Questo è un libro importante non solo per i lettori, ma anche per lo stesso A., perché è il frutto della fatica di tanti anni di lavoro. Il gesuita Virgilio Fantuzzi ci regala, infatti, una selezione accurata dei suoi saggi – la maggior parte pubblicati su La Civiltà Cattolica, per la quale scrive come critico cinematografico – che segue come filo conduttore la ricerca del divino nel cinema.
Dopo la prefazione di Adriano Aprà e una premessa dell’A., si susseguono, secondo l’ordine cronologico dei film, dieci capitoli. Aprono la serie due capolavori assoluti: si tratta di Francesco giullare di Dio (1950), di Rossellini, e de La strada (1954), del suo allievo Fellini, tanto diversi tra loro, ma tanto intrinsecamente legati dal comune desiderio di mettere in scena le espressioni di fede più tangibili e profonde.
Il terzo saggio è un’indagine sul sacro e sui film di Pasolini, seguito da quello sull’analisi molto acuta dell’attore che impersonò Gesù nel Vangelo secondo Matteo, di Pasolini. Atmosfere derivate dall’influsso di questo intellettuale prestato alla regia si ritrovano ancora in Ostia (1970), di Sergio Citti. Un lungo salto temporale porta il lettore nel 2004, quando l’A. incontra Bertolucci che ha appena concluso The dreamers, dove sono affrontate altre sfaccettature della sensibilità moderna. Percorsi esistenziali paralleli si trovano in Sangue del mio sangue (2015), di Bellocchio. Gli equivoci e le diverse vie di redenzione ritornano invece in Puccini e la fanciulla (2010), di Benvenuti, e in Cesare deve morire (2012), dei fratelli Taviani. Chiude questo appassionato excursus il toccante film di Olmi, dello scorso anno, dedicato al cardinale Martini, Vedete sono uno di voi.
Il sottotitolo del libro, La ricerca del divino nel cinema, chiarisce bene l’intento che l’A. ha perseguito per oltre cinquant’anni nelle sue interviste e letture di film. Questo punto di vista potrebbe in un primo momento suscitare una certa distanza in chi considera il cinema come puro intrattenimento o come un semplice esercizio narrativo. Si nota subito, invece, che p. Fantuzzi, grazie anche ai suoi studi di filosofia e teologia, si addentra nella complessità dei vari argomenti con uno stile immediato, ma attento ad ogni dettaglio: riesce così a far parlare registi e attori con una capacità maieutica da far sorprendere gli stessi intervistati. «I giornalisti non dovrebbero fare certe domande» (p. 50), gli risponde a un certo punto Pier Paolo Pasolini durante un lungo colloquio per l’uscita del Vangelo secondo Matteo. La sfida dell’A. sembra essere, infatti, quella di cercare di far emergere quegli aspetti sacri, quel «sottotesto» cristiano laddove non è esplicitamente affermato o mostrato.
L’effervescenza della produzione cinematografica dagli anni Cinquanta avviene nel periodo storico più intricato per la definizione – non solo stilistica – di diversi film. Molti dei capolavori della filmografia italiana contengono una ricchezza espressiva che travalica i confini della storia da raccontare: essi posseggono una così forte dimensione spirituale da costringere gli spettatori a riflettere, o in ogni caso a godere della bellezza di una scena, come davanti a un’opera d’arte.
Per p. Fantuzzi, il cinema non è solo una metafora artistica: il film è arte. Essendo anche studioso di storia dell’arte, egli concorda con le idee di Carlo Ludovico Ragghianti: certe riprese di campo e controcampo, certi sguardi e parole altro non sono che «lo stato più avanzato nell’evoluzione plurisecolare delle arti visive» (p. 49). Per l’A. inoltre il cinema si può accomunare anche all’ispirazione poetica: «Tanto la poesia quanto l’esperienza religiosa conoscono momenti di tensione interiore rispetto ai quali le parole risultano inadeguate» (p. 51).
Ciascun regista – Fellini, Pasolini, Bellocchio, i Taviani – si misura nell’esprimere «l’incompatibilità del sacro con una società del tutto secolarizzata» (p. 62). Dal libro, così, non vengono fuori esclusivamente gli interessi di p. Fantuzzi per questi autori, registi e per le trame dei film: emerge nello stesso tempo uno spaccato umano altrettanto importante per apprezzare ancora meglio tale filmografia. L’A. traccia in modo vivido le esperienze che ha vissuto a contatto con questi protagonisti della storia del cinema, ricordando sempre che «il cinema, si sa, è fatto di immagini. Le immagini si nutrono di sensazioni. Non resta dunque che lasciarsi andare come ogni spettatore al flusso della corrente» (p. 131).
Quando si riaccende la «luce in sala», ecco pronto questo libro, dove l’A. svela le sue impressioni per far comprendere quel pensiero nascosto e quell’intuizione emotiva che servono a illuminare, di sequenza in sequenza, l’aspetto sacro di questi film.
VIRGILIO FANTUZZI
Luce in sala. La ricerca del divino nel cinema
Milano, Àncora, 2018, 196, € 18,00.