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È stata una gara: staff di scienziati all’opera al Large Hadron Collider (Grande acceleratore di adroni[1]: LHC) del Cern (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) al confine tra Francia e Svizzera e al Tevatron Collider in Illinois (Usa) erano in competizione per essere i primi a verificare l’esistenza di una particella chiamata il «bosone di Higgs»; e, se fosse stata trovata, a misurarne l’energia (che è equivalente alla sua massa). Nel 1964, Peter Higgs propose per primo il «campo di Higgs» e la particella, il bosone, ad esso collegata. Altri cinque scienziati stavano lavorando in questo ambito ed elaborando concetti simili. Quella di Higgs era un’idea che spiegava perché alcune particelle abbiano una massa e altre no. La particella era la pedina chiave del puzzle chiamato «Modello Standard», che cerca di accorpare tutte le osservazioni fisiche relative alla realtà fondamentale e alla teoria quantistica.
Da allora cominciò la caccia per trovarla. Il bosone di Higgs è pesante in termini di particelle e per produrlo sono necessari acceleratori di grande potenza. Il Tevatron negli Stati Uniti avrebbe potuto individuarlo se la sua massa fosse stata inferiore, ma alla fine è stato l’acceleratore più potente al mondo — l’LHC del Cern — a centrare l’obiettivo. Se non si fosse riusciti a trovarlo dopo aver testato ogni massa possibile, questo fatto avrebbe determinato un ripensamento obbligato di vaste aree di fisica teorica: necessità di maggiori riflessioni, nuove idee entusiasmanti, molto lavoro in più per i pensatori scientifici. Ora invece il modello che abbiamo avuto per anni ha trovato un’ulteriore verifica.
La Teoria generale del tutto
Ma adesso c’è un traguardo ancora più ambizioso: la «Teoria generale del tutto». Sarà un modello che riunirà tutte le conoscenze sulla realtà scientifica, e comprenderà il Modello Standard, ma anche la teoria quantistica e quella della gravità. Fino ad alcuni anni fa questo traguardo sembrava a portata di mano, fino a che gli astronomi compresero che tre quarti della materia nello spazio è ciò che ora è chiamata «materia oscura». Non sappiamo che cosa essa sia né da dove venga; è invisibile e al di fuori del suo campo gravitazionale. Ma in realtà potrebbe anche non esserci affatto perché la nostra comprensione della gravità potrebbe essere sbagliata. In ogni caso la teoria generale ora sembra coprire solamente una frazione piuttosto piccola del tutto.
La teoria generale della relatività di Einstein offre un modello che descrive con grande precisione gli effetti della gravità; la teoria quantistica e il Modello Standard forniscono una descrizione sempre più completa delle interazioni che si verificano su una scala molto ridotta, ma non prendono in considerazione gli effetti della gravità. Verificare l’esistenza del bosone di Higgs è un passo in direzione della convalida del Modello Standard, ma per quanto questo possa apparire completo e definitivo, non rappresenta la fine della fisica, anche perché la fisica continua a esplorare la complessità e le implicazioni della teoria. E in ogni caso gli acceleratori del Cern, e forse altri ancora più potenti, potrebbero scoprire nuove particelle che dimostrino quanto la nostra conoscenza al momento non si spinga abbastanza lontano. C’è un legittimo sospetto che esista una lunga lista di particelle che devono ancora essere scoperte e la cui conoscenza ci aiuterebbe a compiere un altro passo verso la Teoria generale del tutto.
Le energie coinvolte nei due acceleratori del Cern e del Tevatron sono così potenti che ciò che si verifica al loro interno può difficilmente verificarsi altrove sulla Terra, se si esclude una reazione occasionale causata da un raggio cosmico dotato di un’energia molto potente che ci colpisca da un qualche punto dello spazio. L’interesse reale della scoperta relativa al bosone di Higgs è che tale conoscenza ci offrirà un quadro più chiaro dell’origine dell’universo, di quel Big Bang che è stato l’inizio di tutto. Per ciò che sappiamo, nei primi istanti dopo che la miccia dell’universo è stata accesa, le particelle fondamentali hanno cominciato a reagire per produrre i «mattoni» dell’universo: particelle come i neutroni, i protoni e altre, poi l’idrogeno e l’elio e infine gli atomi e le molecole che formano le stelle e i pianeti che vediamo oggi intorno a noi.
