madhya Pradesh, al centro dell’India. La vista di tanti rifugiati terrorizzati, alcuni dei quali presumibilmente mutilati, suscitò l’indignazione degli indù in India.
Gruppi di fanatici colsero l’occasione per eccitare ancora di più gli animi. Il 18 marzo 1964 scoppiarono sommosse negli importanti centri industriali di Jamshedpur e Rourkela. Tutte le istituzioni educative e le acciaierie vennero chiuse a tempo indeterminato. La violenza andò crescendo su entrambi i versanti del confine tra gli Stati di Bihar e di Odisha. Gruppi armati fecero incursioni nelle campagne spargendo terrore e false notizie: «Il Pakistan ha dichiarato guerra! I musulmani uccidono gli indù». Molti contadini, inclusi gli adivasis, furono costretti a unirsi alle bande saccheggiatrici, che, furiose, attaccarono i musulmani, li uccisero e bruciarono le loro case.
Era il lunedì della Settimana Santa. Tornato dall’assistere un malato alla periferia del villaggio di Kutungia, p. Rasschaert, visibilmente triste, passeggiava sul terrazzo. Lo scarsa partecipazione dei fedeli alla liturgia della Domenica delle Palme e il fatto che praticamente nessuno fosse venuto per la seconda Messa erano segni da non trascurare. Mentre era sulla via del ritorno dal malato che lo aveva chiamato, un contadino gli aveva detto che i musulmani erano nel panico a causa di possibili attacchi da parte di bande di estremisti.
Il giorno dopo p. Rasschaert venne a sapere che nessun operaio era tornato al lavoro. Il suo catechista gli disse che una grande folla, con a capo alcune persone venute da fuori, aveva circondato il villaggio di Gerda. Scossi dalla lunga lotta notturna, i musulmani del luogo avevano trovato riparo a Gerda, diventato un rifugio per 36 famiglie musulmane e 18 cattoliche. Ma gli aggressori erano molto più numerosi. Alcuni poliziotti che erano lì di stanza erano fuggiti per paura di essere uccisi. Tra grida e pianti tremendi, l’assalto finale al villaggio cominciò intorno alle 7,00 di mattina.
Per il carattere di p. Rasschaert, queste azioni barbare e ingiuste erano intollerabili. Egli perciò diede le chiavi di casa al catechista, dicendogli di accogliere ogni musulmano che si fosse presentato, e decise di andare a Gerda. Il catechista e alcuni insegnanti cercarono di dissuaderlo, dicendogli: «È molto pericoloso, ti uccideranno!». Ma non riuscirono a convincerlo; la sua risposta fu: «Sono pronto a dare la mia vita».
Indossata la tonaca, p. Herman corse a Gerda in bicicletta, e in 20 minuti raggiunse la moschea. Qui, mentre si muoveva a piedi tra la gente, alcuni lo riconobbero e gli dissero: «Questo non è un posto per lei!». Tuttavia, senza alcun timore, egli si diresse vero la parte bassa del muro che circonda la moschea. E anche quando gli attaccanti lanciavano pietre e mattoni alle centinaia di persone ammassate in un piccolo recinto, egli disse ai musulmani di non aver paura. Quindi si rivolse alla folla degli attaccanti con queste parole: «Uccidere la gente è un grave peccato! Basta con questa pazzia!».
Gli attaccanti, per lo più venuti da fuori, evidentemente non lo riconobbero. «È uno di loro!», gridò qualcuno. Una grossa pietra lo colpì alla testa, e lui cadde in ginocchio. Mentre tentava invano di rimettersi in piedi, altri colpi inferti con armi bianche da taglio lo uccisero. La moschea fu incendiata per far uscire quelli che vi erano dentro. In quel giorno vennero uccise quasi mille persone, e le loro case furono bruciate. Innescata dal massacro di Gerda, una violenta lotta tra le varie comunità religiose minacciò di diffondersi in tutta la regione.
Jawaharlal Nehru, allora Primo Ministro dell’India, durante una riunione del Partito del Congresso (il partito al Governo), annunciò: «Il padre deve essere onorato». Anche numerosi personaggi pubblici offrirono calorosi tributi a p. Rasschaert nel primo anniversario del suo martirio. Il dottor Ashok Mehta, un veterano della lotta per l’indipendenza e ideologo politico, presiedette alla funzione in suo onore. «Il p. Herman Rasschaert — disse — è stato un uomo di umanità, un uomo di Dio. Dobbiamo conservarne il ricordo per tutti gli anni a venire».
Prendendo lo spunto da quanto detto da Ashok Mehta, un confratello di p. Herman dichiarò: «P. Rasschaert fu un uomo di una dedizione totale, non di mezze misure. Egli non rifiutava mai un servizio a chiunque glielo chiedesse. Era di una grande sincerità, incapace di tollerare la doppiezza; era, come si dice di Natanaele nel Vangelo, un uomo in cui non c’è inganno (cfr Gv 1,47). La sua vita sarà per me sempre una sorgente di ispirazione e di coraggio».
«Se il p. Herman non avesse sacrificato la sua vita in quello scoppio di violenza del 24 marzo 1964 a Gerda, ci sarebbero state molte altre vittime», fece notare mons. Vincent Barwa, vescovo di Simdega, la diocesi alla quale appartiene la parrocchia di Kutungia. «Il suo sangue — continuò il vescovo — non è stato sparso invano. Il sangue del martire rende la Chiesa più aperta, più grande e più forte. Dobbiamo trarre ispirazione da p. Rasschaert, il quale, giovanissimo, rinunciò a tutto, venne qui per tutti noi e ha dato la sua vita per ristabilire pace e armonia nella nostra regione». In coincidenza del cinquantesimo anniversario della sua morte, Gerda è diventata una parrocchia.
Yasim Mia, di 79 anni, un musulmano sopravvissuto alla carneficina, ha detto di aver perduto 135 membri del suo clan, compresi la moglie e cinque figli. Ugualmente, Khalil Khan, di 75 anni, ha dichiarato di aver perduto sua moglie e 10 figli. Secondo le loro testimonianze, tutte le case dei musulmani di Gerda furono ridotte in cenere; eccetto 17 sopravvissuti che non avevano casa, tutti i musulmani del luogo e dei villaggi vicini furono massacrati.
William Kandulna, un devoto di p. Rasschaert, che ha costruito una cappella privata in onore del martire, sostiene che molti fatti straordinari documentati vengono attribuiti alla sua intercessione. La gente considera miracoloso anche il fatto che, mentre al tempo di p. Rasschaert c’erano 2.500 cattolici, nel 2014 c’erano 18 chiese nei villaggi con altrettanti catechisti, 1.188 famiglie cattoliche con 6.497 membri. Inoltre la parrocchia di Kutungia ha dato alla Chiesa 20 sacerdoti, 16 fratelli religiosi, 40 suore e un vescovo.
I primi compagni di scuola e amici del martire hanno detto che, se egli non avesse dato la vita in tali circostanze, ne avrebbe sofferto per tutto il resto della sua esistenza. I gesuiti di Ranchi sono consapevoli che l’eredità di una pace e di un accordo tra le diverse comunità lasciata da p. Rasschaert ha un grande valore.
Il luogo del martirio di p. Rasschaert, a Gerda, da allora è diventato meta di pellegrinaggi; la gente vi accorre ogni anno per commemorare la sua morte e chiedere la sua benedizione.
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