
Alasdair MacIntyre è un filosofo di origine scozzese, nato a Glasgow nel 1929, divenuto noto al grande pubblico grazie al libro After Virtue (Dopo la virtù), ben presto tradotto nelle lingue più diverse (danese, polacco, spagnolo, portoghese, francese, tedesco, turco, cinese, giapponese). A 25 anni di distanza dalla prima edizione inglese (1981) e a quasi 20 dalla prima traduzione italiana esso è stato nuovamente ristampato nel nostro Paese1.
Si tratta indubbiamente di un libro avvincente, costruito come un romanzo, anche se di non facile lettura, a motivo del ritmo serrato del suo procedere, che richiede una buona conoscenza degli autori della filosofia moderna.
La struttura di «Dopo la virtù»
Dopo la virtù ruota attorno a tre tesi fondamentali:
1) Il progetto grandioso dell’epoca moderna, da Cartesio in poi, di una fondazione puramente razionale della morale è fallito2. Tale fallimento diventa palese con la filosofia di Nietzsche.
2) Questo modello interpretativo viene messo a confronto con la tradizione precedente, classica e medievale, della riflessione morale, che era incentrata sulla virtù, la narrazione, la presentazione di un modello eticamente rilevante (l’eroe). Ciò lo differenzia nettamente dall’approccio moderno, preoccupato soprattutto di elaborare regole e norme astratte di condotta.
3) La filosofia si trova così di fronte a due possibili percorsi: a) seguire la proposta di Nietzsche fino alle sue derive nichiliste, rinunciando all’esercizio stesso della ragione; b) recuperare la proposta aristotelica, mettendola a confronto con la criticità propria dell’epoca moderna.
Il percorso filosofico di MacIntyre
Riassumendo nel corso di un’intervista il proprio itinerario speculativo, il filosofo scozzese afferma di essere cresciuto a contatto con due mondi antitetici: «Il mio immaginario di bambino si nutrì anzitutto di una cultura orale celtica, patrimonio di agricoltori e pescatori, poeti e cantastorie, una cultura in larga misura già perduta, ma alla quale alcuni anziani con cui entrai in contatto sentivano ancora di appartenere. I fatti importanti di questa cultura erano alcune forme di lealtà e il legame con i parenti e con la terra. Essere giusti significava giocare il ruolo a cui ciascuno era stato assegnato dalla comunità locale. L’identità di ciascuno derivava dal posto che l’individuo occupava nella comunità»3.
«L’altro mondo», quello appunto della modernità, è invece caratterizzato dalla teoria, dal sapere critico e consequenziale, contrapposto alla storia: «Il mondo moderno era una cultura di teorie e non di storie. Era la cornice di quello che si voleva far apparire come la moralità in quanto tale; i suoi diritti
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento