a cura di V. FANTUZZI
L’enfant (Belgio – Francia, 2005). Regista: JEAN-PIERRE DARDENNE – LUC DARDENNE. Interpreti principali: J. Rénier, D. François, J. Segard, F. Rongione, O. Gourmet, M. Bailly, F. Bodson.
Sonia (Déborah François), poco più che ragazzina, lascia la clinica dopo aver dato alla luce il piccolo Jimmy, il cui padre Bruno (Jérémie Rénier) non sembra impaziente di conoscerlo. Sonia tenta di rincasare con il bambino. Non sa che Bruno, affamato di quattrini, ha approfittato della sua assenza per affittare qualche giorno a una coppia di amici l’appartamento in cui abitano. Sonia erra nella notte, come una Madonna che stringe al seno il suo Gesù bambino. Bruno vive momentaneamente in una baracca nei pressi di un ponte, tra l’autostrada e il fiume. Siamo nella periferia di una città del Nord Europa. Bruno chiede l’elemosina ai crocicchi delle strade, rubacchia qua e là quello che gli capita a tiro. Collabora con una banda di monelli dediti alla microcriminalità. Con il ciuffo di capelli biondi che gli scende sugli occhi, con le efelidi sparse sul volto, questo papà ragazzino ha la stessa età psicologica dei piccoli delinquenti che frequenta.
Quando si vede la famiglia riunita (Bruno, Sonia e Jimmy), si capisce che il neonato non ha da aspettarsi gran che di buono da questi genitori che giocano e scherzano come facevano da piccoli, si inseguono, si saltano addosso… C’è soprattutto il bisogno di soldi che impegna Bruno in una serie ininterrotta di piccole azioni criminali che sono l’essenza della sua vita. Lavorare? Non ci pensa nemmeno. Sarebbe una cosa da sciocchi. Ma i soldi ci vogliono. Ce n’è bisogno in ogni momento. Si ruba, si piazza la merce presso qualche ricettatore, si spende il giorno stesso tutto quello che si è guadagnato, pronti a riprendere il giorno dopo la stessa attività con un dispendio di energie vitali che sembra trovare in se stesso la propria giustificazione.
In circostanze di questo genere può accadere che un padre, privo di ogni senso di responsabilità, trovi normale cedere il proprio figlio a chi è disposto a passargli sottobanco una cifra di gran lunga superiore a quelle che riesce a raggranellare con l’attività di ogni giorno. A Sonia, ignara di quanto sta accadendo, Bruno dirà: «Cosa vuoi che ci mettiamo a farne un altro». Fortunatamente, la madre di Jimmy non la pensa come Bruno. Posta di fronte al fatto compiuto, prova un dolore talmente forte che perde conoscenza. Ricoverata all’ospedale, dirà alla polizia cosa è accaduto. Per Bruno le cose stanno per prendere una brutta piega. Fortunatamente, non ha toccato i soldi ricevuti e, restituendo il malloppo intatto agli stessi malviventi che glielo avevano dato, riesce a recuperare il bebè.
Sonia, che ha perso ogni fiducia in Bruno, si barrica in casa con il suo bambino e non vuole più saperne del compagno. Ora tutto diventa più difficile per il padre degenere. La polizia lo tiene d’occhio. I malviventi con i quali è entrato in contatto, più agguerriti delle bande di ragazzini frequentate fino allora, pretendono da lui il doppio di quanto ha ricevuto e restituito per la momentanea cessione del bambino. Non gli resta che continuare a rubare come faceva prima. Con la complicità di Steve, un adolescente che si fa prestare il motorino da un fratello più grande, compie uno scippo. La vittima reagisce e ha inizio un inseguimento (automobile contro motorino) per sfuggire al quale Bruno e Steve si tuffano nelle gelide acque del fiume. Steve, preso dai crampi, sta per affogare. Bruno lo aiuta. È la prima volta che sente nascere il desiderio di affrontare un grave rischio pur di rendersi utile a qualcuno che è in difficoltà. È forse l’istinto paterno che comincia a farsi strada dentro di lui?
Steve viene arrestato. Bruno lo raggiunge al commissariato. Gli restituisce la chiave del motorino e consegna ai poliziotti la refurtiva. Sorpresa. Bruno si costituisce. Non è più lo stesso di prima. Ha deciso di pagare i suoi debiti con la giustizia. Lo vediamo in prigione mentre riceve la visita di Sonia. I due non sanno cosa dirsi. Dopo una lunga pausa di silenzio si abbracciano mentre dai loro occhi sgorgano lacrime di stanchezza, di dolore e di gioia. «O Jeanne, che strano cammino ho dovuto fare per arrivare fino a te!», diceva in un finale simile a questo il protagonista di un vecchio film di Robert Bresson (Pickpocket, 1959), il maestro del cinema francese, con il quale i fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, coautori de L’enfant («palma d’oro» al festival di Cannes 2005), intrattengono, sia pure a distanza, un legame di parentela artistica e spirituale. Come Bresson, anche i Dardenne sottopongono a una spietata indagine della macchina da presa il comportamento esteriore dei personaggi allo scopo di scrutare i segreti delle loro anime.