Il principio dell’incertezza (Portogallo – Francia, 2002). Regista: MANOEL DE OLIVEIRA. Interpreti principali: L. Baldaque, R. Trepa, I. Canelas, L. Silveira, I. Ruth, L. M. Cintra, J. M. Mendes.
José (Riccardo Trepa) ama Camila (Leonor Baldaque), la quale, a causa del dissesto finanziario che ha colpito la sua famiglia, decide senza la minima esitazione di accettare l’offerta di matrimonio del ricco Antonio (Ivo Canelas). I tre sono amici d’infanzia. José è figlio di Celsa (Isabel Ruth), fedele cameriera della famiglia di Antonio. Cresciuti nella stessa casa, José e Antonio sono amati da Celsa come se fossero entrambi suoi figli. Alla fine del film, che Manoel de Oliveira ha ricavato dal romanzo Jóia de Família di Agustina Bessa-Luís, si saprà che anche Antonio è figlio di Celsa. La cameriera, quando Antonio era in fasce, ha consentito a scambiarlo con il figlio morto dei padroni.
Il film si intitola O Princípio da Incerteza, espressione con la quale l’ultranovantenne e attivissimo regista portoghese intende affidare allo spettatore un autentico enigma. In che cosa consiste il «principio dell’incertezza»? Quale significato assume il termine incertezza quando viene usato per indicare non uno stato d’animo, ma un vero e proprio principio? Lo spettatore lo scoprirà seguendo il tracciato di un racconto, in apparenza lineare, dove i sottintesi e le allusioni non hanno meno peso di quanto ne abbiano le cose che vengono dette esplicitamente.
La macchina da presa, come accade sovente nei film di Oliveira, indugia sia sugli esterni (scorci di paesaggio urbano o naturale lungo la valle del Douro nei pressi di Oporto), sia sugli interni (abitazioni della buona società, che conservano, in pieno secolo XX, un arredamento di gusto retro). Immagini fisse. Nessun movimento di panoramica o carrellata (eccetto le soggettive dal finestrino di un treno in corsa) viene a turbare la rigida scansione tra ciò che è in campo, e pertanto si vede, e ciò che, essendo fuori campo, può essere solamente immaginato. All’interno dello spazio così delineato i personaggi compiono movimenti ieratici. Le note dei capricci di Paganini, che irrompono nella colonna sonora, tengono il luogo dello scorrere delle pagine del romanzo punteggiate o, come accade talvolta, saltate a pie’ pari per necessità di sintesi.
Accanto alla casa di Camila c’è una cappella nella quale si trova, avvolta da ragnatele, una statua di santa Giovanna d’Arco a cavallo, davanti alla quale la giovane donna si reca a pregare o a riflettere sulla situazione nella quale è venuta a trovarsi. I casi della pulzella di Orléans sono oggetto di acute disquisizioni da parte di un amico di famiglia, Daniel Roper (Luis Miguel Cintra), che nel comportamento della santa ravvisa i sintomi di uno sdoppiamento di personalità. Giovanna infatti, nel corso del processo subìto per stregoneria, prima firmò l’abiura, per sottrarsi al rogo, poi ritrattò l’abiura sottoscritta comportandosi in un caso da ragazza impaurita, nell’altro da impavida eroina, a meno che non si sia trattato di una mossa in due tempi, studiata per trarre in inganno i giudici (forse esitanti) e conseguire in tal modo la palma del martirio.
José, coinvolto in affari loschi con una certa Vanessa (Leonor Silveira) tenutaria di case chiuse, per vendicarsi di Antonio, che gli ha «rubato» la donna amata, o forse spinto da un moto istintivo di protesta contro il destino che, con la differenza di ceto, ha scavato un solco incolmabile tra lui e quello che, sia pure a insaputa di entrambi, è suo fratello, lo irretisce avviandolo sulla strada del vizio. Antonio, incapace di resistere alla seduzione del male, si lascia coinvolgere da José e Vanessa in loschi maneggi. La sua progressiva degradazione sembra non avere limiti. La vita di Camila, nel frattempo, si trasforma in autentico calvario. Sopporta umiliazioni di ogni genere con apparente imperturbabilità.
Una risata stridula, che contrae di tanto in tanto i lineamenti perfetti del suo volto, fa balenare il sospetto (o, meglio, l’incertezza) che l’aspetto angelico di Camila altro non sia che l’involucro ingannevole dietro il quale si cela il ghigno di Satana, che la sua natura remissiva, simile per certi aspetti a quella di una santa, sia la maschera che dissimula le intenzioni malevole di una strega. La condizione di inferiorità nella quale si trova, le consente di spingere, senza darlo a vedere, i suoi persecutori (Antonio, José e Vanessa) a eliminarsi reciprocamente. In questo modo, colei che lungo il film appare a più riprese come vittima designata ottiene alla fine la libertà alla quale non ha mai cessato di aspirare. Incerto (per restare in tema) è l’uso che ne farà, anche se da alcuni indizi è lecito arguire che non sarà dei migliori.