
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, inaugurato nel 1883 e chiuso per restauri dal settembre del 2004, è stato riaperto al pubblico. Le sue colonne, i suoi stucchi e le sue grandi scalinate, che rispondono al gusto neoclassico di Pio Piacentini che lo ha progettato, dal 6 ottobre scorso accolgono una grande mostra dedicata al pittore statunitense Mark Rothko (1903-70)[1]. La mostra, che resterà aperta fino all’Epifania del 2008, comprende una settantina di tele, provenienti da varie parti del mondo, che ripercorrono tutto l’itinerario compositivo del pittore. Cercheremo qui di dar conto dell’ispirazione di questo artista, che ormai è tra le figure più note e amate dell’arte contemporanea[2].
La scoperta dell’arte
Mark Rothko nacque il 25 settembre 1903, da una famiglia ebrea a Dvinsk nell’attuale Lettonia, col nome di Marcus Rothkowitz. A differenza dei suoi fratelli, egli viene educato alla scuola ebraica. È qui che avviene la sua primissima formazione, fatta di lettura delle Scritture, di studio del Talmud, di apprendimento dell’ebraico. E questo fino a quando, all’età di dieci anni, la sua famiglia lascia la Russia ed emigra negli Stati Uniti, a Portland (Oregon), dove risiedevano già alcuni parenti impegnati nel campo dell’industria tessile. Il piccolo Marcus, che resta già nel 1914 orfano del padre, si adatta a vendere giornali agli angoli delle strade e a lavorare nella fabbrica dello zio. Ma prosegue gli studi, diplomandosi nel 1921 e vincendo una borsa di studio per Yale, dove entra nell’autunno del ’22 per studiare filosofia e psicologia. L’esperienza dura poco, perché l’anno successivo la borsa di studio non gli viene rinnovata. Si apre dal 1924 una fase nuova nella vita di Rothko che lo vedrà spostarsi a New York e, per puro caso, scoprire l’arte come il suo vero talento. Infatti era andato a trovare un suo amico presso l’Art Student’s League, e lì, vedendo alcuni schizzi di studenti, intuì che quella sarebbe stata la sua vita. La sua prima partecipazione a una mostra è del 1928, e dall’anno successivo insegna presso il Brooklyn Jewish Center.
La stagione dell’insegnamento incide profondamente sull’animo di Rothko: l’esperienza che compie in classe lo illumina e lo fa riflettere. Guardando le produzioni dei suoi giovanissimi alunni egli si rende conto che la pittura «è un linguaggio naturale quanto il canto e la parola»[3]. I dipinti dei bambini risultano «freschi, vividi e differenti»[4]. Sono proprio queste le qualità che un
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