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Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (Corea del Sud – Germania, 2003). Regista: KIM KI-DUK. Interpreti principali: K. Ki-duk, K. Jong-ho, S. Jae-kyung, K. Young-min.
Lo specchio del lago riflette la luce del cielo. In mezzo al lago c’è un eremo galleggiante, abitato da un monaco buddista anziano e dal suo discepolo ancora bambino. Una barca collega l’eremo con la sponda del lago. Per staccarsi da terra con la barca, bisogna prima passare attraverso un portale sui cui battenti sono disegnati draghi infernali. La presenza di questo portale, come quella della porta che separa, all’interno dell’eremo, lo spazio dedicato alla preghiera da quello dedicato alla vita di chi lo abita, è sottolineata dalla macchina da presa con angolazioni ortogonali. Porta e portale, in assenza di pareti o recinti da oltrepassare, svolgono una funzione simbolica: indicano la divisione e la simultanea copresenza tra contingente e assoluto, effimero ed eterno.
Il film, d’altra parte, non ha nulla di realistico; è una metafora che esprime il senso della vita secondo i princìpi della religione buddista. Il regista sud-coreano Kim Ki-duk ha esercitato diversi mestieri prima di dedicarsi al cinema. Educato in una scuola agricola del suo Paese, si è arruolato in marina e successivamente ha fatto parte per due anni di una istituzione religiosa senza abbandonare tuttavia la pittura, che, fin da bambino, è stata la sua passione. Nel 1990 si reca in Francia per studiare all’estero e per tentare di vendere i suoi quadri. Non ha mai ricevuto un’istruzione regolare. Scopre il cinema per caso e se ne serve, come forma di espressione analoga alla pittura, fuori dai canali che ne fanno un prodotto commerciale. Dal 1996 (anno del suo film di esordio: The Crocodile) miete consensi in diversi festival internazionali (Berlino, Venezia, Mosca, Locarno…).
Il titolo del suo film più recente, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, indica bene l’assunto della pellicola, che mette a confronto il ciclo delle stagioni con le diverse fasi della vita di un uomo. I colori si susseguono sullo schermo con trasparenze da acquarello. Alla soffice luminosità della primavera tiene dietro l’estate con campiture di tonalità più intensa. In autunno le foglie del bosco che riveste le montagne tra le quali è situato come in una conca il lago Jusan, con al centro l’eremo galleggiante, si colorano di giallo e di rosso. In inverno l’acqua del lago si trasforma in superficie gelata. Le sagome dei rami contorti appaiono come scheletri senza vita. Ma la primavera torna a far sbocciare i germogli, a rallegrare la vista con i petali dei fiori colorati. Il ciclo riprende il suo corso perenne, immutabile. Così è della vita dell’uomo, prima bambino, poi adolescente, giovane, adulto e infine anziano.
In primavera il bambino vuole conoscere il mondo. Esce dal cerchio magico dove è rinchiuso. Si lancia alla scoperta della natura che circonda il luogo incantato. Il bambino si diverte a far soffrire piccoli animali (un pesciolino, una rana, una biscia d’acqua…) incurante dell’ammonizione del maestro: «Se uno solo di questi animali dovesse morire per colpa tua, ne porterai il peso per il resto della vita». Il bambino cresce e diventa adolescente. Siamo in estate. Il discepolo avverte i primi stimoli dell’eros. Il maestro gli ricorda che la lussuria, risvegliando il desiderio del possesso, priva l’uomo della sua libertà e lo rende schiavo di ciò che desidera possedere.
Giunto alle soglie della maturità il giovane monaco abbandona l’eremo. Segue l’impulso delle sue passioni. Il maestro lo aspetta fiducioso. Il discepolo tornerà in autunno, ormai adulto, cupo, disperato. Il suo coltello è sporco di sangue. Durante l’assenza dall’eremo si è unito con una donna, ma questo legame non lo ha reso felice. Folle di gelosia, ha ucciso la donna ed è fuggito. Ora è ricercato dalla polizia. Il maestro lo accoglie con la consueta benevolenza, ma lo invita a fare penitenza per il male che ha compiuto. Dovrà incidere sul legno e dipingere con lo smalto formule rituali che indicano come sia lungo e faticoso il cammino che conduce alla saggezza.
Il discepolo se ne va di nuovo, condotto lontano da due poliziotti. Anche per il maestro è giunto il momento di lasciare l’eremo galleggiante. Lo fa compiendo un’azione che, secondo i canoni della religione buddista, riveste un alto significato: seduto in meditazione su una catasta di legna, si copre il volto con un drappo di lino bianco e si dà fuoco. Muore piangendo. Quando il discepolo, dopo aver pagato il suo debito con la giustizia, torna nell’eremo è già inverno. È il tempo della purificazione e dell’ascesi. Il vecchio ciclo sta per chiudersi. Se ne apre uno nuovo. Una donna con il viso coperto depone il suo bambino presso la soglia dell’eremo. Toccherà al monaco diventato adulto prendersi cura del piccolo così come il maestro si era preso cura di lui.
La primavera ritorna. Come è nella logica delle cose, porterà nuove curiosità e nuove scoperte…. Ma a questo punto il film sembra prendere una strada diversa. Anche per il monaco che sta per diventare anziano è giunto il momento di scoprire un mondo nuovo oppure di riscoprire quel mondo antico nel quale (salvo qualche parentesi) ha trascorso la vita, cercando di osservarlo da un punto di vista diverso. L’ultima sequenza del film ci fa vedere il monaco che sale faticosamente lungo il dorso di una montagna prospiciente il lago portando con sé una statua di Buddha da collocare sul picco più alto. La macchina da presa segue il monaco passo dopo passo. L’occhio dell’obiettivo si muove, come in precedenza, lungo una traiettoria circolare, ma questa volta l’orizzonte si allarga. Il lago appare come una piccola chiazza di acqua laggiù in fondo alla vallata. Sorge il sole. I suoi raggi sfiorano il sorriso impassibile della statua dell’Illuminato.