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Miracolo a Sant’Anna (Italia – Usa, 2008). Regista: SPIKE LEE. Interpreti principali: D. Luke, M. Ealy, L. Alonso, O. Benson Miller, P. Favino, V. Cervi, O. Antonutti, S. Albelli, M. Sciabordi.
Contraddicendo il titolo di un suo film di successo (Do the Right Thing, 1990), questa volta pare che Spike Lee non sia riuscito a fare la cosa giusta. È venuto in Italia per girare un film ambientato in Toscana nel 1944, Miracolo a Sant’Anna, dove si vedono quattro soldati neri americani asserragliati sulle montagne con i tedeschi da un lato e i superiori incapaci di gestire gli eventi dall’altro. La popolazione del luogo si divide tra fascisti e partigiani. I fascisti non sono del tutto cattivi. I partigiani non sono del tutto buoni. I quattro soldati di colore faticano a orientarsi tra le contraddizioni che la guerra accumula attorno a loro.
Intento esplicito del film è rendere onore ai valorosi soldati della 92a divisione «Buffalo», composta da afroamericani che negli Stati Uniti degli anni Quaranta vivevano in condizioni di estrema povertà e non godevano degli stessi diritti dei bianchi. Arruolati nell’esercito, erano segregati in reparti speciali, adibiti a lavori pesanti, oppure lanciati come carne da macello in missioni «impossibili». Comandati da ufficiali bianchi che li disprezzavano, nessuno di loro poteva accedere ai gradi superiori. Occupandosi di loro, Spike Lee aggiunge un tassello al mosaico che con il suo cinema va costruendo da anni per tenere alto il morale della minoranza afroamericana, della quale egli stesso fa parte.
Ecco i quattro militari che animano le sequenze del film. Il sergente di brigata Aubrey Stamps (Derek Luke) è il leader del gruppo, uomo colto e problematico, riflette sul proprio ruolo e su quello dei «fratelli» neri in pace e in guerra. Il sergente Bishop Cummings (Michael Ealy) è tutto il contrario di Stamps. Truffatore, gran parlatore, donnaiolo, viene dalla strada di un quartiere povero dove ha imparato l’arte di arrangiarsi. Il caporale Hector Negron (Laz Alonso) è un portoricano di pelle scura. Operatore radiofonico, conosce lo spagnolo e si presta a fare da tramite con gli italiani. È il solo dei quattro che riuscirà a sopravvivere. Il soldato semplice Sam Train (Omar Benson Miller) è un omone tutto ciccia e niente cervello. Sempliciotto, analfabeta, superstizioso, stringe amicizia con il bambino Angelo (Matteo Sciabordi), e per comunicare con lui inventa un gioco a base di colpetti con le mani.
Giunti in un paesino di quattro case nella Garfagnana dopo un furioso combattimento lungo il corso del Serchio, i quattro entrano in contatto con gli abitanti del luogo. Qui le cose si complicano perché non è facile capire da quale pericolo ci si deve guardare. Facciamo la conoscenza con un vecchio fascista abbastanza innocuo (Omero Antonutti), con sua figlia Renata (Valentina Cervi) che non condivide le idee del padre e ha un fugace rapporto con l’intraprendente Bishop. Arriva un gruppo di partigiani guidati dall’intrepido Beppi Grotta, detto «Farfalla» (Pierfrancesco Favino), il quale ha un duro confronto con il corrotto Rodolfo (Sergio Albelli). I partigiani hanno con sé un prigioniero tedesco. Il bambino Angelo, che non parla e soffre di turbe psichiche, custodisce un terribile segreto. Ha assistito all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, al quale è riuscito «miracolosamente» a sfuggire.
A Sant’Anna, come è noto, il 12 agosto 1944 un battaglione delle SS massacrò 560 civili innocenti, per lo più vecchi, donne e bambini. Come è stato stabilito dal Tribunale Militare di La Spezia, non si trattò di rappresaglia verso qualche azione partigiana, ma di un «atto terroristico premeditato» allo scopo di distruggere il paese per rompere ogni collegamento tra le popolazioni e i partigiani sulla nascente linea gotica, come dimostrano altre stragi compiute nei giorni seguenti.
La sequenza del massacro è stata girata nel luogo dove si svolsero i fatti, ma, data la struttura non lineare del film, la dinamica degli eventi, oltre che confusa, risulta non conforme alla verità accertata in sede giudiziaria. La strage è evocata con un flashback inserito dentro un altro flashback. Lo sguardo di Angelo, che rievoca quella scena tremenda, individua il «buono» in un nazista disertore che lo incita a fuggire (lo stesso che sarà catturato dai partigiani) e il «cattivo» nel partigiano traditore (Rodolfo) che uccide il tedesco. È lui che ha guidato le SS a Sant’Anna sulle tracce di «Farfalla» che vi si era rifugiato. Strano incrocio di prospettive fuorvianti, che non aiuta certo a capire come sono andate effettivamente le cose. Da qui le proteste di diverse associazioni di partigiani. Spike Lee, che ha ricavato il film dal romanzo omonimo di James McBride, autore anche della sceneggiatura, sostiene di aver fatto un uso corretto della sua libertà di artista: «Mi dispiace di aver fatto arrabbiare i partigiani — dice — ma non domando scusa a nessuno. Se il film suscita discussioni vuol dire che in Italia certe ferite sono rimaste ancora aperte».