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Dopo il romanzo Non luogo a procedere (2015), nel quale si è occupato in maniera lucida e stilisticamente pregevole sia delle disperate utopie sia delle grandi tragedie della storia recente, Claudio Magris torna ora, con questa raccolta di cinque racconti, alla forma breve della narrazione: una forma che da Illazioni su una sciabola (1984) a Un altro mare (1991), da Il Conde (1993) a La mostra (2001), fino a Lei dunque capirà (2006), egli ha già dimostrato di saper utilizzare con maestria. Magris ha così messo a disposizione del lettore testi incisivi, essenziali e nel contempo carichi di fascino: qualità che sembrano caratterizzare anche i diversi scritti che compongono Tempo curvo a Krems.
È importante sottolineare anzitutto come i cinque protagonisti di questi racconti si trovino a essere immersi in una dimensione temporale che appare senza inizio né fine: estremamente simile, dunque, alla corrente di un fiume che conduce tanto alla foce quanto alla sorgente. I personaggi vengono di conseguenza trasportati in una condizione di indeterminatezza e di isolamento nella quale tenderanno ad adagiarsi, allentando progressivamente i propri legami con il mondo.
Ironiche e distaccate, malinconiche e talvolta crudeli, le creature di Magris – giunte ormai al periodo finale della loro vita – danno l’impressione di essere intenzionate a mitigare l’intensità delle loro esistenze e, d’altra parte, muovendosi nella sonnacchiosa cittadina di Krems, come nella vivace Trieste ebraica, sembrano connotarsi anche per il senso di estraneità che avvertono nei confronti dei contesti e degli individui con i quali entrano in contatto. È quanto accade, per esempio, nel quarto e nel quinto racconto della raccolta.
Il quarto racconto narra di un vecchio scrittore che, ospite d’onore alla cerimonia nell’ambito della quale viene assegnato un premio, si rende conto della propria siderale lontananza rispetto alla società letteraria e ai suoi riti. Questa la sua reazione ai vari interventi: «Si lasciò cullare da quel fluire uniforme, senza seguire le diverse voci e parole che si succedevano. Gli piaceva che la vita scorresse regolare e uguale, cancellandosi di continuo, come i pasti della sua pensione, il radersi ogni mattina» (p. 61).
Nel quinto racconto, – dal titolo «Esterno giorno – Val Rosandra» – lo studente irredentista, che si era arruolato nell’esercito italiano e, una volta sopravvissuto ai massacri della Grande guerra, era stato protagonista della stagione culturale della Trieste absburgica – «città trafficante, meticcia e patriottica» (p. 84) –, assiste alle riprese di un film che cerca di ricostruire un episodio della sua giovinezza e fatica a riconoscere, nei gesti e nelle parole degli attori chiamati a interpretare la vicenda in questione, se stesso e i propri compagni. Sfogliando la sceneggiatura, non può fare a meno di osservare: «La stessa storia, no, non la stessa, ora più incerta ora più imperiosa, qualche brandello illeggibile, qualcos’altro più chiaro» (p. 76). Una constatazione che induce il protagonista della narrazione a cercare rifugio in una dimensione irreale, data la sua incapacità di mettere ordine in quel garbuglio – costituito dagli anni, dai minuti, dalle storie individuali –, che non può essere ricondotto ad alcuna logica temporale, né causale.
È questo il tema affrontato dal racconto che dà il titolo al libro: nel quale, grazie a una coincidenza apparentemente insignificante, un viaggiatore scopre, nella tranquilla Krems, come nella vita e nell’amore tutto sia simultaneo, senza un prima né un dopo; come gli eventi siano allineati l’uno accanto all’altro e somiglino quindi ad «acque che scorrono e nello stesso istante ritornano, rive che si rispecchiano sempre nelle stesse onde» (p. 44). Un illimitato presente, dunque, un eterno essere qui e ora, che racchiude in sé il mondo intero; e che, nella sua dimensione circolare, ci impone di pensare all’esistenza di un solo punto, di un solo attimo.
CLAUDIO MAGRIS
Tempo curvo a Krems
Milano, Garzanti, 2019, 96, € 15,00.