La scienza non si spinge a indagare prima del Big Bang: in genere, si dice, perché il tempo è cominciato in quel momento, quindi il concetto di «prima» non ha alcun significato; oppure perché la meteora uniforme di quei primi istanti non poteva contenere alcuna informazione relativa a una struttura o origine precedente, sempre che fosse esistita.
In principio
Ma per coloro che credono che, in quei momenti, Dio fosse presente, ci sono ulteriori domande che devono essere prese in considerazione quando cerchiamo di conciliare un’analisi puramente scientifica dei primissimi istanti della realtà con la fede cristiana in un Dio eterno. Noi riteniamo che il tempo abbia avuto inizio soltanto nel momento del Big Bang, ma Dio è al di fuori del tempo e quindi un Dio creatore non dovrebbe avere problemi a creare il tempo insieme al resto della realtà fisica. Ma in quali termini dobbiamo parlare dell’azione di Dio prima (e non possiamo veramente usare qui questa parola) che il tempo abbia avuto inizio? E come dobbiamo intendere il sostegno continuo di Dio alla creazione?
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,1-5). Forse non è un caso che queste parole di apertura del Vangelo di Giovanni — che esprimono la convinzione che Dio, attraverso il suo Figlio, è la fonte dell’intera creazione — riecheggino quelle del libro della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Il Nuovo Testamento parla del ruolo costante di Dio, attraverso il Figlio, nel sostegno all’intera creazione: «Egli [il Figlio] è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono» (Col 1,17), oppure: «Egli [il Figlio] è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,3). San Tommaso d’Aquino concorda sul fatto che «il mondo esiste in quanto Dio vuole che esista: posto che l’esistenza del mondo dipende dalla volontà di Dio come da causa propria» (Summa Theologiae 1, q. 46 a. 1 co).
Oltre a questo e ai molti altri modi in cui è stata espressa la fede nella creazione e nell’amore del mondo da parte di Dio, ci sono stati anche vari modelli proposti nei secoli su come tale cura continua si manifesti. Molti cristiani non apprezzano il modello meccanico della creazione, ovvero l’idea che Dio abbia semplicemente scelto di creare quelle realtà fisiche che hanno determinato il Big Bang e poi si sia fatto da parte lasciando che gli eventi accadessero: la formazione delle particelle fondamentali, gli atomi di idrogeno ed elio, poi gli atomi più pesanti e in seguito le molecole che conosciamo oggi; la formazione dei pianeti dalla polvere delle stelle esplose e infine le prime tracce di vita, almeno in uno se non in molti di questi pianeti. Ci piacerebbe che Dio avesse dimostrato e dimostrasse un interesse che non fosse semplicemente quello di adempiere al ruolo di artefice e primo spettatore di un processo meccanico di creazione dell’universo. Ma passare dal modello meccanico di creazione a uno dove Dio si prenda continuamente cura di noi non è così semplice.
Funziona come un orologio?
C’è un problema nell’integrare l’opera di Dio nella creazione con i modelli scientifici. Ogni intervento materiale di Dio nel funzionamento dell’universo comporterebbe la violazione di una o più leggi di conservazione della fisica, secondo le quali determinate proprietà quantificabili di qualsiasi sistema fisico — dall’universo in giù — non mutano se il sistema evolve. Anche la trasmissione di informazioni di qualsiasi genere da Dio all’universo deve comportare simultaneamente un trasferimento di energia e — per quanto la scienza possa riscontrare — simili violazioni non si sono mai verificate. Se ciò dovesse e potesse accadere, minerebbe le basi dell’intero pensiero scientifico, poiché i suoi princìpi fondamentali andrebbero in frantumi. Il principio della conservazione dell’energia è alla base di tutto il sapere scientifico, e qualsiasi cosa Dio faccia violerebbe quel principio. È uno dei pochi punti in cui, a questo stadio della nostra conoscenza, la scienza deve respingere ogni ipotesi di intervento divino.
