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Cultura e società

L’OSPITE INATTESO

Virgilio Fantuzzi

4 Aprile 2009

Quaderno 3811

L’ospite inatteso (Usa, 2008). Regista: TOM MCCARTY. Interpreti principali: R. Jenkins, H. Abbass, H. Sleiman, D. Gurira.

Walter Vale (Richard Jenkins), anziano professore di Economia in una Università del Connecticut, dopo la morte della moglie e la partenza del figlio che, ormai autonomo, si è trasferito all’estero, ha perso la passione per la sua vocazione. Insegna, scrive libri, incontra colleghi, concede colloqui a studenti, ma la sua mente è altrove. Ama la musica classica (sua moglie era pianista), ma i dischi che ascolta non arrivano a «riscaldare» la sua anima. Si ostina a prendere lezioni di pianoforte, cambia spesso insegnante, ma non ne ricava alcun profitto. Vive come un automa, indifferente sia nei confronti di quello che fa, seguendo una ormai consolidata abitudine, sia nei riguardi delle persone con le quali entra in contatto.

La vita monotona di Walter subisce un improvviso soprassalto quando, per l’indisponibilità di una collega, è costretto a partecipare a un convegno di studi che si svolge a New York, dove possiede un appartamento da tempo disabitato. A causa di un imbroglio, perpetrato a sua insaputa, l’appartamento è stato affittato a una coppia di giovani immigrati. Quando il professore mette piede in quella che crede essere (e di fatto è) casa sua, la sorpresa del padrone e degli ospiti, e il conseguente colpo di scena cinematografico, sono assicurati. Così ha inizio la storia che il regista americano (autore anche della sceneggiatura) Tom McCarthy racconta nel film L’ospite inatteso, che offre uno spaccato inedito della multietnica società newyorkese.

La coppia che vive nell’appartamento di Walter è composta da un siriano, Tarek (Haaz Sleiman), e da una senegalese, Zainab (Danai Gurira). Chiarito l’equivoco, i due si accingono a sloggiare, ma Walter, dopo aver constatato la difficoltà che incontrano nel trovare una soluzione immediata al loro problema, decide di farli restare per qualche giorno. Tarek si guadagna da vivere suonando il djembe (tamburo africano) con un gruppo jazz. Zainab disegna e realizza monili che vende al mercato delle pulci. Walter scopre di avere in comune con Tarek la passione per la musica e trova in lui un maestro di djembe che gli consente di conseguire quei risultati che non era mai riuscito a raggiungere con il pianoforte. Si dirà che c’è differenza tra un tamburo africano e un pianoforte a coda. Ma la musica richiede, prima di tutto, sensibilità. Ed è questa sensibilità che Walter riesce a trovare dentro di sé a contatto con Tarek. Nasce tra i due un’amicizia che la guardinga Zainab disapprova.

Quando però un contatto accidentale con la polizia fa finire Tarek, immigrato irregolare, in un centro di detenzione dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement), Walter risulta essere l’unica persona che può fargli visita. L’impegno del professore nei confronti del suo giovane amico si rafforza ancora di più con l’arrivo di Mouna (Hiam Abbass, già ammirata ne Il giardino di limoni, cfr Civ. Catt. 2009 I 317 s), la madre di Tarek giunta in cerca del figlio. Mentre i quattro affrontano la dura realtà del sistema di immigrazione americano, affiora la loro umanità attraverso situazioni ora goffe e comiche, ora tenere e drammatiche.

Tom McCarthy sostiene di aver voluto raccontare una storia senza avere la pretesa di affrontare, né tanto meno risolvere, il problema dell’immigrazione. «Il meglio che possiamo fare — egli dice — è ricordare a noi stessi la nostra umanità, così che quando abbiamo a che fare con problemi di ampia portata, ad esempio, su come affrontare le questioni del Medio Oriente, oppure come trattare problemi quali l’immigrazione, noi partiamo sempre dal tenere a mente che non stiamo trattando soltanto di un tema, ma parliamo di esseri umani. Ogni volta che ho portato qualcuno in una struttura di detenzione, restava inorridito da questo nostro modo di trattare gente arrivata per la prima volta nel Paese e che era lì per motivi differenti. Molti detenuti non avevano assistenza legale e molti non avevano commesso un crimine vero e proprio».

New York è una città fatta apposta per consentire lo scambio reciproco tra culture diverse. Walter, anziano professore alla deriva, senza passione e senza azione, sembra capitato lì per caso. Non cerca nulla. Non vuole entrare in contatto con nessuno. Eppure la musica riesce nonostante tutto a fare da tramite tra lui e Tarek. Da quel momento in poi Walter si trasforma. L’uomo che da lungo tempo sonnecchia dentro di lui si risveglia. Allo stesso tempo, però, il professore si fa da parte per lasciare sempre più spazio sullo schermo al giovane suonatore di djembe. Tarek diventa così il cuore della storia. La sua ambizione è semplice: vivere una buona vita e suonare la sua musica. «Questo — conclude il regista — è ciò che un Paese come il nostro dovrebbe garantire a un individuo onesto, da dovunque arrivi e comunque sia arrivato. Temo però che, da un certo tempo a questa parte, quella che dovrebbe essere una condizione di vita normale lo stia diventando sempre di meno».

Non è disponibile la versione digitale di questo articolo, è possibile leggerlo solo nella versione cartacea o e-book


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L’OSPITE INATTESO

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


4 Aprile 2009

Quaderno 3811

  • pag. 105
  • Anno 2009
  • Volume II

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Cinema

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