Continueremo a interrogarci su come si manifesti l’amore di Dio per l’ordine da lui creato. Ma un approccio puramente scientifico al problema non ci fornirà la risposta. La fede, come espresso con chiarezza dall’Aquinate, considera Dio la fonte e la ragione dell’esistenza dell’universo, ma non perché sia una sorta di «divino scienziato» che scavalca le leggi della fisica per raggiungere i propri fini. Il metodo scientifico, al momento, non ci permette di scoprire come Dio interagisce con l’universo: è invece alla ricerca di un modello che renda conto correttamente di tutti i fenomeni conosciuti e preveda alcuni elementi nuovi che possiamo cercare per convalidarlo grazie alla loro esistenza. Tale modello è generalmente matematico e, per confermare la sua riuscita, abbiamo bisogno di due cose: in primo luogo, la dimostrazione che i valori delle varie costanti fisiche (ad esempio, la massa e la carica di un elettrone) devono essere ciò che sono; in secondo luogo, sarebbe bene se mostrasse che ci devono essere altri elementi da scoprire. Esso ha ipotizzato una particella e un campo che chiamiamo il bosone di Higgs e il campo di Higgs; verificare la loro esistenza al Cern ha rappresentato un grande passo avanti per l’attuale modello in uso, il Modello Standard.
Tutti questi modelli si basano su ampie compilazioni di dati scientifici, valutati in vari modi e raccolti in molte centinaia di anni. Ma si tratta soltanto di dati rigorosamente fisici, quindi non potranno mai spiegare o predire nulla che non sia strettamente un fenomeno fisico. La risposta scientifica alla domanda sul perché l’universo (o tutti gli universi, secondo alcune teorie) è come è, risulta essere: «perché la materia e l’energia sono così». Se rimaniamo esclusivamente all’interno del campo della scienza non possiamo porci ulteriori domande.
Fede nella scienza
Oggi le teorie scientifiche, nel complesso, non vengono confutate. Vengono approvate e accettate in quanto parte di teorie più ampie ed esaustive. Perciò le leggi di Newton sul moto sono ancora qui per dirci che cosa accadrà se guidiamo dal lato sbagliato di una strada trafficata, ma sono vere soltanto quando la massa del corpo è di grandezza media (non, ad esempio, piccola come un elettrone o grande come una stella) e le velocità coinvolte sono basse (fino a una frazione della velocità della luce). A parte questi limiti, teorie come quella della relatività di Einstein mostrano che le leggi di Newton — entro quel range di massa e velocità — sono un’approssimazione di una teoria più ampia. Ora forse le teorie di Einstein attendono di essere considerate parte di qualcosa di più ampio e di ancora più completo.
Ma tali sviluppi delle teorie scientifiche non devono favorire la diffidenza nei confronti della scienza o incoraggiarci ad assumere un approccio che consideri Dio un «tappabuchi», laddove una lacuna percepita in una attuale conoscenza scientifica si presume lasci spazio a qualcosa di cui la scienza non è in grado di rendere conto, e che quindi può essere spiegato soltanto con il ricorso a una fonte sovrannaturale, vale a dire a Dio. La nostra fede dovrebbe permetterci di avere fiducia nelle leggi della scienza (e nella validità degli sforzi della scienza) per credere che possono essere parte integrante della creazione di Dio, piuttosto che qualcosa da spiegare separatamente o malgrado l’amore di Dio per la creazione.
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[1] L’adrone è una particella subatomica soggetta alla forza nucleare forte. Non è una particella fondamentale, bensì è a sua volta composta da fermioni e bosoni.